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Considerazioni sulla parte nota del messaggio
Il significato di una apparizione non è così evidente da poter essere immediatamente compreso, ma neppure tanto oscuro da risultare impenetrabile. La chiave di lettura è la stessa da usare per la comprensione della Parola di Dio, e cioè la fede, che essendo evocatrice dello Spirito, illumina la ragione delle cose.
La mariofania delle Tre Fontane è stata relegata, come moltissime altre, fra gli interventi superflui del Cielo, che a causa dei numerosi problemi che presenta è preferibile non prendere neppure in considerazione (sincerità del veggente, contenuto arduo del messaggio, proliferazione di avvenimenti soprannaturali, mancanza del requisito della certezza, etc.).
Tuttavia se si crede che Maria è la Madre di Dio e dei credenti per elezione, allora bisogna porsi in operoso ascolto dei suoi richiami che non si aggiungono alla Parola, ma intendono gettarvi una luce più grande di quella di cui è capace l’uomo. Non si può affermare che la Madonna operi al di fuori della Trinità, giustapponendo suoi piani a quelli delle Persone con le quali - come altrove si ammette - vive in perfetta armonia, addirittura partecipandone l’esistenza in modo del tutto singolare.
Si tratta dunque di manifestazioni che hanno una chiara genesi divina e non è lecito ipotizzare che Dio compia ciò che si potrebbe omettere, mentre lo è ritenere che l’intervento tenda a ricostituire l’armonia universale, sempre sconvolta dalla fallace condotta dell’uomo.
Come si può trarre istruzione e beneficio dalla Bibbia solo se si crede che in essa è contenuta la Verità, così pure si può partecipare degli insegnamenti di una apparizione solo se si crede che essa è avvenuta, ed è avvenuta per il bene comune. Così alle Tre Fontane Maria non ha inteso solo sollevare un peccatore dalla sua miseria, ma somministrare la verità che guarisce l’errore e che, come bene universale, non può non riguardare tutto il popolo di Dio.
Protagonisti, scenario e parole udite, nulla appare casuale, rendendo plausibili e nient’affatto ardue alcune conclusioni. La Vergine della Rivelazione ci invita dapprima ad interrogarci su una figura ed un mandato tanto importanti della Chiesa nascente e sulla necessità della loro sussistenza nella Chiesa di ogni tempo: la figura ed il mandato di Paolo.
Infatti Cristo aveva scelto Pietro quale consegnatario e custode della Parola, pastore premuroso del gregge, al quale avrebbe garantito rifugio e protezione per sempre. Quella pietra avrebbe costituito il confine tra il regno di Dio presso gli uomini e quello degli inferi, che, secondo la promessa, mai avrebbe prevalso. Il pescatore di Galilea aveva meritato questo alto incarico per essere stato il primo a riconoscere in Gesù il Figlio di Dio, una professione di fede così importante da essere considerata più grande di tutte le sue future manchevolezze. Questo stesso Pietro ha ottenuto che il suo ufficio passasse in eredità a tutti coloro che in prosieguo di tempo avrebbero portato il suo nome, cosicché la Chiesa non restò mai priva del suo pastore.
Tuttavia Cristo, dopo la sua vittoria sulla morte, scelse al di fuori della cerchia di coloro con i quali aveva condiviso la sua esperienza terrena, un uomo da inviare presso i pagani, perché cessasse la loro estraneità al popoio di Dio e sapessero di essere stati chiamati «a partecipare alla stessa eredità» di Israele (Ef. 3,6). A Paolo era stato dunque affidato un incarico della massima importanza, quello cioè di indurre alla fede coloro che ne erano da sempre stati privi, sostituendo le loro anguste filosofie e i loro idoli mani con la Verità che salva. Sono gli Atti degli Apostoli, anchessi Parola di Dio, a mostrare la vocazione e la missione di Paolo, il quale dopo la sua professione di fede mai più tradì quel Cristo che lo aveva liberato dalla cecità padrona della sua mente. A Saulo di Tarso fu comandato di passare dal discepolo Anania, il quale non doveva istruirlo, ma battezzarlo perché in lui fosse lo Spirito Santo e potesse essere pubblicamente incorporato nella Chiesa. Anche alle Tre Fontane Maria invia l’apostata da un sacerdote, perché lo confermi nella Chiesa del Figlio. A Paolo non fu chiesto di battezzare (cfr. iCor. 1,17), di attendere all’Eucaristia e di rimettere i peccati, tutto quanto cioè attiene alla trasmissione sacramentale dello Spirito di Dio alle creature; egli fu costituito apostolo «per ottenere l’obbedienza alla fede da parte di tutte le genti» (Rm. 1,5), mediante il ministero della divulgazione della Verità rivelatagli da Cristo.
Tuttavia osservando la Chiesa dei tempi a noi più vicini, ci rendiamo conto che questo ministero - forse perché gli avvenimenti suggerirono una tale prudente misura - è stato interamente riassunto fra quelli di Pietro e della gerarchia. L’intervento della Vergine della Rivelazione ci invita a riconsiderare questa materia alla luce della volontà di Cristo espressa a Damasco (cfr. At. 9,1-19), ritenendo giunto il momento del suo ristabilirsi. Perché, o si ammette che le figure di Pietro e Paolo sono intercambiabili, e allora l’uno può attendere indifferentemente ai compiti dell’altro, o, come pare rilevarsi dalla Scrittura, sono complementari, potendo ciascuno compiere fruttuosamente solo le funzioni che gli competono.
Sappiamo dalla Bibbia che fu sulla persona di Pietro che Cristo edificò la Chiesa, onde si può affermare che dove è Pietro là c’è comunque autentica comunità ecclesiale, mentre Paolo, quando escluso, sarebbe potuto cadere nella tentazione di fondare chiese sue proprie, carenti del consenso divino (Paolo fu estraneo a questa tentazione, ma coloro che si ispirarono a lui vi caddero a più riprese).
Sappiamo anche che Gesù volle che la Chiesa fosse una sola, capace di estendere il regno di Dio fino agli estremi confini della terra. Per questo lasciò un pastore che nutrisse e custodisse il gregge - formato da coloro che avrebbero via via riconosciuto in Cristo il Dio da adorare e da imitare - ed anche qualcuno che conoscesse la lingua dei digiuni della fede, onde attrarne il maggior numero con la forza della Verità. Non dunque supremazia dell’uno sull’altro né confusione di ruoli, ma solo un campo comune in cui lavorare armoniosamente.
Maria alle Tre Fontane ha inteso richiamare Paolo nella Chiesa del Figlio, sottraendolo alla prigione dell’eresia, corroborandolo ora con un nuovo sigillo divino, necessario per ripristinare l’efficacia di una volontà che non doveva essere trascurata: «Tu mi perseguiti, ora basta! Entra nell’Ovile Santo, Corte Celeste in terra». Come non si può affermare che sulla via di Damasco fosse suonato un mero rimprovero ad uno sciagurato - si trattava invece della necessaria premessa di una investitura dall’alto avente efficacia universale - così è da intendersi per le Tre Fontane.
La Madonna ha dovuto parlare all’eretico, perché ad ascoltare fossero anche l’ecclesiastico ed il laico, tutti interpellati in terra di Paolo dal richiamo divino.
Saulo di Tarso non era stato uno dei càdici, non aveva preparato il banchetto sacro, ma era quel servo chiamato dopo che la tavola era stata imbandita, perché andasse fuori ad invitare tutti quelli incontrati nelle vie e nelle piazze.
Egli, sebbene cittadino romano, discendeva però da Beniamino, l’ultimo dei figli di Giacobbe e nato alcun tempo dopo gli altri, chiamato a chiudere il numero delle Tribù di Israele, eredi della promessa.
Non a caso gli apostoli furono scelti singolarmente da Cristo, il quale chiamò per ultimo fra questi anche Giuda Iscariota, il cui tradimento e la triste scomparsa avrebbero aperto il problema non secondario della sostituzione. Bene pensò Pietro che quel vuoto non potesse rimanere tale, ma egli ricorse alla sorte attribuendole idoneità ad esprimere la volontà divina (questo accadeva prima della Pentecoste), senza attendere che Gesù stesso venisse ad eleggere il dodicesimo e a stabilirne la destinazione.
Mattia risultò così scelto dal caso, mentre Saulo di Tarso fu chiamato inequivocabilmente da Cristo, che Io volle operante nella Sua Chiesa.
Questo nuovo apostolo non doveva andar chiarendo l’ampiezza della sua autorità, perché questa sarebbe stata testimoniata dalla verità delle sue parole e dei suoi gesti.
Cristo ne aveva liberato l’intelletto, invadendolo con il suo Spirito di Verità, d’ora in poi unico garante e paradigma di. ogni suo pensiero.
Coloro che reggevano la Chiesa di Gerusalemme, la prima in ordine di tempo, riconobbero pur con qualche fatica che l’antico persecutore parlava ora con parole ispirate, che era saldo nella sua fedeltà a Cristo, rigoroso nelle sue deduzioni.
Questi dedicò più di qualche pagina delle sue epistole a sottolineare la necessità di sostituire la cultura della Legge mosaica - che aveva fino ad allora caratterizzato la civiltà di Israele - con quella della Carità cristiana, capace di formare l’uomo secondo il progetto di Dio.
Paolo non intese operare un ridimensionamento del decalogo, poiché vi era stato per esso un tempo opportuno, ma chiarì che quella non era stata l’ultima parola di Dio rivolta agli uomini, i quali vi avevano aggiunto tali e tante parole proprie, da renderne inintellegibile la irresistibile Verità. I comandamenti erano stati un sapiente pedagogo cui obbedire in attesa della rivelazione definitiva, segno della appartenenza del popoio di Israele al Signore.
Cristo però aveva liberato l’uomo dalla condizione di minorità cui si era costretto, lasciando a ciascuno la possibilità di avere presso di sé lo Spirito, che ripristinava interamente la relazione primordiale fra Dio e la creazione.
Egli non apparteneva alla storia dei figli di Adamo perché è morto e risorto, sicché per poterlo seguire, dobbiamo lasciar morire in noi la genitura di Adamo ed accogliere la paternità divina che ci ha restituito sacrificando Se Stesso.
Affrancare l’uomo dalla schiavitù del peccato, significava anche sottrarlo al pesante fardello della mera osservanza dei precetti e porlo in grado di aggiungere all’essere la sua ragion d’essere; questo accadeva poiché Dio non voleva essere per l’uomo l’oscuro tutore imposto ad un orfano, ma il buon Padre che si fa conoscere dai figli, i quali lo eleggono mediante la fede e lo amano con le opere.
Paolo aveva compreso che la fede in Cristo comportava per i credenti la rinuncia a tutte le precedenti certezze ideali e materiali, sicuri che il Signore avrebbe comunque conservato loro quanto di buono c’era stato nel passato e li avrebbe associati nella riscossione di un salario che non avrebbero potuto mai meritare: la vita eterna. Tuttavia la Chiesa nascente non colse pienamente la necessità di questo passaggio, ritenendo indispensabili molte cose del passato, crescendo perciò con l’impronta ebraica: il tempio, unico punto d’incontro tra cielo e terra; il sacerdote, unico tramite; il popolo posto sotto la tutela della legge; lo straniero ammesso a certe condizioni. Il sogno di Giaffa aveva annullato la riluttanza di Pietro, il quale dovette comprendere che «non si deve dire profano o immondo nessun uomo» (At.10,28); un intervento di Dio gli aveva detto di non resistere alla Verità, per nessun motivo.
E quella verità era il mistero non «manifestato agli uomini delle precedenti generazioni», cioè «che i Gentili sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo» (Ef. 3,5-6).
Le creature dunque, rigenerate nel lavacro del sangue di Cristo, erano dette tutte equidistanti da Dio e tutte ugualmente chiamate ad essere sue eredi.
Niente avrebbe più giustificato la disposizione artificiale degli uomini su una scala di prossimità a Dio, se non commettendo un pernicioso arbitrio: non la dignità sacerdotale, né l’essere maschio o la primogenitura, né ricchezza, forza, intelligenza o bellezza.
Ciò che in prosieguo di tempo avrebbe distinto gli uomini tra loro sarebbe stata solo la funzione, che corrisponde al progetto che Dio ha su ciascuno e per realizzare il quale chi ha fede è chiamato a spendere la propria vita. Quando Cristo prima e poi Pietro e Paolo e gli altri divulgatori del Vangelo parlarono di questa uguaglianza nella diversità, che è il risultato della comune paternità di Dio, soltanto pochi ebrei non si scandalizzarono e non insorsero contro di loro, ma i più si rifiutarono sdegnosamente di credere che un pagano potesse valere quanto un ebreo.
Risultava evidente che l’essere giunti prima nel tempo non dava luogo ad alcun primato, mentre il giudizio di valore pacificamente applicato fino ad allora si rivelava erroneo e fuorviante.
E tale verità, poiché universale, si estende a qualunque altro rapporto tra opposti: il maschio e la femmina, l’ecclesiastico ed il laico, il cielo e la terra e così via.
Nella Chiesa di Cristo ciascuno continua a rimanere se stesso, senza però scrutare gli interlocutori per stabilire a chi spetti la corona, spendendo le proprie energie solo per lavorare quel pezzetto di universo che Dio gli affida per il tempo della sua vita.
Perché tale lavoro sia proficuo occorre tornare bambini per disporsi a ricevere il sapere nuovo, affidati unicamente all’insegnamento del Cristo Maestro.
Questo chiedeva Paolo ai membri delle comunità che andava fondando, le quali non costituivano entità separate, ma frazioni dell’unica Chiesi che aveva in Cristo il suo Capo e in Pietro il Pastore.
E Maria alle Tre Fontane è venuta a ripetere questa lezione con chiarezza, richiamando i figli ai propri doveri e ribadendo il suo ruolo di Madre e Maestra del popolo di Dio, sollecitandolo a non resistere alla Verità che salva, ma ad aderirvi con sollecitudine.
La Madonna, apparendo in terra di Paolo, non ha inteso sostituire la venerazione che il popolo cristiano ivi tributava all’Apostolo delle Genti con un culto interamente dedicato a Sé, ma ha impegnato la sua autorità di Vergine della Rivelazione per dare nuovo corso alla volontà di Dio.
Ancor prima di parlare di Paolo, quel 12 aprile la Madre di Cristo spese alcune parole per definire Se Stessa, parole che suonarono alquanto nuove e non immediatamente riconoscibili nel vocabolario formato dalla riflessione ecclesiale su Maria: Sono Colei che Sono nella Trinità Divina. Sono la Vergine della Rivelazione.
In realtà il significato di quelle affermazioni era contenuto nel libro che Ella stringeva al petto come fosse il Suo stesso figlio; la Bibbia.
Occorre dunque tenere presente la Rivelazione tutta intera e particolarmente le sue prime pagine. Infatti sappiamo dalla Genesi che fu Eva a precedere Adamo nella disobbedienza, senza attendere con fiducia che Dio stesso venisse a completare l’istruzione delle sue recenti creature.
Ella ritenne, poiché tentata, di poter colmare in breve la distanza che separava lei e il suo compagno dal Creatore accedendo alla conoscenza del bene e del male (cfr. Gen. 3,1-24).
Non ottenne quanto si era proposta, poiché quell’albero conteneva solo l’elenco infinito delle differenze, non già il segreto della esistenza armonica di ogni cosa creata: «Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi...» (Gen. 3,7).
Eva era stata dunque l’occasione della mancata rivelazione di Dio alle creature, aprendo perciò il tempo del mistero e della conoscenza relativa fondata sulle categorie antitetiche della «scienza del bene e del male», carente del requisito della certezza. Tutta la creazione finì per gemere a causa di quella prima grave infedeltà, poiché gli esseri assunsero la natura di opposti, mentre alla pace primordiale si sostituì un conflitto capace di corrodere ogni cosa.
L’atto arbitrario fu un errore rispetto alla Verità - che doveva essere la giusta relazione di tutto ciò che vive - ed un peccato verso lo Spirito, che Dio aveva generosamente alitato nella terra di cui era costituito l’uomo, affinché per un arcano disegno quella creatura fosse a sua immagine e somiglianza (cfr. Gen. 1,26).
Accadde allora che lo Spirito si ritrasse dalla creazione, per la sopravenuta incompatibilità fra Sé ed una materia ribelle.
L’uomo non morì immediatamente, poiché quella stessa materia di cui era costituito sviluppò attitudine al moto, seppure inesorabilmente destinata a marcire nel logorio del tempo.
L’uomo, per il quale Dio aveva voluto una terra che desse spontaneamente ogni cosa necessaria alla sua vita, continuò ad esserne sostentato solo mediante la dura fatica del lavoro, sua nuova destinazione. La donna fu chiamata ad una maternità che, seppure dolorante, sarebbe stata il suo modo di corrispondere alla volontà del Creatore.
Il rapporto maschio-femmina divenne dunque l’archetipo di ogni dualismo antagonista, almeno finché l’uomo, creato da Dio per abitare nella sua stessa dimora, non ne fosse rimasto inesorabilmente lontano, come il figliol prodigo della parabola.
E così sarebbe stato per sempre, se non fosse venuto qualcuno a capovolgere la grande clessidra, facendo scorrere il tempo del ritorno del figliol prodigo e rendendo così possibile il percorso a ritroso del cammino fatto da Adamo ed Eva, riconducendo a Dio tutti quelli che essi avevano disperso per le vie del mondo, vivi e morti.
Qualcuno, dunque, che non fosse stato autore o vittima dell’iniziale dissesto, la cui azione esercitasse una influenza uguale e contraria sul creato rispetto a quella cagionata dai progenitori.
Per questo Dio inviò il Suo stesso Figlio, il quale, per una misericordia di cui ignoriamo la grandezza, doveva insieme a quella divina assumere la natura umana, al fine di emendarla e restituirle la primordiale integrità. Non è per generare il Verbo Eterno che Dio ha bisogno di Maria - il Verbo Eterno è prima di tutti i secoli - ma per generare un figlio che possa essere di esempio per tutti gli uomini come tali, perché Dio e Uomo al medesimo tempo. Come il Figlio di Dio è lo specchio di Dio, così il Figlio dell’Uomo è lo specchio del Figlio di Dio. È attraverso la maternità sublime di Maria che il Figlio di Dio si congiunge perfettamente al Figlio dell’Uomo, affinché l’uno completi la bontà dell’altro, offrendosi alla conoscenza ed alla imitazione da parte di tutti gli uomini. A Maria era stato concesso di nascere priva delle rovinose conseguenze della colpa originale, poiché solo un grembo incontaminato avrebbe potuto formare la dimora del Figlio di Dio. Si trattava di una condizione non diversa da quella della «madre dei viventi» prima della mortale avventura, cui però seppe aggiungere una fede tanto grande e luminosa, da non mettere mai in pericolo, neppure per un attimo, il progetto della redenzione.
Maria si era tenuta lontano dal frastuono delle piazze e dalla lusinga dei templi, lasciando che la Sua mente ed il Suo Cuore, sollevati da quella contaminazione, ricevessero istruzione ed alimento solo da Dio. Questi la scelse per realizzare il disegno della salvezza, elevandoLa fino a Sé, ed Ella divenne la Vergine della Rivelazione, poiché per mezzo di Lei, per la prima volta, la Verità era venuta alla luce.
Come Eva si era proposta quale ostacolo alla Rivelazione di Dio a causa della disobbedienza, così Maria ne aveva favorito l’attuazione offrendo interamente Se Stessa alla volontà del Padre; perciò la Verità Le è stata affidata, perché Lei la custodisse nel Suo grembo purissimo e la consegnasse al mondo; un compito che non si esaurì nella grotta di Betlemme, poiché ciò che nell’ordine assoluto è già avvenuto, deve ancora verificarsi nella storia degli uomini, nelle cui menti la Verità stenta a nascere.
Eva aveva inaugurato la stagione del mistero e della cecità, avendo ritenuto con Adamo che la vera conoscenza si potesse ottenere da una cosa creata e al di fuori della volontà del Creatore. Maria aveva riportato lo sguardo verso la giusta direzione, scegliendo Dio quale interlocutore universale, unico in grado di somministrare la Verità che guarisce l’errore e orienta la storia verso il suo approdo.
È Lei che dà a Cristo un corpo integro, assumendo il quale Dio si fa piccolo potendo ugualmente compiere l’opera rigeneratrice.
È Maria che procura al mondo quell’Agnello senza difetti, il cui sacrificio propizierà la perfetta e definitiva riconciliazione.
Ella è scelta dalla Trinità Divina, Sacra Famiglia del Cielo, per prendere dimora fra gli uomini, onde essi possano, preceduti e guidati da questa Madre, percorrere sicuri la via del ritorno che è Cristo.
Offrendo il proprio corpo immacolato, Maria riconsegna idealmente la costola al nuovo Adamo, il quale non è né maschio né femmina, ma maschio più femmina come il Primo, non essendo chiamato alla generazione poiché è anche l’Ultimo.
Satana dunque non ha più spazio, non può più insinuarsi tra Adamo ed Eva per sedurli entrambi: nel Figlio è ricomposta la incorruttibilità dell’Uomo, fatto a immagine e somiglianza del Creatore.
Maria seppe resistere per tutta la sua esistenza terrena a quanto poteva indurla in tentazione, cosicché lo Spirito, che non visita il peccatore, mai più si ritrasse da Lei: Sono Colei che Sono nella Trinità Divina. Ella ora abita nella Trinità, sottratta alle limitazioni dello spazio e del tempo, ugualmente sollecita però verso l’umanità dolorante, che Cristo le affida dalla croce; in prosieguo di tempo, tutti quelli che avrebbero rinnegato la genitura di Adamo per essere generati alla vita eterna, sarebbero transitati, come Gesù, per il grembo di Maria. Nessuno può dirsi cristiano se non accetta la Sua maternità.
Ella è la Madre elettiva, custode e dispensatrice di ogni cosa necessaria alla vita dei figli di Dio: di un corpo incorrotto e della Verità.
Di un corpo incorrotto (ecco perché la terra della grotta, prima simbolo del dissesto della creazione, divenne la terra buona degli inizi, capace di sanare le piaghe del corpo e dell’anima), nuovamente compatibile con lo Spirito di Dio e liberato dal peccato;
della Verità, che il Padre rivela attraverso il Figlio, unica depositaria della giusta destinazione delle cose create, seguendo la quale gli uomini si liberano dai gravami della conoscenza incerta fondata sugli opposti archetipici del bene e del male, onde avere accesso all’albero della Vita (cfr. Gen. 3,22-24).
La Vergine della Rivelazione, che aveva seguito da presso lo svolgersi delle nostre esistenze disordinate, ci rammenta la sua partecipazione di donna incontaminata al disegno divino della salvezza universale, proponendosi quale modello esistenziale, non solo spirituale, per le donne di questo tempo.
Fu infatti la Donna che a Cana di Galilea offrì al nuovo Adamo l’occasione di porre mano all’opera redentrice.
La società in cui viviamo, che è solo vagamente aspersa di cristianesimo, vuole che le donne guardino piuttosto ad Eva, la quale non seppe evitare le storture di un malinteso amor proprio, ed insieme le invita a credere che la loro liberazione passa attraverso l’assunzione del modello virile, basato sulla competizione e sul primato. La Vergine della Rivelazione, portatrice di un messaggio che promuove la pace e l’armonia, invita la parte femminile dell’umanità credente a conoscere e vivere il proprio ruolo originale ed esclusivo, necessario anche alla salvezza della parte maschile; infatti ogni uomo, maschio o femmina, comincia ad essere un cristiano già nel grembo materno, se sua madre ha chiesto a Dio di poter dare un fratello a Gesù. Questa funzione di maternità casta, si attua ogni volta che una donna mostra col proprio candore Cristo ad un uomo, generandolo alla fede come Maria. Le parole della Vergine della Rivelazione sono dunque liberatrici ed illuminanti, poiché mentre ci rafforzano nella certezza della eguale dignità di ciascuno, ci esortano a riconoscere che Pietro senza Paolo non forma la Chiesa completa, come il maschio senza la femmina non costituisce l’Uomo.
Maria ci invita a porci nella giusta relazione con il prossimo, che è l’Amore mostratoci dal Cristo, che non misura e non giudica, ma favorisce la vita di tutto ciò che vive.
Paolo, giunto dopo, è nei confronti di Pietro come il pagano rispetto all’ebreo e come il laico rispetto all’ecclesiastico, ma Cristo ha scelto per Sé entrambi, perciò essi perdono il loro vigore se separati o insieme nella non giusta relazione.
E questo vale più di una mera immagine poiché, a ben riflettere, fu il Padre celeste a suggerire a Pietro, come per folgorazione, di aprire il cuore al Figlio Suo, riconoscendolo come tale (cfr. Mt. 16,15-17); mentre fu il Risorto ad illuminare la mente di Saulo di Tarso, facendone il luogo della divulgazione della Verità.
Cristo costituì per Pietro il compimento della Rivelazione del Dio che aveva già parlato ad Abramo, a Mosè ed ai profeti, mentre a Paolo si presentò come una rivelazione affatto nuova, poiché con quella doveva suscitare credenti tra i pagani, uomini che per accedere alla fede non avrebbero potuto far ricorso alla propria memoria storica. Pietro rappresenta la continuità fra il Vecchio e il Nuovo Testamento, fra le antiche alleanze e la definitiva, ereditando la funzione di testimone del Dio Spirito, prima Signore di Israele, ora Padre per tutti gli uomini. Paolo è colui che riceve una vista particolarmente acuta, che libera dalla cecità cui costringe il mistero, poiché per lui Cristo è la Verità del Padre che si rende accessibile all’uomo, adattandosi al piccolo passo di questo: «... Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv. 4,23).
La Bibbia e la storia ci mostrano che a Pietro fu dato di conservare l’ufficio e l’autorità che ne promana, qualunque fosse stata la sua condotta, mentre a Paolo sarebbero venuti meno ogni volta che avesse errato, poiché la Verità - che è superamento degli opposti - non ammette contrari.
Il potere di sciogliere e legare, di pascere e confermare, tutti di provenienza divina, fanno di Pietro quel primogenito che può tenere per sé tutta l’eredità secondo la legge, oppure dividerla coi fratell per amore. La regalità dei due apostoli non somiglia a quella dei monarchi mondani, ma a quella di Cristo, che la esercitò solo come servizio all’umanità intera.
Egli aveva inaugurato una civiltà tanto grande da oscurare tutte le altre, in cui gli uomini sarebbero stati omogenei nel culto ed anche nel viver civile, resi santi dal battesimo e da una condotta illuminata, ognuno proteso alla edificazione di un altro se stesso, che, dopo il passaggio necessario attraverso la morte, dimori per sempre - come già la Vergine il cui corpo non conobbe corruzione (Il mio Corpo non marcì né poteva marcire...) - nella Trinità Divina.
Maria ci rammenta alle Tre Fontane che tutto ciò è scritto nel libro che custodisce fra le mani, quella Bibbia cui dobbiamo ricorrere per trarre la sapienza che orienta la vita, la quale si rivela a chi possiede la giusta chiave di lettura, che è la fede di Abramo, di Pietro, di Paolo, la Sua e di quelli che si lasciano guidare da questa Maestra nel difficile compito dell’interpretazione (cfr. Conc. Ecum. Vat. 11, Lumen gentium.
Le scaglie cadute dagli occhi del veggente sono le stesse che rendono ciechi coloro che ritengono la Bibbia unicamente un libro di precetti e preghiere, limitante però quando si voglia passare dalla mera astrazione della religione ad un approfondimento scientifico della realtà. La Madonna che appare a chi si ostina a considerarla una donna qualsiasi, seppure dotata di buone virtù, non vuole togliere la parola al miscredente, ma offrirgliene di nuove e più illuminanti, perché con quelle possa giungere al sapere vero che smaschera ogni equivoco: la Verità infatti non è una astrazione, ma è ciò che vive e continua a vivere nonostante la morte, di cui muore soltanto ciò che non è Verità, ma astrazione.
Ella, Madre dei credenti, accennò quel 12 aprile 1947 anche all’unità dei cristiani, obiettivo fondamentale per la Chiesa postconciliare, che forse l’Apostolo delle Gerti potrà recare con sé rientrando nell’Ovile Santo, conscio di dover pagare oggi un debito contratto molto tempo fa con la donna e dunque con Maria; ... fu la moglie che suggerì a Cornacchiola di compiere la pia pratica in onore del Sacro Cuore di Gesù, senza la quale egli non si sarebbe salvato.
Ed è il corpo della Donna, prima fra le creature, che sperimenta la piena esecuzione del testamento di Dio, il quale volle che il tesoro della vita eterna fosse per tutti gli uomini.
Un criterio applicato dalla Chiesa per accertare l’autenticità di una apparizione soprannaturale è quello relativo alla bontà dei frutti che essa produce. Fin qui si son potuti apprezzare per lo più quelli che la grazia di Dio elargisce indipendentemente dalla disposizione interiore degli uomini o in contrasto con essa, cioè le guarigioni miracolose del corpo e le conversioni. Vi è poi un beneficio spirituale che è tradizionalmente legato alle mariofanie, tale da non costituire una novità in senso assoluto, che è il sorgere nei fedeli di un più forte desiderio di riparazione e preghiera, sulla cui bontà e utilità non c’è bisogno di aggiungere nulla. Tuttavia il frutto più specifico di questo evento, che si è voluto in questo capitolo appena indicare, non sembra essere ancora venuto alla luce, ovvero germinato nella mente dei fedeli. Ci si riferisce alla PACE che le parole della Vergine della Rivelazione recano agli uomini di buona volontà, cioè a coloro che si dispongono ad accogliere la novità, come i Pastori ed i Re Magi accorsi alla grotta di Betlemme. Si tratta della vera pace, poiché ad ognuno è additato il posto affidatogli dal Signore, occupando il quale nessuno può sentirsi diminuito o aumentato, trovandosi nella giusta relazione con tutti gli altri e potendo dare efficacemente il proprio contributo alla salvezza comune. Pace fra cattolici e protestanti, pace fra religiosi e laici, fra uomini e donne e in generale fra tutti quelli che la «scienza del bene e del male» ci indica come opposti, ma che armonicamente congiunti sono fonte di sicuro bene gli uni per gli altri.
Poniamoci tutti a lavorare su questi argomenti, poiché tutti indistintamente abilitati dalla Vergine della Rivelazione, che dà nuovo senso e significato alle nostre esistenze.
Considerazioni sulla parte nota del messaggio
La Madonna delle Tre Fontane: luoghi e storia
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