Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Omelie di Monsignor Antonio Riboldi e altri commenti alla Parola, a cura di miriam bolfissimo
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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » sab dic 01, 2012 8:43 am

      • Omelia del giorno 2 dicembre 2012

        I Domenica di AVVENTO (Anno C)



        VEGLIATE E PREGATE
Oggi si apre l'anno liturgico e chiamiamo questa domenica la I di Avvento. Per tanta gente battezzata, e che quindi dovrebbe essere immersa nella vita di Dio, tanto da sentirsi nella celebrazione dei Momenti fondamentali della Storia della salvezza, come nell'anticamera del Cielo, purtroppo questo dice poco o nulla, al massimo è considerato un tempo in cui 'bisogna pensare a come fare il Natale', sicuramente ben lontano da quello di Gesù. Il consumismo davvero ha appannato la bellezza divina del Natale di Gesù. Proviamo allora a riscoprire tale bellezza, entrando nel tempo di Avvento, per viverlo come un camminare sui passi della vita di Cristo, giorno per giorno, conformandoci a Lui, prima attendendoLo, poi cercando di arrivare a quella conoscenza che fa dire a Gesù, nell'Ultima Cena: 'Voi siete miei amici, perché tutto quello che il Padre mi ha rivelato l 'ho fatto conoscere a voi'.

"La santa Madre Chiesa - afferma il Concilio - considera suo dovere celebrare con sacra memoria, in giorni determinati, nel corso dell'anno, l'opera di salvezza del Suo divin Sposo... Nel corso dell'anno, poi, distribuisce tutto il Mistero di Cristo, dall'Incarnazione e dalla Natività, fino all'Ascensione, al giorno di Pentecoste e nella attesa della beata speranza e del ritorno del Signore". Potremmo allora affermare con serenità che oggi, I Domenica di Avvento, inizia l'attesa della venuta del Signore: un'attesa che è come un irrompere di Dio nella nostra vita, che vuole riallacciare con ciascuno di noi quel legame di affetto, che era nel Suo piano originario, fin dalla creazione. L'Avvento è come l'attesa del ricomporre il legame di amicizia che era nel Cuore di Dio, quando ha creato l'uomo, quando ha voluto che ciascuno di noi venisse alla luce. Come un preciso Suo piano.

Una stupenda realtà, un'incredibile fedeltà, che certamente non poteva essere realizzata da noi, ma che solo il Padre poteva attuare. Incredibile dono, spesso non conosciuto nella sua pienezza. Sfugge alla nostra povera e limitata mente il grande significato di questo disegno di amore del Padre per gli uomini, per ogni uomo, ieri, oggi e sempre. Ma un disegno che attende ora la nostra risposta - non vi è amore vero senza la libertà di dire 'sì' o 'no' - risposta che dovrebbe essere di fiducia piena e grande commozione, e invece troppe volte non c'è, perché neppure ci siamo resi conto della proposta del nostro Dio, la Sua Presenza passa inosservata nella nostra vita, la Sua Voce è sopraffatta dalle mille altre voci che ci avvolgono. Non continui ad essere così ottusa la nostra mente, chiuso il nostro cuore, disperso il nostro agire. L'Avvento è Dio che ci offre una nuova opportunità di poterlo davvero incontrare personalmente e confrontarci con Lui, attraverso la Sua Parola. Ascoltiamola:
  • Ecco, verranno giorni - oràcolo del Signore - nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda. In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra. In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia. (Ger 33,14-16)

Che grande giorno quello in cui il Figlio di Dio fa irruzione nella storia dell'uomo, nella storia di ciascuno di noi. Egli vuole forgiarci a Sua immagine, come eravamo in origine, fino a fare sparire le croste che si sono addensate sulla nostra bellezza, così come è uscita dalle mani, dal Cuore del Padre. Ma come in ogni attesa occorre stare vigilanti, con l'animo attento e il cuore pronto, come ci suggerisce Gesù nel Vangelo:
  • In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. Stati attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell'uomo». (Lc 21,25-28.34-6)
Viene da domandarci seriamente: Interessa ancora l'amore di Dio, che si fa uno di noi? È ancora motivo di grande forza e gioia sapere che Gesù ci è vicino in ogni istante della nostra vita, che siamo ancora, come nel giorno della creazione, nel Cuore del Padre? Siamo consapevoli del grande dono che, nella fede, ci è stato offerto? Proviamo a pensare che cosa significhi per due persone che si vogliono bene attendere il momento dell'incontro. Volersi bene altro non è che essere talmente 'presi' nella vita dell'altro, che questi occupa ogni spazio. Questo dovrebbe essere il nostro sentire verso Dio: l'Avvento dovrebbe essere un risvegliare in noi la vibrazione dell'attesa, al pensiero della gioia dell'incontro. Gesù, a Natale, torna a venire tra di noi.

Quando doveva nascere, a Betlemme, non trovò spazio nelle vite della gente del suo tempo, troppo indaffarata in mille cose da fare, da affrontare. Nacque in una grotta. Solo gli Angeli fecero grande festa e la comunicarono a pochi poveri pastori, che vegliavano sul gregge, nella notte. Erano anime semplici ed umili, per questo accolsero l'invito. Andarono nella grotta e furono pieni di gioia.Dovrebbe essere così anche per noi. L'Avvento, l'Attesa vigile di sentire nel Natale di Gesù come una grande ventata di gioia: la gioia di chi finalmente accoglie la chiamata degli Angeli e cerca Gesù. Un poco come la gioia che trovò il grande poeta Clemente Rebora che, dopo avere vagato per anni nell'incertezza, fu raggiunto dalla Grazia, simile al canto degli Angeli, che svegliò i pastori, la notte di Natale, ridando a lui e a loro la gioia di avere ritrovato il senso della vita: la conversione. Così descrive quel giorno in una bella poesia:
  • E venne il giorno, che in divin furore la Verità di Cristo mi costrinse
    a giustiziar e libri e scritti e carte.
    Oh sì che quello fu un gran bel stracciare!
    Allor che quanto m'era più del male ridotto fu a un lacerato ammasso, mi sentìi lieve in libertà felice.
    Ed ecco repentino a me salire dal fondo del fracasso della strada un patetico annuncio a me ben noto:
    'Strascèèè ... Ehi, straccivendolo!'.
    Egli pesta passo per passo all'ultimo gradino, ingombra il sacco sopra la stadera: per poco prezzo quella roba tolse.
    Il cittadino accendere della sera mi ritrovò solo a pensare il tempo: l'anima mia, posta nell'eterno
    mestizia, forse, non tristezza colse" (Clemente Rebora)
Ora tocca a noi cogliere l'occasione dell'Avvento: vivere questo tempo prezioso come un'attesa fremente e vigile di Gesù, che vuole vivere in mezzo a noi... in noi! Ma saremo capaci?



NB. Dopo anni di dialogo sul Vangelo, sarei davvero felice se, voi che mi leggete, mi deste qualche indicazione, per migliorare il dialogo sulla Parola. Avete qualche suggerimento in proposito al commento? Trovate quello che cercate? Un grande grazie di cuore.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven dic 07, 2012 10:29 am

      • Omelia dei giorni 8 e 9 Dicembre 2012

        Solennità dell’Immacolata e II Domenica di Avvento (Anno C)
"O Donna bellissima, Maria, attraverso te vogliamo ringraziare il Signore per il Mistero della tua bellezza. Egli l'ha disseminata qua e là sulla terra, perché lungo la strada tenga deste nel nostro cuore di viandanti l'insopprimibile nostalgia del cielo... Santa Maria, donna bellissima, bellissima come un plenilunio di primavera, facci comprendere che sarà la bellezza a salvare il mondo". (Don Tonino Bello)

La Chiesa, come a voler anticipare la gioia vicina del Santo Natale - immenso prodigio dell'amore del Padre, che ci fa dono del Figlio - pone la Solennità dell'Immacolata alla vigilia del Santo Evento. Può essere difficile per noi, anche solo ammirare come sia la vita di una creatura di Dio, da Lui come messa 'in disparte', quasi a proteggerla, perché non fosse contaminata dal peccato originale e rimanesse quindi immacolata. Maria è l'unica creatura, una donna, che non ha conosciuto la miseria del peccato, come la sperimentiamo noi tutti. E' la nostra Mamma, in cui specchiarci giorno per giorno, se vogliamo, per ritrovare la bellezza del nostro essere figli, noi che arranchiamo nella vita per partecipare al Cielo. Molte volte penso a Maria, la fanciulla di Nazareth, alla sua vita feriale, quotidiana: una vita come la nostra.

Una donna che ha vissuto gioie e sofferenze, riposo e fatica, come noi. Una donna che nulla aveva a che fare con i tanti modelli di vita che pongono la bellezza nella sola dimensione estetica, tanto superficiale. Maria era la Bellezza, forse non notata da chi incontrava, tanta era la sua umiltà, ma fulgida agli occhi di Dio: Maria è la Bellezza Immacolata. In tutto era simile alle donne del suo tempo, tranne che nella santità della vita, mai intaccata dal peccato. Viene il capogiro al solo immaginare quanto grande, profonda e sincera fosse la sua bontà, illuminata dall'umiltà. Maria, come tutte le fanciulle, voleva vivere la bellezza della maternità ... e per la più straordinaria delle maternità era già stata redenta, fin dal suo concepimento.

Nei disegni del Padre doveva essere la Madre del Figlio di Dio: questa la sua grandezza. Una mamma che ha vissuto la vita del Figlio di Dio, Gesù, 'carne della sua carne', seguendolo in tutto, quasi sempre nel silenzio e nel nascondimento. Una mamma che ha accettato di condividere tutto del Figlio fin sulla via del Calvario, fino alla crocifissione: “Stava la madre sotto la croce” accogliendo il Suo ultimo desiderio, di amarci e seguirci e consolarci come figli suoi. È da quel momento: 'Donna, ecco tuo figlio!', che è davvero nostra mamma, come lo è stata per Gesù. Ma il nostro Salvatore ha anche voluto che fosse vicina ai suoi Apostoli, per sostenere la Chiesa nascente a Pentecoste.

Maria, una vita totalmente spesa per i disegni del Padre: ha condiviso con noi il cammino verso il Regno del Suo Figlio, dove Lei ci ha già preceduto con la sua Assunzione, in corpo e spirito, grazie al suo essere l'Immacolata. Lei è la nostra Mamma, che fa sentire la sua vicinanza, a volte in modo miracoloso, come accade a Lourdes o in altri luoghi delle sue apparizioni, per farci gustare la gioia di essere amati, di essere figli. La stessa gioia profonda espressa da lei nel canto di lode a Dio, quando ancora era una giovane fanciulla, agli inizi del suo percorso di fede:
  • L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore. Ha guardato a me, alla sua povera serva, e tutti d'ora in poi mi diranno Beata. Dio è potente, ha fatto in me cose grandi. Santo è il suo Nome. La Sua misericordia resta per sempre, per quelli che lo temono. Ha dato prova della sua potenza: ha distrutto i superbi e i loro progetti. Ha rovesciato dal trono i potenti, ha rialzato da terra gli oppressi. Ha colmato di beni i poveri, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Fedele nella Sua misericordia, ha risollevato il suo popolo, Israele. Così aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre. (Lc 1,46-55)
Non basteranno mai i commenti più profondi, le parole poetiche più intense, per esprimere la Bellezza e Grandezza di Maria, ma facciamoci ancora aiutare un pochino, a rif1ettere sulla nostra Mamma, dal caro Paolo VI, che tanto l'ha amata quaggiù ed ora può contemplarla in Cielo:
  • Io immagino che quanti hanno un sentimento di grande devozione alla Madonna guardino a lei con l'occhio amoroso e semplice di chi vuoi vedere bene, capire, godere di questa visione che la Chiesa ci pone davanti. 'E se anche qualcuno fosse in diverso stato d'animo, vorrei pensare che davanti a Maria Immacolata si fermasse pensoso e domandasse a se stesso: che cosa vedo? Domando a tutti: che cosa vedete?... Che cosa vediamo? Vediamo una figura umana perfetta. Chi ha senso umano può capire la potenza di questa definizione. Noi siamo tutti degli ammiratori dell'umanità, anche quando la denigriamo e offendiamo. Ne siamo ammiratori perché siamo noi stessi e perché sappiamo quali immense ricchezze nasconda questo nostro essere che a noi stessi tanto spesso è misterioso, nel vederlo riportato nelle sue linee ideali perfette, dove non c'è nessuno squilibrio, nessuna disarmonia, nessuna imperfezione, nessun inquinamento, nel vederlo immacolato... Una visione di bellezza, dopo quella di purezza, viene al nostro spirito; e siamo quasi sospinti dalla stessa visione a chiederci: perché? Questa bellezza in che cosa ha la sua radice? In Maria... c'è un pensiero di Dio che si rispecchia nella sua integrità... Qui abbiamo un ritratto di Dio, finalmente non turbato, non inquinato. Possiamo riconoscere, meglio di qualsiasi altra creatura, che cosa sia Dio, conoscendo la Madonna. È una bellezza divina che si riflette nella Madonna e non soltanto per l'esser suo, ma per le cose che questo essere è destinato a compiere per disegno divino... Maria sarà la madre del Cristo, la madre di Dio; sarà associata al mistero più grande che la storia umana possa registrare... sarà l'artefice materiale, sì, ma consenziente, volontaria, di questo mistero che è il mistero dell'Incarnazione... E se ci avvicinassimo, e se provassimo davvero a volgere i passi della nostra anima verso questa figura non più vista da lontano, ma in mezzo alla nostra vita, quale sarebbe l'impressione che noi proveremmo?... Una grande venerazione, proprio per la delicatezza imposta da tutte le cose perfette: quando sono portate all'estremo della perfezione incutono una riverenza. Qui fermo un momento il pensiero... Quando vediamo una cosa che deve essere rispettata proprio perché è delicata, associamo a questa un concetto di fragilità, di inquietudine, di pavidità. Ma non è vero... anche pensando alla figura della Madonna quale il Vangelo ce la dà, così discreta, dolce, sommessa, mai noi la vediamo in posizione di pavidità e d'incertezza. È Maria che apre la storia dei miracoli di Cristo, quasi forzando l'ora del Signore ed è lei che sta sotto la croce... Quanta forza!... Questa figura di dolcezza e di bellezza procede avanti e cammina sulle onde della storia come un esercito forte... Non l'idea di una debolezza timida e pavida dunque, ma l'idea di qualche cosa che milita nel dramma della nostra storia e che finisce per vincere e per trionfare... Del resto, non c'è virtù se non c'è resistenza, se non c'è un superamento d'ostacolo: questa è virtù. E' vero che la virtù, in noi uomini, si associa alla debolezza del nostro essere, - ricordiamoci sempre che siamo dei decaduti, che siamo dei fragili, c'è qualche cosa di malato in noi, c'è una disfunzione, prodotta, lasciata dalla caduta originale, quella caduta che fu risparmiata a Maria Santissima - e perciò le nostre capacità, le nostre virtù sono in un vaso fragile e hanno bisogno di difesa. Ma, detto questo, dobbiamo anche aggiungere che la virtù non è debolezza, e deve da se stessa, in un certo senso, difendersi ed affermarsi. E questo è tanto più da dirsi e da affermarsi oggi dato che molte difese esteriori sono cadute; bisogna essere virtuosi, non perché si vuol essere virtuosi, non perché sia facile esserlo. Dobbiamo essere onesti e galantuomini principalmente per nostra autonoma e spontanea volontà. Dobbiamo diventare così forti e così coscienti e così decisi a conservare i valori della vita morale e della vita spirituale, da renderci immuni da tutti questi stimoli contrari, che incontriamo nel nostro vivere sociale oggi. Dobbiamo essere capaci di vivere da buoni cristiani e, direi, da santi, anche in mezzo a un mondo corrotto e tentatore... E a questo proprio ci invita il mistero dell’Immacolata Concezione... Dobbiamo portare la nostra purezza e il nostro amore della virtù, non tanto e non solo negli atti esteriori, ma nel cuore, dove nascono i nostri pensieri, dove veramente siamo noi stessi, nella cella interiore della nostra psicologia, nel cenacolo dei nostri pensieri; lì dobbiamo essere amorosi di Dio, lì desiderosi di essere buoni e puri, lì cercare di filtrare le impressioni cattive che nascono dentro e fuori di noi e cercare che lì la fiamma del proposito cristiano sia tranquilla, luminosa, sia pura. E se non riusciamo da noi, ecco... l'invocazione: 'O Madonna, dacci la forza, dacci la virtù, dacci tu ciò che ci manca'. E Maria, che non è un essere a noi estraneo e lontano, ma che ci è madre, a chi l'invoca darà questa forza e questa purezza.
      • Voce di uno che grida nel deserto…
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C'è sempre nello stile dell'amore di Dio il far precedere l'imminenza di un Suo intervento - tanto più se clamoroso - da fatti o persone, che avvertano gli uomini, affinché siano pronti e preparati. E questa volta è davvero incredibile l'intervento che Dio ha in cuore per noi, degno di un Padre misericordioso che intende riallacciare l'amicizia con l'uomo, ogni uomo, per 'rifarci' Suoi figli, dopo il peccato originale. Non vi sono parole per descrivere gli interventi di Dio nella storia dell'umanità, ma un segno è comune a tutti: Dio sceglie un Suo profeta, perché aiuti noi, Suoi figli, a cogliere la grandezza di quanto sta per compiere e ci prepariamo a cambiare totalmente i rapporti tra noi e Lui...

Per l'Evento più straordinario, pensato da Dio per noi, - mandare suo Figlio, fatto carne come uno di noi, per salvarci con la parola, i fatti e soprattutto la morte in croce, dono supremo dell'amore, ¬sceglie un uomo, Giovanni il Battista, che nel deserto si prepara per la missione che Dio gli ha conferito dall'eternità. È quello stesso bambino, cugino di Gesù, che aveva 'sussultato nel seno di Elisabetta" quando sua madre aveva incontrato Maria, già incinta del Figlio di Dio... Quanto belli e misteriosi sono sempre i progetti di Dio! Giovanni, un bambino, diventato uomo secondo lo Spirito di Dio, che oggi ci impressiona e scuote la nostra pigrizia, anche solo leggendo quanto dice:
  • "Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell'Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell'Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano; predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!». (Lc. 3, 1-6)
Parole, quelle del Battista, che non lasciano spazio ad equivoci o titubanze. È un richiamo breve, ma incisivo ed efficace, che scuote le coscienze, esige un cambiamento radicale, se si vuole fare strada all'opera che Dio, per mezzo di Suo Figlio Gesù, vuole compiere nella nostra vita, nella storia dell'umanità. E l'Avvento è proprio il tempo della preparazione a tutto questo. Le tappe dell'anno liturgico in cui si fa 'memoria' della vita di Gesù è una nuova attuazione del progetto del Padre, rinnovata per ogni generazione umana.

Oggi le parole di Giovanni il Battista sono rivolte direttamente a noi. Siamo pronti ad ascoltarlo o non corriamo il rischio di farci rintronare dall'urlo del consumismo, dal chiasso del mondo, che trasformano la venuta di Gesù solo in un'occasione profana per fare una festa, che finisce il giorno dopo? Ascoltiamo Giovanni, prepariamoci, siamo vigilanti, per essere pronti ad accogliere Gesù, l'unica ragione e l'unico senso profondo dell'esistenza di ogni uomo. Gesù è il nostro Signore e Re, l'Unico che può salvarci e guidarci alla Luce piena e alla Vita senza tramonto. Lui è la nostra “Via, Verità e Vita”, la pienezza della Gioia. E se ci sentiamo fragili o incapaci, preghiamo Maria, che ci aiuti ad accogliere Gesù, il Figlio di Dio e suo, che ci viene incontro, per salvarci, oggi e per sempre:
  • Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte...
quando finalmente Lo incontreremo 'faccia a faccia '.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun dic 17, 2012 11:14 am

      • Omelia del giorno 16 Dicembre 2012

        III Domenica di Avvento (Anno C)



        Maestro, che dobbiamo fare?
Ci avviciniamo sempre di più verso il Santo Natale: grande Festa, che dà inizio ad un mondo nuovo. Un mondo, non solo in cui Gesù torna ad essere tra di noi, ma ci invita ad impostare la vita come un'attesa, 'avvento', a quella vita eterna con Lui, che fin dall'eternità il Padre aveva progettato per ognuno di noi, per ogni uomo apparso sulla terra. Scriveva don Tonino Bello: 'ÉAvvento! Ricordiamoci che Gesù è venuto sulla terra. Dio ha detto: 'Basta! Non voglio stare così solo, voglio scendere a contatto con l'uomo'. Si è fatto uomo. Ha sposato una ragazza bellissima, che è l'umanità. Dio si è come innamorato di questa ragazza che siamo noi. Ha detto: 'La voglio sposare'. E dinnanzi alla sua creatura, che opponeva resistenza ha detto: 'Non ti preoccupare. Ti purifico io. Anche se hai delle macchie sul volto, te le tolgo io. Anche quando sarai molto grande e vecchia, appesantita dagli anni e dal peccato, ogni giorno verrò a toglierti ogni macchia e ogni ruga dal volto. Ogni giorno diventerai più giovane. Ti farò splendente.

Ci vuole bene il Signore, tanto bene da morire. Nell'Avvento che stiamo vivendo c'è tutto questo, se gli faremo spazio. Gesù è venuto e non si stanca mai di venire. Viene anche adesso. Ogni giorno. Viene nella comunità. È presente tutte le volte che ci uniamo in Nome Suo. Facciamo in modo di non mancare alla Sua chiamata. Almeno la Domenica. Vuole dirci che ci vuole bene e basta. Non vuole niente da noi. Vuole soltanto dare tutto l'amore che porta nel Cuore. Il Signore viene anche nella Sua Parola. Facciamo il proposito in questo Avvento di leggere un brano del Suo Vangelo, perché non conosciamo bene la Sua Parola. Ci ha mandato nel Vangelo una lettera di amore. Una lettera bellissima e tanti di noi la mettono nel cassetto, senza aprirla. Se invece viviamo ciò che Lui è venuto a dirci, la nostra vita cambierà.

La nostra vita cambierà. Ricordiamoci sempre: è davvero sorprendente come la gente, allora, vedeva in Giovanni chi annunciava la notte dell'umanità, per l'imminente attesa del Messia, e giustamente chiedeva: 'Che dobbiamo fare?'. Una domanda che sorge in chiunque senta il bisogno che Dio nasca in noi. Sappiamo tutti come stiamo vivendo un momento di grave crisi economica e familiare, che fa soffrire tante persone. Ogni famiglia spera che sorga chi sappia indicare ed attuare non solo una via lavorativa, ma ancor più sappia 'realizzare' una vita di serenità. Ma chi si affida solo alle offerte effimere del mondo, avrà momenti solo di vaga ed incerta serenità, che può tramontare con estrema facilità. Ecco dunque il bisogno di qualcuno che indichi la via della sapienza dello Spirito. Giovanni Battista, che Dio aveva mandato come colui che doveva preparare 1'avvento del Messia, invita con chiarezza ad una forse più dura conquista, ma sicuramente sicura e duratura: cambiare stile di vita.
  • In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: 'Che cosa dobbiamo fare?'. Rispondeva loro: 'Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto'. Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: Maestro, che cosa dobbiamo fare? Ed egli disse loro: 'Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato'. Lo interrogavano anche alcuni soldati: 'E noi, che cosa dobbiamo fare?'. Rispose loro: 'Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe'. Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti, dicendo: 'Io vi battezzo con acqua, ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile'. Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo. (Lc 3, 10- 18)
Commentava il grande e buon Giovam1i XXIII:
  • Gesù sta nascendo a Betlemme come Redentore dell'umanità tutta intera. Additandolo alle folle sitibonde di luce e di interiore consolazione, Giovanni il Battista diceva di Lui: 'Ecco colui che toglie i peccati del mondo'. È la prima e grande benedizione del Natale, questa! Ciascun uomo si purifica, vede chiaro innanzi a sé, si dispone a servire più compiutamente alle sue responsabilità, non sorretto da altro ideale che non sia questo: o Redentore, o Redentore! Gesù che nasce è tutta la nostra gloria. Lui dà la grandezza al suo popolo. Senza di Lui la vita umana è un gemito di popoli e di singoli, gemito di chi invano si strugge verso una robusta edificazione individuale e sociale. Così ieri, così per l'avvenire. Le costruzioni che non hanno in Gesù la pietra fondamentale, non accettano la Parola e la Redenzione da Lui compita, sono destinate tutte, al primo vento, a cedere e perire. Gesù che nasce è veramente la nostra Pace. Non è dei 'potenti' vedere la grandezza di quel Bambino nella grotta. Solo gli umili, invece, chiamati e condotti a Lui dalla fede, ne riconoscono la forza e lo adorano. Pensateci bene, o fratelli. Gesù, che ci redime, dà la gloria, che ci dà la Pace, e veramente a tutti.
Non resta a noi, in questi giorni, che preparare il nostro presepio nell'anima, in modo che Gesù trovi il posto dove nascere. Sarà il nostro cuore, fragile e povero, come è il presepio. Ma è proprio negli umili e miseri, che Dio davvero trova il suo posto. Ve lo auguro di cuore. Siamo tutti bisognosi di trovare finalmente la Gioia vera e la Pace duratura, Gesù. Ma occorre preparare la nostra grotta per ospitarLo. È lì e solo lì, che sentiremo il canto degli Angeli: 'Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama'. E noi vogliamo essere tra questi.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven dic 21, 2012 2:46 pm

      • Omelia del giorno 23 Dicembre 2012

        IV Domenica di Avvento (Anno C)



        Il Padre si fa strada tra di noi attraverso Maria
Facile immaginare la grande attesa della Solennità del Natale di Gesù, per chi ha vera fede, poiché il Natale altro non è che il grande Evento che segna il ritorno di Dio tra di noi, come Padre. È davvero incredibile la storia di Dio tra di noi. Ci aveva creati per essere sempre felici con Lui, ma tutto dipendeva dal nostro 'sì' al Suo Amore. Un sì che è stato messo alla prova ed è stato rifiutato, per preferire il nostro egoismo, Quel 'no' dei nostri progenitori ci è costato la tristezza del sentirsi orfani e l'esilio, durato tanti secoli. A volte si ripete tra di noi, oggi, con troppa facilità. Impossibile vivere felici, sapendo di essere fuori casa: il Cielo, la comunione con Dio.

Siamo stati creati 'a sua immagine': rinnegando Dio, rinneghiamo la nostra stessa vera identità, è dunque impossibile essere in pace con noi stessi, con i fratelli e con Lui. Questa è la nostra vera infelicità. Lo sa bene il Padre. Ecco dunque il Natale: il ritorno di Dio tra di noi, tramite Gesù, Suo Figlio, che si è fatto uno di noi, per riportarci al Padre. E la storia di ciascuno di noi, senza eccezioni, è tutta nel saper vivere questo dono della vita, ricevuto, per tornare alla nostra Casa, il Cielo, con il Padre, insieme a tutti i nostri cari, a tutti i fratelli. Il nostro 'sì' personale è iniziato il giorno del Battesimo, attraverso coloro che lo hanno pronunciato, riservandosi di farcelo gradualmente capire, per poterci impegnare consapevolmente e con tutto l'amore del nostro cuore. Quel sì era accettare di dare alla vita il suo vero significato: un cammino di ricerca di Dio, per imparare 'ad amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutto noi stessi'.

È un poco la storia narrata da Gesù nella parabola del figlio prodigo. Viveva felice nella casa del Padre. Ad un certo punto decide di andarsene, scegliendo il mondo, con le sue modalità e regole, potere, successo, vanagloria, merito al più forte e sopraffazione del più debole, piacere… che nulla hanno a che fare con la realtà dell'Amore. La domanda che sempre mi pongo è: 'Si può davvero conoscere la bellezza della vita, fuori dalla comunione con Dio, che ne è artefice e creatore? Che cosa ci offre il mondo?'. Gesù lo sa e ben lo descrive nella parabola. Il figlio prodigo, allontanatosi dal padre, per un breve periodo è affascinato e attratto dalle lusinghe del mondo, ma finisce ... miserabile, senza dignità, abbandonato da tutti, senza un futuro. Solo la Grazia e l'Amore del Padre gli fanno sentire la nostalgia, il desiderio di ritornare, fosse anche come servo e basta. Noi Siamo infedeli ma Dio è 'fedeltà e misericordia per sempre'. Il Padre continua ad attendere quel figlio sulla porta di casa… ed è festa, grande festa per quel ritorno tanto atteso.

Il Santo Natale di Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo, altro non è che il ritorno a casa dell'umanità tutta. Un ritorno che Gesù ci ha meritato, cancellando il passato con lo. Sua morte e Resurrezione. Incredibile amore, incredibile opportunità, che si ripete, per ciascuno di noi! La solennità del Natale di Gesù è il giorno della grande Gioia nello scoprire che Dio stesso si fa carico della nostra storia, per farci entrare nella vera Storia con Dio. Lui, 'per il quale tutto è stato creato" inizia la sua vita umana, cominciando dal nulla, dalla massima povertà, nascendo in una povera grotta, perché 'nella città non c'era posto' per la Sacra Famiglia. È come se il mondo avesse urlato il suo 'NO' alla Presenza di Dio tra di noi. Per Lui non c'era, e tante volte anche oggi, non c'è posto... Ma dobbiamo saperlo: l'uomo, ogni uomo, che, ripetendo la superbia dei progenitori, preferisce il mondo al Padre, ricrea fin da quaggiù il suo stesso inferno.

Non sia così per noi: celebrare il Santo Natale sia un grande Grazie di tutti, perché Dio è rinato e vive tra di noi, ridandoci quella Gioia che abbiamo forse rifiutata, ma che oggi vogliamo accogliere, lasciando che la Sua Presenza ritorni viva nella nostra esistenza. Questo è il fascino interiore del Natale, questa la Gioia profonda e duratura, pur nelle difficoltà del nostro pellegrinaggio, che il Natale vuole donarci. Quella Gioia che il vangelo di oggi ci narra, nell'incontro tra Maria ed Elisabetta, che definisce la cugina: 'Beata tu fra tutte le donne e benedetto il frutto del suo seno, Gesù', Una conferma per Maria che esprimerà la pienezza dell'Amore per il Padre, per il Figlio concepito per opera dello Spirito Santo, con il canto del Magnificat. L'incontro di Maria ed Elisabetta è l'incontro di due annunzi dal Cielo, di due atti di grandissima fede, che le rende protagoniste di promesse divine.
  • In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: 'Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento della parola del Signore! Allora Maria disse: 'L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l'umiltà della Sua serva'. (Lc. 1,39-48)
Grande è la commozione, se si ha fede, nel meditare questo atto di Amore di Dio per l'uomo: un Amore che non è solo una parola che si ferma al suono, ma si fa totalmente dono di vita, la vita di Gesù tra noi. Un Amore totale che cancella ogni traccia di distacco dal Padre con la Sua Morte e Resurrezione. Ora siamo davvero figli di Dio, sempre che noi lo vogliamo ed accettiamo la Sua Presenza nella nostra vita. Ridiamo anche noi alla Solennità del Natale, che ci apprestiamo a vivere, quel senso di gaudio e di gioia interiore, manifestato da Maria con il suo Magnificat.
      • AUGURI DI CUORE PER IL SANTO NATALE
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Sento gioia ed affetto nel fare gli auguri per questo Santo Natale di Gesù a ciascuno di voi. Ogni volta leggiamo il Vangelo della Nascita di Gesù tra di noi, prende un'immensa commozione. Il Natale ci fa tutti un poco bambini, che riscoprono la gioia dell'amore, che esprimiamo con gli auguri. Mentre i grandi eventi del mondo si celebrano con sfarzo ed esteriorità, che a volte hanno dell'assurdo, il Natale di Gesù avviene nella più totale semplicità. Maria e Giuseppe non trovano chi offra loro un alloggio e sono costretti a rifugiarsi in una grotta, adibita a stalla. Gesù, il Figlio di Dio, nasce nella povertà, per amore e circondato dall'amore sincero di pochi che lo accolgono. Entriamo in sintonia con quell'Amore, entriamo nella gioia vera del Natale, leggendo e meditando il racconto di Luca:
  • In quel giorno un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento su tutta la terra. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazareth e dalla Galilea, salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare con Maria sua sposa che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'albergo. C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo dei Signore si presentò davanti a loro e la gloria dei Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse: 'Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: vi è nato nella città di Davide un Salvatore che è il Cristo Signore. Questo per voi un segno: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia'. E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: 'Gloria a Dio nel più alto dei cieli e Pace in terra agli uomini che Egli ama'. (Lc. 2,1-14)
È come se Dio abbia voluto iniziare la storia per noi, partendo dalla povertà, dimostrazione di un amore totale ed immenso. Cosa augurare, dunque, agli amici che mi leggono? Il Natale non sia solo una festa esterna, in cui ha posto la gioia, la voglia di pace e di amicizia, ma sia prendere coscienza che Gesù è davvero venuto storicamente tra noi e continua a venire, per trasformarci in figli di Dio, “gente santa” portatrice della Pace vera. Spiace vedere che in troppe case sia scomparso l'allestimento del presepio, per fare posto solo all’albero con i frutti del consumismo. L'augurio è che torni Gesù nelle vostre famiglie, portando la pace e la gioia... Il presepio può allora diventare davvero un segno forte di questa nostalgia di Dio e del Suo ritorno in noi e in mezzo a noi. Vi assicuro la mia preghiera e … Vi voglio tanto bene.

Buon Natale con Gesù ... e che ogni giorno della vostra vita conservi la Gioia del Natale: la Presenza viva e reale di Gesù, nostro Signore e Maestro.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » lun dic 31, 2012 2:18 pm

      • Omelia del giorno 30 Dicembre 2012

        Sacra Famiglia (Anno C)



        FAMIGLIA, piccola Chiesa domestica
Il Vangelo di oggi, posto subito dopo la Solennità del Santo Natale, ci fa entrare nella vita della famiglia di Gesù, come se il Padre non volesse fare emergere la sola figura del Suo Figlio, la Persona divina che assume totalmente l’umanità delle Sue creature, Gesù, il Dio con noi, il Principe della Pace. Ma accanto pone in evidenza la Sua Mamma, Maria, e Giuseppe, lo sposo di lei, collaboratore per volontà di Dio, del disegno di salvezza per gli uomini. E così ci è dato di assistere ad un tratto della storia di questa famiglia unica per ciò che era, irripetibile, per quanto rappresentava: una famiglia apparentemente come tutte le altre, come le nostre famiglie, ma unica per quanto era chiamata a realizzare: collaborare alla missione tra noi del Figlio di Dio, Gesù. E cosi Gesù, il Dio fatto uomo, ci dà un esempio di figlio, all'interno della sua famiglia, per diventare modello per tutte le famiglie, di generazione in generazione.

Una vita semplice, quella di Gesù, Maria e Giuseppe, che tanto assomiglia alle nostre. Maria è la mamma, come le nostre mamme, attenta e vigile, ma soprattutto, in quanto Immacolata e quindi tutta di Dio, avrà educato il figlio al vero senso della vita, che è compiere la missione che il Padre gli aveva affidato, inviandolo tra di noi. Un atteggiamento simile a quello di tanti genitori cristiani che, non solo danno la vita ai figli, badando alla loro crescita fisica e culturale, ma cercano di formarli, affinché sappiano comprendere e seguire la vocazione per cui Dio li ha affidati loro. Ricordo la mia famiglia, in cui dominava sovrana, grazie soprattutto a mamma, l'educazione fin da piccoli a crescere come figli di Dio. La quotidianità era intrisa di fede, anzi era la grande ricchezza della casa, Essendo poveri non c'era posto per le tante distrazioni che vi sono oggi, in cui ci si preoccupa troppo, e a volte solo, della forma fisica, della salute, del benessere generale, magari sognando un futuro 'da favola'.

Nelle nostre famiglie, in cui regnava la fede, la domanda fondamentale della mamma era: 'Che vorrà il Signore da te?'. Ricordo quanto mi furono vicini, rispettosi e in preghiera, per scrutare e vagliare il sogno che avevo da piccolo di essere prete. Per due anni, senza alcuna pressione, ma aiutandomi con la preghiera a conoscere la volontà di Dio, mi seguirono, fino a che il Cardinal Schuster, in visita alla parrocchia, sentendo di questo mio 'sogno' mi disse: 'Se è la volontà di Dio, sarà la via della tua vita' ed aggiunse: 'Ma bisogna pregare e tanto, finché Dio attraverso segni confermi la Sua volontà'. E così fu. Dolorosissimo fu il distacco dalla famiglia, quando scelsi di andare in seminario. Ero un ragazzino di soli dodici anni e ho dovuto lottare con tutte le mie forze, perché sentivo profondamente l'attaccamento ai miei cari, come del resto i miei genitori nel miei confronti. Ho sofferto io nel dire 'sì', ma forse ancor più hanno sofferto mamma e papà, pur incoraggiandomi e sperando che davvero quella fosse la volontà di Dio. Se tale era, chiedevano la grazia di andare fino in fondo, a qualunque costo.

Non avrei mai e poi mai sognato che Dio potesse avere su di me disegni che erano lontani dalle mie aspettative, come essere parroco in Sicilia, in una difficile missione, cui si aggiunse il terremoto del 1968. Ed ancor più era assolutamente lontano dai miei pensieri il disegno di Paolo VI che, apprezzando il mio operato, mi volle vescovo qui ad Acerra. Quando, incontrandolo, gli domandai: 'Ma perché proprio io, vescovo?'. La risposta fu semplice: 'E' Dio che chiama e a Dio non si può dire di no'. Vedrà come le sarà vicino! E fu davvero così, sempre. Davvero la vita è un misterioso progetto di Dio, che noi siamo chiamati ad attuare, con la consapevolezza della fede e la libertà dell'amore. Il Vangelo di oggi ci mostra come Gesù, crescendo, in visita a Gerusalemme per la Santa Pasqua ebraica, riveli ai suoi genitori quello che ha compreso della volontà del Padre su di lui … e lo fa in modo sconcertante.
  • I genitori di Gesù si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per festa di Pasqua. Quando Gesù ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo, secondo l'usanza, ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via dei ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti e, non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: 'Figlio perché ci hai lasciati cosi? Ecco tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo.' E Gesù rispose: 'Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?'. Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazareth e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo Cuore e Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. (Lc. 2, 41-52)
Gesù, a 12 anni, manifesta la sua prima consapevolezza riguardo alla sua vocazione personale e così manifesta ai suoi genitori ciò che ha compreso, in quanto creatura, sulla ragione della sua presenza tra di noi: un disegno che Gesù stesso, lentamente e gradualmente, legge nella sua vita. Non ebbe fretta nel presentarsi come Messia. Visse nel silenzio della famiglia una vita normale, ma crescendo in grazia e spirito, fino al momento in cui dovette dare un taglio netto ed iniziare la missione che il Padre gli aveva affidato: una missione che lo porterà alla morte e alla resurrezione, facendo di noi, da un popolo senza domani ad un popolo chiamato a seguirlo nella santità e nella gioia della pienezza della Vita, oggi e per sempre, nella comunione dello Spirito, con Lui e con il Padre.

Guardando alla Famiglia umana di Gesù, credo sia ora che le nostre famiglie tornino ad essere 'piccole chiese domestiche', in cui imparare a vivere, camminando alla Luce del Vangelo, la Buona Novella, come sola guida sicura, in un mondo che ha perso lo sguardo sul trascendente. Una guida da insegnare e testimoniare ad ogni bimbo che nasce. Credetemi non c'è dono più bello e salutare, che una famiglia possa fare alle nuove generazioni: che creare un ambiente in cui regni Dio ed una vera educazione alla santità. Se è vero che la famiglia, con la vita, è il bene grande che Dio ha riservato per noi, occorre davvero sentire questa missione, imitando Maria e Giuseppe a Nazareth. Per la nostra felicità, oggi e nell'eternità. Ricordiamoci sempre che una santa famiglia è il vero sostegno della società. Senza la famiglia una società diventa come un vivere senza il bello dell'essere accolti e amati.



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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven gen 04, 2013 1:54 pm

      • Omelia del giorno 6 Gennaio 2013

        Epifania del Signore (Anno C)



        Solennità dell’Epifania del Signore
L'Epifania, che significa 'Dio si manifesta a noi e ci chiama', è considerata giustamente dalla Chiesa una grande Solennità. Dio è apparso tra noi in Gesù a Betlemme. Il Suo Natale, Nascita, è il segno della concreta e fedele volontà del Padre di invitare tutti gli uomini a tornare alla loro origine di figli amati senza limiti da Lui. Il Padre, dopo tanto tempo riapre il Cielo, la Comunione con Lui che si era interrotta per il peccato originale, e lo fa non con un'ispirazione, ma in modo concreto, inviando il Figlio Gesù tra noi, che si fa uno di noi, con la semplicità che è il vero e profondo modo con cui Dio ama. Ed è davvero incredibile che Dio si faccia così vicino a noi, per aprirci la porta di casa, con il linguaggio della semplicità. Gesù, Figlio di Dio, 'nel quale ogni cosa nei cieli e sulla terra è stata creata', sceglie la povertà. Non ama il clamore, che è il linguaggio del mondo.

I primi ad essere chiamati, nel silenzio di una notte invernale, furono i pastori. Ora si rivolge al mondo intero. Chiama i Magi, uomini di scienza, dediti a scrutare il cielo, per interpretare i segni del tempo. Si lasciano guidare da una stella, fino a Betlemme. Una stella che scompare quando entrano nella città degli uomini, troppo chiassosa, per accogliere Chi ama il silenzio, troppo sfarzosa e luccicante, per Chi ama la semplicità ed è la Luce che illumina il cuore di ogni uomo. Difficile anche oggi accogliere la chiamata di Dio nel chiasso e nella confusione del mondo. Basta osservare come questa grande festa della chiamata di Dio ci trovi più 'preoccupati per il calo di consumi, dovuti alla crisi', che per la manifestazione di Dio, che ci ama e ci vuole salvare, prima di tutto da noi stessi!

Impossibile capire la profondità e il valore di Dio che chiama, e quindi la Sua Epifania, quando domina il materialismo. Dio si manifesta nel silenzio e nella semplicità, agli umili di cuore. Quando i Magi si rivolgono ai potenti del tempo, per avere notizia del luogo dove è nato Gesù, che non conoscevano, ma avevano affrontato un lungo cammino per trovarLo, è dalle Sacre Scritture che scribi e sacerdoti trovano l’indicazione del luogo. Erode, è all'oscuro di tutto, troppo preoccupato del proprio successo e prestigio, per questo la notizia lo sconvolge. Di fronte alla possibilità che sia nato un 'Messia', una sola è la sua interpretazione: è un inciampo al suo potere, bisogna trovarlo per eliminarlo, costi quel che costi, come ben sappiamo dal Vangelo, in riferimento alla strage degli innocenti.

Solo tornando nel silenzio, i Magi possono ritrovare la via, che conduce alla grotta, e trovare Colui che cercano. Entrati, racconta il Vangelo, 'videro il bambino con Maria e provarono una grande gioia. Prostratisi lo adorarono'. I Magi sono la testimonianza di chi sa andare oltre il mondo e scrutare nel profondo per sentire Dio che chiama. La gioia è sempre il frutto dell'Incontro. È proprio dalla gioia provata dai Magi che si intuisce come Gesù non è nato solo per qualcuno, ma per tutti, per ogni uomo comparso sulla faccia della terra, in ogni tempo e luogo. Anche oggi. Ma sempre bisogna avere la fede dei Magi per riconoscerLo.
  • Nato Gesù a Betlemme, al tempo del re Erode, alcuni magi giunsero dall'Oriente a Gerusalemme e domandavano: 'Dov'è il re dei Giudei? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarLo'. All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme, Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: 'A Betlemme di Giuda, perché così è scritto per mezzo del profeta: 'E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo Israele'. Allora Erode chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: 'Andate e informatevi accuratamente del bambino e quando l'avrete trovato fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo.'. Udite le parole del re essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto al suo sorgere, li precedeva finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il Bambino. A vedere la stella essi provarono una grandissima gioia e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro Paese. (Mt. 2, 1-12)
L'Epifania, davvero grande Solennità, ricorda a tutti noi che Dio chiama in tanti modi e attende solo che noi Lo cerchiamo, per farsi trovare. È la profonda esperienza spirituale e di vita di tutti i veri cercatori di Dio, i Santi di tutti i giorni, persone che hanno lo sguardo rivolto al Cielo, per trovare la propria stella, la fede e i segni divini, che ci indicano la strada che porta a Gesù.
  • Ma - osserva Paolo VI – se il mondo si sente estraneo al cristianesimo, il cristianesimo non si sente estraneo al mondo. Sappia il mondo di essere stimato ed amato da chi rappresenta e promuove la religione cristiana e l'amore che la nostra fede mette nel cuore della Chiesa, la quale non fa che servire da tramite dell'amore meraviglioso di Dio. Questo vuol dire che la missione del cristianesimo è una missione di amicizia in mezzo all'umanità, una missione di comprensione, di incoraggiamento, di elevazione, di salvezza. Noi sappiamo che l'uomo di oggi ha la fierezza di voler fare da sé e fa delle cose nuove e stupende, ma queste cose non lo fanno più buono, non lo fanno felice, non risolvono i problemi umani nel fondo. Noi sappiamo che l'uomo soffre di dubbi atroci. Noi abbiamo una parola da dire. È quella di un uomo all'uomo. Il Cristo che noi portiamo all'umanità è il Figlio dell'uomo. Lui è il fratello, il collega, l'amico per eccellenza. È colui di cui solo si può dire che 'conosce che cosa c'è nell'uomo'. È il mandato da Dio, ma non per condannare il mondo, ma per salvarlo. (6 gennaio 1964)
Non ci resta che entrare con il cuore nella manifestazione di Dio, che è l'Epifania, per scoprire il grandissimo dono che ci ha fatto, rivelandosi tra noi, vestendosi totalmente della nostra natura, uno come noi, ma diverso da noi: il Figlio di Dio, venuto per salvarci. Non svendiamo al mondo l'Epifania, ma viviamola con fede e gioia. Se siamo cristiani lo dobbiamo al dono del Battesimo e so che Dio ha donato a tutti una stella da seguire nella vita: la stella della nostra vocazione, che sempre ci guida.

Esiste davvero una stella per tutti noi. Occorre trovarla e seguirla. Non lasciamoci ingannare dalle luci di questo mondo, che sono di breve durata. Auguro a voi di poter sperimentare la gioia dei Magi nel ritrovare Gesù: è una gioia profondissima e duratura. Scriveva un insigne matematico, nel momento della dimostrazione della sua teoria: 'Ebbi l'impressione di non essere io a cercare la verità, ma che fosse la verità stessa che mi prendeva per la mano spingendomi dolcemente a tirare tutte le conclusioni. Ho creduto di riconoscere in essa il Signore, il Verbo di Dio'. Ma perché il Signore ha preso di petto proprio me, così debole, così debole per sopportare questo uragano della fede ed aprirlo anche agli altri? Può essere, questo, uno degli infiniti doni dell'Epifania... ciascuno ha la sua stella... ognuno la sua vocazione. Ognuno il suo cammino da percorrere, ma ciò che conta è che sia in compagnia di Dio, che vuole manifestarsi. Lasciamoci trovare, questo il mio augurio.



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Messaggio da miriam bolfissimo » ven gen 11, 2013 9:55 am

      • Omelia del giorno 13 Gennaio 2013

        Battesimo del Signore (Anno C)



        Festa del Battesimo di Gesù
È bello ogni tanto frugare nei propri ricordi e trovare una memoria che forse oggi è stata cancellata, portandosi via i grandi valori ed i perché che conteneva. Piaceva a mia mamma raccontarmi la storia del mio battesimo. Lei era fermamente convinta che ogni figlio è una grande benedizioni di Dio. Si sentiva prediletta dal Signore per il numero di figli avuti in dono: sette. Affermava: ‘Se i figli sono un dono, non possono essere considerati come una cosa propria’ quindi, ‘doveva essere Dio a chiamarli per nome, anzi a dar loro un nome’, un perché del dono, in sostanza, una vocazione. Per mamma l’essenziale era la fede. Fin quando un figlio non era battezzato lo considerava ‘un figlio senza nome’, quasi ‘senza Padre’. La sua premura era quindi di battezzarlo subito, non attendere più di qualche giorno. Nacqui in gennaio, tempo di neve in Brianza. E così, il giorno dopo la mia nascita, presi gli accordi con il parroco, fui battezzato e mi fu dato il nome di Antonio, il santo la cui memoria si celebrava il giorno dopo il mio stesso battesimo. Finalmente mamma era sicura che, oltre ad avere il mio papà, ero ora figlio del Padre. Era come se ripetesse anche per me quello che racconta il Vangelo di oggi: “Una voce dal cielo disse: ‘Ecco il mio figlio diletto’.” Mamma trovò la sua gioia completa quando, battezzato, finalmente potè abbracciarmi non più solo come una creatura ‘qualunque’, figlio di questa terra, ma una creatura ‘che apparteneva al Cielo’.

Chiaro che poi il suo atteggiamento, la sua cura materna, sempre, era di totale rispetto, per cui nella sua ‘scaletta’ di amore e valori, metteva Dio sopra tutto e tutti, avviandoci quotidianamente alla conoscenza e all’amore del Padre. In mille modi poi vigilava che nei nostri comportamenti non venisse mai a mancare la coscienza della nostra dignità di uomo, che è nella nobiltà del cuore e nello sviluppo della nostra intelligenza, ma soprattutto della nostra fede. Eravamo una famiglia che viveva nella povertà. Papà ebbe un incidente sul lavoro e fu licenziato. Una famiglia povera, quindi, ma dignitosa e soprattutto che viveva nella serenità della fede, che dona la certezza di una Provvidenza paterna che ci segue e sostiene, pur non togliendo le inevitabili difficoltà della vita.

Purtroppo oggi in troppi casi non è più così. Il giorno del battesimo si cerca spesso solo la festa e poi nella vita solo il benessere, e tutto finisce lì. Ed abbiamo così figli che si presentano per la Prima Comunione senza neppure sapere il Padre nostro.
Meditiamo insieme quello che diceva il grande Giovanni XXIII a proposito delle famiglie cristiane. Ne vale la pena per recuperare il grande valore di questo fondamentale Sacramento, su cui si fonda tutto il disegno della nostra esistenza.
  • Quale spettacolo si apre allo sguardo, al contemplare il quadro meraviglioso di innumerevoli famiglie, gelose custodi delle virtù più genuine e schiettamente cristiane: ove il padre è erma e sicura guida, esempio di rettitudine, di laboriosità, di sacrificio; ove la madre, come ape industriosa, compie nel silenzio, sostenuta dalla fiducia in Dio, l'ardua missione di educatrice, di lavoratrice; ove i baldi giovani, resi più semplici e schietti al contatto con la natura, e più preservati dai pericoli, crescono puri e forti, speranza e consolazione dei genitori; ove i piccoli, come virgulti di olivo intorno alla mensa, allietano la casa, portando con sé le benedizioni del Signore. Non è un quadro immaginario, quello che abbiamo tracciato, ma una realtà, grazie a Dio tuttora viva; e di molti di questi esempi Noi medesimi ne siamo testimoni compiaciuti e commossi.
Il Battesimo è quindi un dare senso vero al dono della vita. Il Vangelo, oggi ci presenta Gesù che va al Giordano, per essere battezzato da Giovanni.
  • In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti, dicendo: ‘Io vi battezzo con acqua, ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco’. Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: ‘Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento’.(Lc 3, 15-16,21-22)
Giovanni Battista, in attesa di Gesù, predicava un battesimo di penitenza: l’immergersi nelle acque del Giordano era come un voler morire per rinascere. Anche Gesù, in quanto uomo, volle essere battezzato da Giovanni. Oggi, quando battezziamo, normalmente si bagna lievemente il capo del battezzando con l’acqua, ma il significato è lo stesso di quella immersione: è il morire dell’uomo vecchio, per rinascere come figli di Dio. Grandissimo sacramento, che dovrebbe consapevolmente ispirare tutta la nostra vita, in quanto figli del Padre. Giovanni Battista chiamava tutti ad un cambiamento radicale della vita, in attesa del nuovo che sarebbe iniziato con la venuta e l’opera redentrice di Gesù. Gesù è venuto, ci ha salvati ed ora tocca a noi vivere nella quotidianità il nostro battesimo.

Affermava il cardinal Ballestrero, arcivescovo di Torino, nel Sinodo su ‘Vocazione e missione dei laici nella Chiesa’: “Punto di partenza per tutti, laici e ministri, è il Battesimo, fonte inesauribile che crea nuovi figli di Dio, nuovi fratelli di Cristo, nuove creature. Con il Battesimo e dal Battesimo nasce e si sviluppa la varietà delle vocazioni, dei ministeri e dei carismi al servizio del Regno di Dio. Dal Battesimo fruiscono le ricchezze mirabili della Chiesa”. Il Concilio ha parole ancora più solenni, parlando di noi battezzati, che danno l’ampiezza di quanto il Padre disse a suo Figlio: ‘Questi è il mio Figlio, nel quale mi sono compiaciuto’. Afferma: “Uno è il popolo eletto di Dio, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, comune a tutti e comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune è la grazia dei figli, comune è la vocazione alla speranza e indivisa carità… Nessuna disuguaglianza quindi in Cristo e nella Chiesa, per riguardo alla stirpe o nazione, alla condizione sociale e al sesso”. (L:G: 32) Il cardinale poi aggiunge: ‘Molte volte chi si battezza non lo sa e chi lo chiede non è convinto… Come mai è tenuto in così poco conto questo valore da tanti battezzati che forse considerano il Battesimo solo un rito da compiersi, ma non una rigenerazione in Cristo?’.

Come mai, ci possiamo interrogare, non ci si sente addosso la luce dell’essere figli di Dio, che è il più bel vestito che possa coprire la povertà dell’uomo? Come mai non spunta sulle labbra la gioia di dire: ‘Io sono battezzato’, ossia uno che Dio ha voluto come figlio ed ama come solo un Padre sa amare? Credo proprio che la Festività del Battesimo di Gesù, debba oggi risvegliare la nostra coscienza e ravvivare la gioia di essere divenuti figli del Padre, che appartengono al Suo Regno. Gesù ci aiuti allora a riscoprire la bellezza della nostra vera natura di figli, per viverla intensamente, sempre, in ogni pensiero, gesto e scelta della nostra vita.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven gen 18, 2013 9:36 am

      • Omelia del giorno 20 Gennaio 2013

        II Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Un racconto che continua ancora oggi
Le feste natalizie hanno puntato tutta l'attenzione sull'incredibile grandezza del cuore di Dio che viene incontro ai bisogni dell'umanità mandandoci Suo Figlio Gesù, nato da Maria Vergine a Betlemme. Non so se tutti siamo riusciti a spalancare le nostre porte a Maria, che chiedeva ospitalità nella nostra vita, per deporre Gesù nella mangiatoia del nostro cuore: un cuore cioè liberato da tutto ciò che non è bene e amore, per fare posto a Chi solo merita il titolo di Amore e da cui solo ha origine ogni autentico amore che fa vivere l'uomo. Può essere capitato che alcuni abbiano sperimentato quanto dice l'Evangelista Matteo: ‘Per il dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà'. Commenta sant'Agostino:
  • La freddezza dell'amore diventa il silenzio del cuore: l'ardore dell'amore invece è il grido del cuore. Se resta sempre vivo l'amore, tu gridi sempre; se gridi sempre, tu desideri sempre; se desideri hai il pensiero rivolto alla pace.
Del primo affacciarsi alla vita di Gesù, Dio-Uomo, i Vangeli ci hanno detto ben poco; semplici tratti, ognuno dei quali però ci parla di come Dio educa all'amore e manifesta il Suo amore: da Betlemme a Gerusalemme nella circoncisione; dalla fuga in Egitto alla ‘fuga di Gesù’ nel tempio di Gerusalemme a 12 anni. Poi cala un silenzio profondo fino all'inizio della predicazione. È un silenzio in cui Dio non ha voluto che curiosassimo, perché era il tempo della ricerca, della preparazione, della conoscenza.

In Gesù c'era tutto l'uomo. Quello stesso che dal rifiuto dell'amore di Dio aveva attraversato i secoli scompigliandoli con la sua follia (quella di chi ha perso di vista la verità, seminando solo infelicità). Un uomo che sapeva solo gridare il suo desiderio di Dio, la sua nostalgia, con la preghiera di Agostino: «Signore, ridonati a noi, perché ne abbiamo bene. Senza di Te, Signore, stiamo male, ma tanto male. Insegnaci a cercarTi e Tu mostrati quando Ti cerchiamo. Che Ti cerchiamo, Signore, desiderandoti e ti desideriamo cercandoti: che ti troviamo amandoti e ti amiamo trovandoti». E nello stesso tempo c'era Dio con le mani tese verso quest'uomo triste fino alla disperazione. Dio che raccoglie i fili dispersi di quella matassa impazzita, di una storia continuamente intessuta dai desideri e dai rifiuti dell'uomo alla passione irrefrenabile di Dio.

Deve essere stato stupendo vivere vicino a Gesù, Maria e Giuseppe in quel silenzio così lungo: nella semplicità della vita familiare, nella preghiera, nella fatica quotidiana, nei lunghi silenzi contemplativi, nei dialoghi che certamente ci saranno stati per «leggere» la storia di Dio tra gli uomini nella Bibbia. Ed anche nei momenti oscuri, della non comprensione, del dubbio; come ormai sappiamo questi momenti ci furono per Maria. Molto probabilmente anche per Giuseppe, di cui tanto poco comunque conosciamo. C'eravamo anche noi: perché di noi era pieno il silenzio di Nazareth. E venne il giorno in cui Gesù cominciò a «fare la volontà del Padre»; che era il desiderio di amarci, di farci suoi figli. Il giorno in cui Gesù lasciò Nazareth per mettersi sulle vie dell'uomo: fu il giorno più bello dopo la stessa creazione.

Dio tornava a camminare ed a stare tra gli uomini, cercandoli, questa volta, non per smascherare la loro disobbedienza (come fu nel paradiso terrestre), ma per prenderli in braccio, come pecore ferite, per ricondurli ai buoni pascoli. Una ricerca che è un capitolo d'amore quotidiano, silenzioso, che nessun libro riesce a contenere, che nessuna parola mai riuscirà ad esprimere compiutamente. Perché l'uomo capisse, accogliesse la felicità, Gesù annuncia la buona novella: quella cioè del Padre che ci ama alla follia e per farci tornare nella sua casa manda addirittura tra noi suo Figlio, fino a sacrificarLo sulla croce perché in Lui tutto ciò che in noi era morto risuscitasse. Tanto grande l'inizio dell'opera di Cristo che così lo vede Isaia:
  • Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi darò pace finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada. Allora i popoli vedranno la sua giustizia, tutti i re la sua gloria: ti si chiamerà con un nome nuovo che la bocca del Signore ti indicherà. Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. Nessuno ti chiamerà più "abbandonata", né la tua terra sarà più detta "devastata" ma tu sarai chiamata "Mio compiacimento" e la tua terra "sposata", perché il Signore si compiacerà di te e la tua terra avrà uno sposo. (Is. 62, 1-5)
E come a voler spiegare queste parole che sanno di una promessa di matrimonio tra Dio e l'uomo, un matrimonio a cui Dio sarà fedele per sempre, Gesù compie il suo primo miracolo a Cana durante una festa di nozze col mutare l'acqua in vino.
  • Ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c’era la Madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: ‘Non hanno più vino’. E Gesù le rispose: ‘Che ho da fare con te, o donna. Non è ancora giunta la mia ora’. La madre disse: ‘Fate quello che vi dirà’. Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna uno o due barili. E Gesù disse: ‘Riempite di acqua le giare’. E le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: ‘Ora attingete e portatene al maestro di tavola’. Ed essi gliele portarono. E come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua) chiamò lo sposo e gli disse: ‘Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un poco brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono’. Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in Lui. (Gv. 2, 1-11)
Il cammino di Gesù tra gli uomini per narrare la buona notizia continua oggi. In noi, nella sua Chiesa. Viene solo da chiederci se c'è in noi la gioia che Lui cammini così vicino da condividere ciò che siamo, da farci strada: pronto a donarci «parole e segni» che diventano sicuri orientamenti.



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Messaggio da miriam bolfissimo » ven gen 25, 2013 9:55 am

      • Omelia del giorno 27 Gennaio 2013

        III Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Intorno all’altare cadevano le ombre della povertà
Come viveva Gesù nella Sua vita pubblica? Come parlava? Come annunciava la buona novella che era la sola novità per ogni uomo che volesse (ieri ed oggi) incontrarsi con la Verità della vita e quindi con la serenità? Oggi tutti ci poniamo questo problema, perché siamo in tanti a parlare, a fare. Nel migliore dei casi si ha l'impressione di «battere l'aria» senza lasciare una traccia di verità, di serenità, di «buona novella» insomma. Si ha questa impressione al termine di una predica fatta o ascoltata la domenica; si ha la stessa impressione quando una mamma o un papà annunciano la verità ai figli che si incamminano verso la vita, molte volte non sapendo essi stessi (o non volendo sapere) quale vita. Si ha infine la stessa impressione nelle molte cose che facciamo nel nome di Cristo. Eppure Gesù, la sua Chiesa quindi, in virtù del battesimo e della confermazione ha, non solo la missione, ma soprattutto l'ispirazione, data dalla presenza dello Spirito, per rendere viva la Parola, accompagnata dalla testimonianza, che altro non è che affermare: «Ciò che dico è vero perché lo vivo!».

Il Vangelo di oggi ci descrive la prima comparsa in pubblico di Gesù, la sua prima ‘predica’ proprio a Nazareth, sua città natale. Gesù ha forse voluto scegliere, tra tutto il popolo eletto che era venuto a salvare, il pulpito più «povero»: sì, perché Nazareth era considerata allora dai Giudei la città più ignorante non solo, ma più lontana da Dio fino a sfiorare l'ateismo; tale da non meritare nessuna stima, ma solo disprezzo. Ma è proprio di Gesù partire dalla povertà perché questa non impedisca lo splendore delle opere del Padre. Racconta Luca:
  • Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch'io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto. In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nazareth, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: ‘Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato’. (Lc 1, 1-4; 4, 14-21).
Ecco il segreto di Gesù, che poi è il segreto di tutta la Chiesa nell'annunziare il lieto messaggio ai poveri: avere coscienza della pienezza dello Spirito Santo che accompagna e rende viva la parola annunciata. Voglio spiegare questa grande novità con un fatto. Si era in Avvento. Il gruppo che animava la carità nella mia città a più riprese si era interpellato su come ‘annunciare ai poveri la lieta novella di Gesù'. Portando un pacco? Dando una somma? Visitandoli? Tutte maniere buone, ma che non mettevano i fratelli a contatto con Gesù, il loro vero grande amico. L'unico capace di insegnarci come si sta vicino a chi è povero. Suggerii una cosa apparentemente strana: 'Perché, dissi, non chiamiamo i più poveri ed insieme a loro celebriamo una Santa Messa natalizia, alla pari. Intorno alla Mensa di Cristo tutti siamo alla pari: lì solo, noi e loro, impariamo ad annunciare la buona novella, condividendo lo stesso pane, lo stesso sangue, lo stesso amore. Loro si sentiranno più "ricchi", noi inevitabilmente più poveri, perché ci metteremo al loro servizio in tutto’. Furono scelte, tra tante che popolano questa città, le ben 23 famiglie fra le più povere (in barba alle statistiche della nostra Italia che ama definirsi ricca, di soldi, forse, ma ricca anche di egoismo). Offrii alcune schede di queste famiglie: ‘famiglia sita in via.., con padre dedito all'alcolismo e lavoro precario, moglie inferma, stato di quasi abbandono dei figli’; ‘famiglia ospitata in casa della nonna, con padre agli arresti domiciliari, massima indigenza’; ‘famiglia con mamma ammalata, padre senza lavoro, figli denutriti e non in grado di frequentare la scuola’; ‘famiglia che vive in via.., in precarie condizioni, mancanti di ogni istruzione, e figli senza aiuto’. Li avevo tutti attorno all'altare quella sera prima di Natale.

Adulti che non avevano più età anagrafica, ma solo l'età pesante della sofferenza, della privazione; volti che non conoscevano alcuna cura o bellezza, ma portavano, senza neppure il pudore di nascondersi, tutti i segni di sofferenze e malattie non curate, a volte di deviazioni che avevano trovato sulla strada della vita come cose naturali; vestiti, per quanto puliti, che erano belli solo perché conoscevano una bellezza usata da chi li aveva donati; bambini che avevano una vivacità che non aveva alcun garbo, ma solo la libertà che rifiutava regole nostre, bambini senza sorriso e che erano resi «immacolati» dalla carezza di chi li poteva e doveva accarezzare. Incontrando questa gente nella celebrazione della messa natalizia, veramente sentii lo Spirito del Signore sopra di me, che mi mandava a recare il lieto annunzio ai poveri. Lentamente attorno all'altare pareva che cadessero le ombre di una povertà disonore dell'uomo che l'ha e di quelli che la permettono. I loro occhi tutti tesi, quasi stupiti di essere così stimati, sembravano capire la buona novella, facendo dimenticare strappi nei vestiti, sfregi sui volti. Da quella Mensa Eucaristica nacque la certezza che Gesù, l'amore, non è una parola vuota, ma è «Parola fatta carne».



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Messaggio da miriam bolfissimo » ven feb 01, 2013 10:11 am

      • Omelia del giorno 3 Febbraio 2013

        IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Oggi faccio di te una fortezza
“Ci vuole un bel coraggio – mi diceva un giorno un giovane, che viaggiava con me in aereo – non solo a testimoniare la nostra fede di battezzati, ma a dichiararsi sinceramente tali. L’ambiente in cui si vive, dalla famiglia al posto di lavoro, ai vari luoghi di ritrovo, pare sopporti con disagio che qualcuno ‘sia’ cristiano. Si preferisce vivere nell’anonimato o non avere alcuna fede. È triste, pensando che noi battezzati abbiamo da Cristo, proprio nel Battesimo, il dovere di evangelizzare i fratelli, a cominciare dalla nostre famiglie. Ma si preferisce tacere. Cosa fare del resto? Ammiro lei che viaggia portando Cristo a testa alta, anzi, come l’Unico cui affidare l’esistenza, e si muove sulle orme del Maestro. Ma ci vuole coraggio. Non ha paura, non prova disagio?”.

È vero. A volte sembra che il distintivo di cristiano, la Croce, sia destinato solo ad essere esibito per le cerimonie esterne, per poi ritornare nell’anonimato in cui si vorrebbe restasse. Come se Dio non ci fosse. Ed è veramente incredibile che, in una società che fa pressante appello alle sue radici cristiane, si debba vivere la fede ‘come un martirio’... a volte, per questo, rifiutati dalla società stessa! Il Vangelo di oggi presenta Gesù che, nell’istante in cui proclama la Sua missione di salvezza, subito è rifiutato dai ‘suoi concittadini’. Non solo, ma, preannunciando quella che sarà la Sua fine, la morte in croce sul Calvario, vede il rifiuto di coloro che vuole salvare.
  • In quel tempo, Gesù prese a dire nella sinagoga: ‘Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi’. Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati dalle parole di Grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: ‘Non è il figlio di Giuseppe?’. Ma egli rispose: ‘Di certo voi mi citerete il proverbio: medico cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella nostra patria!’. Poi aggiunse: ‘Nessun profeta è bene accetto in patria. Vi dico anche: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi, e ci fu una grande carestia in tutto il paese, ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Zarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta e Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman il Siro’. All’udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno, si levarono, lo cacciarono fuori della città, e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale la loro città era situata, per gettarlo dal precipizio. Ma Gesù, passando in mezzo a loro, se ne andò. (Lc. 4, 21-30)
Gesù capisce l’effimera ‘consistenza’ della loro fede, che, sentendolo parlare, si ferma alla soglia del battimano e, quando gli si chiede quasi una esibizione inopportuna del suo fare miracoli, come fosse un ciarlatano, toglie la loro maschera di ‘credenti senza fede’... La reazione è immediata: vogliono ‘metterlo a morte’. Così avverrà alla fine della sua missione, quando dalla piazza, scordandosi dei tanti miracoli da lui compiuti e, come a vendicarsi di un ‘profeta’, che sempre aveva parlato chiaro nell’annunciare il Vangelo, chiederanno che ‘sia crocifisso’. È l’epilogo non solo di un grande evento di amore per noi, ma anche la conferma che la Verità di Dio non piace a tanti uomini. Preferiscono il parlar bene, ma non la verità.

Ed è così che anche oggi tanti si spellano le mani nell’ascoltare i troppi falsi profeti del nostro tempo, che sanno come ‘prenderci’ per il lato debole, la nostra ignoranza e superficialità, per proporci ‘paradisi’, che tali non sono. Quante volte ho sentito dire dagli ex terroristi: ‘Sono diventato quello che sono perché ho dato retta a cattivi maestri’. E quante volte veniamo derisi perché non siamo ‘alla moda’, ossia non facciamo piazza pulita dei valori della persona, che sono la nostra veste di figli di Dio, per indossare gli stracci dell’effimero, che riduce a marionette che stanno al gioco, ma sono tremendamente infelici.

Oggi davvero occorrono ‘uomini e donne di fede’, che sappiano mostrare il Volto di Dio, senza paura e, senza disagi, con la semplicità dei santi, vestano l’abito della verità, costi quel che costi, rimanendo ciò che veramente siamo: figli di Dio. Il mondo ci invita a idolatrare il benessere, il piacere ad ogni costo, il successo e il potere...non importa se questo ci chiede di calpestare la nostra meravigliosa identità di figli del Padre! Così parla il profeta Geremia:
  • Prima di formarti nel grembo materno ti conoscevo e prima che tu uscissi alla luce ti avevo consacrato. Ti ho stabilito profeta delle nazioni, tu, dunque, cingiti i fianchi, alzati e dì loro tutto ciò che ti ordinerò. Non spaventarti alla loro vista, altrimenti ti farò temere davanti a loro; ed ecco, oggi, io faccio di te come una fortezza, come un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti muoveranno guerra, ma non ti vinceranno, perché Io sono con te per salvarti. (Ger. 1, 17-19)
Leggendo queste parole e, prima ancora, quelle di Gesù a Nazareth, mi viene spontaneo chiedermi se, come vescovo, davanti all’uomo di oggi, facilmente ingannato, ho il coraggio del missionario, che non ha alcuna paura di annunciare la Verità di Dio, anche se è un contrastare le ‘comode verità’ del mondo, rischiando di essere emarginato. Ho vissuto il mio mandato sacerdotale ed episcopale in un territorio dove a volte ‘gridare la verità’ poteva costare la vita. Ma ho sperimentato che davvero Dio mi ha aiutato ad essere ‘un muro di bronzo’...sapendo che Lui era sempre con me e che, per la mia missione di ministro di Dio, quindi della Verità e della Misericordia, era mio dovere non avere paura e indicare, a tempo opportuno e con forza, le vie del Bene. Quante volte ho dovuto alzare la voce contro i mali della criminalità organizzata e i mali del mondo, sempre mettendo in conto la possibilità del ‘martirio’. Mi confortava la profonda amicizia che avevo con l’amato Papa Giovanni Paolo II che, sempre, incontrandomi, mi diceva con forza: ‘Non avere paura, mai!’. Come del resto era la sua missione nel mondo, ovunque. Con forza, ripeto, e carità.

Voglio ricordare – e mi confondo anche solo a narrarlo – un venerdì santo, giorno della Via Crucis in Diocesi, cui partecipavano migliaia di persone. Qualcuno del ‘gruppo di fuoco della criminalità’ mi invitò a non partecipare, perché era possibile un attentato. Non diedi ascolto neppure al Commissariato e, al momento opportuno, scesi tra la gente. Per tutelarmi le forze dell’ordine vollero che stessi nel mezzo della processione, isolato, con a fianco un carabiniere e un poliziotto a difendermi. Sempre mi fecero dolce compagnia le parole del Santo Padre: ‘Non abbiate paura’. Ma mi sentivo ‘poca cosa’ di fronte al grande vescovo di Shangai, Mons. Francis Xavier Ngunten Van Thuan, eletto poi Cardinale e Presidente del Pontificio Consiglio per la giustizia e la pace. Eravamo stati invitati insieme a partecipare alla marcia della Pace a Boves, vicino a Cuneo. Era stato in carcere, quello duro, dove è possibile solo vedere le sbarre e le guardie di custodia ed essere indottrinato ogni giorno. Portandolo in carcere, non gli avevano concesso alcunché di religioso: niente breviario, né Bibbia, nessun messale. Nudo di tutto ciò che era parte del suo ministero. Lui solo...con Dio. Così per 16 anni! Aveva chiesto di portare con sé una bottiglietta di vino ‘per la salute’ ed ogni giorno conservava un pezzetto di pane. A sera, quando era solo, celebrava la S. Messa – non so come facesse senza messale -. Consacrava due gocce di vino sul palmo della mano e il pezzetto di pane. Racconti di santi martiri. Alla fine, alcune guardie, ammirandolo, chiesero di essere battezzate e partecipare a quella ‘solenne’ Messa. Quando lo incontrai aveva al collo una croce composta con legno del carcere e la catena fatta con il filo spinato. Si accorse della mia ammirazione ed amicizia e voleva a tutti i costi donarmela. La rifiutai perché per lui era segno del martirio a lungo subito, per me solo un prezioso dono.

Di fronte a questi fratelli - ed oggi sono tanti, ovunque – che predicano il Vangelo sempre sul filo del martirio, confesso che mi assale come una grande malinconia, soprattutto se li paragono al disagio di molti nel testimoniare il Vangelo con la vita o alla paura di chi si rifugia nell’anonimato, che è come cancellare Dio dalla propria storia. Viene da interrogarci sulla qualità della nostra fede e missione, in questo tempo assetato di Verità, in cui troppi però non trovano sorgenti di acqua viva. E che diranno di noi, dal Cielo, coloro che hanno dato la vita per essere cristiani? Spero tanto e prego perché tutti possiamo diventare coraggiosi e gioiosi testimoni di Cristo... anche se è necessario andare contro corrente. Solo così si può costruire una civiltà di amore e di fede, di pace e di solidarietà, a misura di Cristo.



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Messaggio da miriam bolfissimo » ven feb 08, 2013 10:07 am

      • Omelia del giorno 10 Febbraio 2012

        V Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Prendiamo il largo e gettiamo le reti
C'è una domanda che tante volte la gente rivolge a un sacerdote o ad un religioso: «Che cosa ci trova di così attraente nel fare la vita che fa?». Forse tanti rimangono stupiti dal «nulla» che apparentemente si ha seguendo Cristo. La meraviglia che si tramuta in domanda nasce probabilmente dal confronto che si fa con quanto invece offre la vita di questo mondo: una vita che può attrarre per i tanti idoli che si fanno amare con facilità e per come a volte riescono a contentare. La risposta è molto semplice: «Chi mi attrae fino alla follia è Gesù. Non è quindi prestigio o potenza, ma è la Persona più desiderabile che si possa incontrare; una Persona che offre semplicemente il Suo amore, come unico bene. Ma è un bene tanto grande che fa letteralmente sparire tutti gli altri beni». Difficile quindi decifrare il cielo che passa negli occhi di una persona che Dio ha chiamato a seguirLo, a starGli vicino. Difficile capirne il cuore tanto ingrandito dall'amore di Gesù. Difficile spiegare tutto ciò che si vive, quando ci si è fatti prendere totalmente da questo amore. Sarebbe come spiegare il Paradiso. L'Evangelista Luca descrive minuziosamente la chiamata di Pietro: una chiamata fondamentale per la vita della Chiesa.
  • In quel tempo, mentre Gesù, levato in piedi, stava presso il lago di Genezareth e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì su una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: ‘Prendi il largo, e calate le reti per la pesca’. Simone rispose: ‘Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla, ma sulla tua parola getterò le reti’. E avendolo fatto presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: ‘Signore, allontanati da me che sono un peccatore’. Grande infatti era lo stupore che aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo, Giovanni, figli di Zebedeo che erano soci di Simone. Ma Gesù disse a Simone: ‘Non temere, d’ora in poi sarai pescatore di uomini’. Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono. (Lc. 5, 1-11)
Pietro era un pescatore che veniva da una pesca fallimentare. Aveva faticato tutta una notte sul lago di Tiberiade che conosceva palmo per palmo. Era in fondo una sua scelta di vita fare il pescatore. E un buon pescatore non esce mai in mare se non ha la quasi certezza di tornare con le reti piene. Tornare a mani vuote non voleva dire solo confessare una incapacità, ma anche e soprattutto non avere il sufficiente per vivere e fare vivere. Ma quella notte, davanti al Maestro che aveva scelto di essere spettatore, era stata la notte del fallimento che è così ben espresso da Pietro: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla». E Gesù vuole dare un segno a Pietro, proprio sul campo della sua competenza. «Prendi il largo e cala le reti». Pietro, dopo la confessione del suo fallimento, obbedisce dicendo: «Sulla tua parola getterò le reti».

Per me è stupendo questo atteggiamento di Pietro. Aveva mille e una ragione per essere furibondo contro se stesso, il mare e contro ogni speranza: perché trovarsi con le mani vuote dopo una grande fatica è come avere le gambe rotte. Supera se stesso e con la docilità di un bambino, fidandosi della parola di Uno che in fondo conosceva appena di vista o di fama, ma con il quale non aveva ancora alcuna familiarità, torna in mare avventurandosi al largo dove si misura capacità e coraggio. «E presero una quantità enorme di pesci che le reti si rompevano». Un fatto che intacca la dura crosta del pescatore, che si getta in ginocchio e così prega Gesù: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore». È pronta la risposta di Gesù, che a sua volta getta le sue ineffabili reti verso Pietro, Giacomo e Giovanni: «Non temere, d'ora in poi sarai pescatore di uomini». È un poco la storia di tutti quanti Dio ha chiamato per diventare «pescatori di uomini». O se vogliamo anche di ogni battezzato, a sua volta chiamato e scelto da Gesù a seguirLo nel battesimo e nella Confermazione e quindi invitato a gettare le «sue reti al largo». Il risultato non viene dalle nostre capacità, ma dalla fede sulla Sua Parola.

Tutti i giorni sentiamo, o ci auguriamo di sentire, la dolcezza di essere continuamente chiamati dal Maestro. A volte «per stare vicini a Lui» nella contemplazione, per gustare la gioia di essere da Lui amati. A volte chiamati a gettare le reti su questo mondo che è diventato un mare inquinato da mille veleni, dove è spesso difficile che sopravviva una qualche forma di vita vera, quella che viene da Dio. Facile che ci prenda la paura o lo scoraggiamento 'Non so più cosa fare per mio marito, per i miei figli, i miei amici, per la mia comunità». Sono confessioni quotidiane che sentiamo uscire dalla bocca di tanti genitori, parroci, educatori, gente comune che in pratica di fronte alla sensazione del fallimento ripete le parole di Pietro: «Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla». Ed allora si sta stancamente a riva: senza osare mai, senza in pratica sfidare la parola di Dio che continua a dirci le stesse parole dette a Pietro: «Cala le reti al largo». E senza avere la fiducia di Pietro: «Sulla tua parola getterò le reti».

Il nostro è tempo di inevitabili fallimenti, se vogliamo, ma di meravigliose sfide, che conoscono la loro audacia nella fiducia in Dio che se chiama e manda sa di avere una potenza tale da abbattere ogni difficoltà. E' tempo di coraggio evangelico, che non è esibizionismo di potenza umana, ma di umile servizio alla fede ed agli uomini. La storia di Pietro divenuto poi «pescatore di uomini' lo dimostra e non solo allora, ma in tutta la storia della Chiesa. Sono impensabili alla luce della chiamata di Gesù, comunità o famiglie che sono ripiegate su se stesse, come avessero scelto le catacombe per vivere la propria vita cristiana, anziché le vie del mondo per recare la luce a tutti gli uomini. Al Signore che diceva a Isaia: «Chi manderò e chi andrà per noi?». Il Profeta rispose: 'Eccomi, manda me!'. Dovrebbe questo essere l'atteggiamento di chi sente dentro di sé l'amore di Dio e l'amore per gli uomini.
      • 13 febbraio 2013

        Mercoledì delle Ceneri
Abbiamo lasciato alle spalle quella farsa, usata a volte per nascondere ciò che veramente siamo, che si chiama carnevale. Ma c’è proprio bisogno di ricorrere a finte maschere, che vorrebbero dare al nostro volto, e quindi alla vita, l’espressione di ciò che non è? Direi proprio di no. Troppe volte, tanti, la maschera se la portano addosso tutti i giorni: un volto che non può essere ‘volto di bellezza divina’. E la Chiesa giustamente ci chiama a farci prendere per mano ed entrare nella Quaresima, tempo di grande spiritualità, con una cerimonia, suggestiva se vogliamo, ma soprattutto piena di verità.

Il Mercoledì delle Ceneri, cessato il chiasso carnevalesco, sparge sul nostro capo la cenere e ci ammonisce: “Uomo, donna, ricordati che sei cenere e cenere diventerai”. E non è forse così, se guardiamo alla nostra natura di creature e a come finiamo? Quante volte recandomi al cimitero, questa verità mi si affaccia, vedendo come le ossa dei nostri cari, dopo qualche anno di sepoltura, finiscono in polvere, conservata in una teca, deposta nei loculi.

Ma non è semplice togliersi la maschera. È necessario ravvivare la nostra volontà di conversione a Dio, nell’umiltà della preghiera di invocazione: ‘Signore, donaci il tuo Spirito, per comprendere la nostra debolezza, ma credere fortemente nel tuo Amore misericordioso che ci salva’. Buona Quaresima a tutti.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven feb 15, 2013 9:05 am

      • Omelia del giorno 17 Febbraio 2013

        I Domenica di Quaresima (Anno C)



        Uomo dove sei?
Gesù, prima di iniziare la sua missione tra di noi, ci ha dato esempio di come entrare nella verità, affrontando a viso aperto chi ci mette la maschera, ossia l’autore di ogni inganno, satana. Racconta il Vangelo di Luca:
  • Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: ‘Se tu sei il Figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane’. E Gesù gli rispose: ‘Sta scritto:Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio’. Il diavolo lo condusse allora su di un alto monte. ‘Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio. Se ti prostri dinnanzi a me , tutto sarà tuo’. Gesù gli rispose: ‘Sta scritto: Solo al Signore tuo Dio ti prostrerai, lui solo adorerai’. Lo condusse allora a Gerusalemme e lo pose sul pinnacolo del tempio e gli disse: ‘Se tu sei il Figlio di Dio buttati giù, sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordine per te, perché essi ti custodiscano, e anche: Essi ti sosterranno con le mani, perché il tuo piede non inciampi in una pietra’.Gesù gli rispose. ‘Non lascerai il Signore tuo Dio’. Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione il diavolo si allontanò da Lui per ritornare al tempo fissato. (Lc. 4, 1-13)
E sappiamo tutti come Gesù, nella sua missione, avuta dal Padre, non ricorse né al potere, morte del servizio, né a ‘fare colpo’, con quella passione dell’apparire tanto frequente oggi, ma visse nell’umile povertà: uomo ultimo di tutti e fra tutti. Non cercò il successo, ‘vendendo l’anima al diavolo’, come oggi a volte accade... ma, in un’annientata umiltà, sulla Croce, divenne veramente ‘nulla’. Era venuto, Gesù, per portarci l’Amore del Padre, per aiutarci ad uscire da ogni inganno e vivere la verità e usò la sola arma dell’Amore, che è farsi nulla per ricrearci totalmente. Volle così indicarci la via per essere davvero ‘santi’. Ma è facile seguire Gesù? C’è una bella pagina di un ‘quaresimale’, del 1965, di Paolo VI, che invito tutti a leggere attentamente:
  • Siamo circondati da qualcosa di funesto, cattivo, perverso, che eccita le nostre passioni, approfitta delle nostre debolezze, si insinua nelle nostre abitudini, segue i nostri passi e ci suggerisce il male. La tentazione è dunque l’incontro fra la buona coscienza e l’attrattiva del male e nella forma più insidiosa di tutte. Il male, infatti, non ci si presenta con il suo vero volto, che è nemico, orribile e spaventoso. Accade proprio il contrario. La tentazione è la simulazione del bene, è l’inganno per cui il male assume la maschera del bene. E così l’uomo ha perduto il senso del peccato. L’uomo moderno si adatta ad ogni cosa: è capace di fare l’avvocato delle cose cattive pur di sostenere la libertà del proprio piacimento, e che tutto può e deve manifestarsi senza alcuna preclusione nei confronti del male: una libertà indiscriminata per ciò che è illecito. Si finisce così per teorizzare tutte le espressione della vita inferiore: l’istinto prende il sopravvento sulla ragione, l’interesse sul dovere, il vantaggio personale sul benessere comune. L’egoismo diviene perciò sovrano della vita dell’individuo e di quella sociale. Perché? Perché si è dimenticato ciò che è bene e ciò che è male. Non si conosce più la norma assoluta per tale distinzione, vale a dire la legge di Dio. Chi non tiene più conto della legge del Signore, dei suoi comandamenti e precetti e non li tiene più riflessi nella propria coscienza, vive in una grande confusione e diventa nemico di se stesso. È innegabile infatti che tanti malanni nostri sono procurati dalle nostre stesse mani, dalla sciocca cattiveria, ostinata nel ricercare non quello che giova, ma quello che è nocivo all’esistenza. Bisogna dunque rinnovare, rinvigorire la nostra capacità di giudicare, di discernere il bene dal male. In conseguenza, allorché il male si presenta attraente, lusinghiero, seducente, utile, facile, piacevole, noi dobbiamo dimostrare tanta energia e sapienza, da dire recisamente e risolutamente: no. Questo è il modo per respingere e superare la tentazione....il cristiano è forte, coerente, leale, coraggioso, eroico, se occorre.
È un discorso ‘duro’, ma necessario, quello che ci offre Paolo VI. Necessario per ritrovare la via del bene, frutto della giustizia e dell’amore, in fondo frutto della nostra vittoria sugli inganni del demonio, sempre pronto a sedurci. È bene ricordare che satana, il male, lotta contro Dio, aggredendo noi: offrendoci qualcosa di impossibile, nocivo, cerca di far sì che ‘voltiamo le spalle’ a Dio. Ricordate il suo subdolo agire con i nostri progenitori, come viene narrato nella Bibbia? Erano stati creati da Dio e portavano tutti i segni della Bellezza e del Bene, che è nel Padre. Dio mise alla prova il loro amore: la scelta tra Lui e ‘altro’. E si affaccia subito satana, ‘il più astuto degli animali’, intelligente nel sedurre, proponendo qualcosa di ‘bello’: ‘diventare dio’! Un’onnipotenza che sbalordisce la donna, attira l’uomo: ‘vogliono essere come Dio’, ma contro Dio e, alla fine, si trovarono ‘nudi’. Come risuona ieri e per tutta la storia degli uomini quella Voce del Padre, piena di dolore, nel vedersi rifiutato e preferito al nulla: “Uomo dove sei?”. La risposta la dice lunga, ieri, oggi, sempre: “Mi sono nascosto perché sono nudo”.

Quella storia di confronto tra l’amore di Dio e l’amore a se stessi, suggerita con astuzia, sempre, da satana, è la nostra storia. In questi ultimi tempi gli scienziati ci avvertono che stiamo andando incontro a veri cataclismi. Ci invitano a cambiare stile di vita. Ci fanno paura... apparentemente! Infatti l’uomo continua a preferire e perseverare nel suo stile di vita, affrettando così quello che teme. Che contraddizione! L’uomo è davvero incomprensibile nel suo agire? O solo ignorante? O incapace di mettersi in discussione per fare scelte di serietà e di vero benessere? Non abbiamo più parole per descrivere gli orrori morali, in tutti i campi: dalla guerra alle torture, all’uomo ‘mercificato’ del consumismo, non più persona libera, alle violenze sociali e familiari, ma poi, praticamente, nel nostro vivere quotidiano, sosteniamo ciò che condanniamo, ci sgomenta e ci fa paura!

Da qui la serietà della Quaresima: tempo in cui Dio si fa vicino, ancora una volta, cercando di strapparci una maschera inaccettabile dell’anima. Un giorno, a Roma, uscendo dalla Chiesa di San Carlo al Corso, posta di fronte ad un Hotel, vidi uscire dall’albergo un uomo che si trascinava a stento, con il volto solcato da rughe: mostrava una vecchiaia precoce. Chi era con me mi disse il nome di quell’uomo disfatto: un grande artista della TV. Lo rividi alla sera condurre la sua trasmissione, famosa. Era letteralmente ringiovanito... per opera del cerone! Ma l’uomo vero era quello incontrato nel pomeriggio, alla luce del sole. Quante volte anche noi, per le tante ‘creme’ che ci mettiamo sul volto dell’anima, appariamo ciò che non siamo. Nella Quaresima, vorremmo tutti riacquistare la bellezza del cuore, che Dio ci dona, se torniamo a Lui. Ma per ottenere questo occorre:
- mettersi davanti allo specchio della Parola di Dio e lasciarsi plasmare da Lui. È difficile, nella nostra vita caotica, ritagliarsi un momento per stare con Dio, ma è necessario, perché da soli non riusciremo mai a darci la Luce, che sola proviene da Dio.
- ialogare con Dio, nella preghiera, perché solo il Padre ci educa alla santità, ci aiuta a sottrarci all’inganno del demonio, pronto a farci vedere ‘lucciole per lanterne’, sicura strada verso l’infelicità!
- vestire ‘il sacco’ della penitenza. Cosa costerebbe ogni giorno toglierci un po’ di superfluo, e ne abbiamo troppo, per un gesto di carità verso chi è povero e ha bisogno di noi? Provate. È una grande gioia quella che si prova nel rendere felice chi non lo è. La capacità di rinuncia è gioia.

È difficile ‘fare Quaresima’ così? Direi proprio di no. È offrire a questo mondo, popolato ‘di gaudenti e disperati’, la via per ritrovare la vera Gioia della Resurrezione, profonda e duratura. Ogni volta che incontro un fratello o una sorella, che si sono liberati dall’inganno del demonio ed hanno scelto con fortezza, coerenza, di farsi illuminare il viso dalla bellezza di Dio, provo gioia. Non mi resta, carissimi, che augurarvi una SANTA QUARESIMA, INSIEME. Ai miei giovani che, a volte, mi confessavano la difficoltà di uscire ‘dal gregge del mondo’, dicevo che vivere di Dio è andare contro corrente, come sanno fare i santi. Così dico a voi, carissimi, che volete andare incontro a Cristo Risorto, senza maschere e ‘a viso aperto’!



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven feb 22, 2013 10:35 am

      • Omelia del giorno 24 Febbraio 2013

        II Domenica di Quaresima (Anno C)



        Maestro, com’è bello stare qui
Il dolore, la delusione, il senso del vuoto d’animo, la disperazione e tutto quello che volete, è come se lasciasse la sua impronta sul viso di tutti. Facile leggervi quel che uno sta vivendo, sempre che abbiamo occhi per leggere l’anima di chi ci sta vicino. Non si può nascondere l’anima. A volte si cerca una maschera, ma si capisce subito il tormento di un cuore. Quando incontro qualcuno o, ancor più, quando qualcuno viene a trovarmi per esporre i suoi problemi, soprattutto se angosciano, è come se quello che dicono fosse scritto sul volto. Inutile nasconderlo o fingere. Almeno tra amici. Così come a volte si legge la grande gioia o la grande bontà, che è in una persona. Il volto si illumina: ‘si trasfigura’. Ho nei miei ricordi ‘volti trasfigurati’, che facevano e fanno trasparire, senza che loro se ne accorgano, il bello che vivono. Di alcuni di essi porto un ricordo indelebile. Come quello del grande Giovanni Paolo II. Quando incontrava qualcuno, e soprattutto i bambini, o viveva eventi come le Giornate mondiali della gioventù, si veniva rapiti da quel volto radioso, come se vivesse in Cielo. Ho avuto il dono di celebrare qualche volta la Santa Messa con lui, nella sua cappella, in Vaticano. Mi distraeva o coinvolgeva il suo volto: immerso totalmente nel Mistero che viveva. Come il volto di un sacerdote ‘santo’ che, quando era in adorazione, – e la sua vita sembrava una continua adorazione, ossia un parlare bocca a bocca con Gesù – era solo luce, tanta luce. Così come il volto trasfigurato di mamma, quando mi abbracciò nella ordinazione sacerdotale. Chi di noi vive l’esistenza in pienezza di fede e carità conosce questi momenti di ‘trasfigurazione’, a volte per la gioia, a volte per il dolore. Questo lo considero un grande dono del Padre.

Il Vangelo di oggi ci racconta appunto ‘la Trasfigurazione’ sul monte Tabor. Posso immaginare il volto di Gesù, che non conosceva certamente il buio delle nostre debolezze, ma che doveva essere sempre ‘bello come il sole’, quando parlava alle folle, che si lasciavano catturare dalle Sue Parole illuminanti e dal Fascino della Sua Persona, fino a dimenticare stanchezza e fame, al punto da commuoverLo. Gesù stava lasciando la Galilea per inoltrarsi nella Giudea. Nella Giudea non solo c’era la bellezza della città santa, Gerusalemme, ma c’era il rifiuto della Sua presenza e lo attendeva la sua prossima morte in croce. Credo che anche in Gesù, il pensiero di quello che lo attendeva, velasse il viso di grande tristezza, accolta però con serenità, perché sapeva che sulla croce, avrebbe dato la sua vita, come supremo atto di amore al Padre, per farci tornare figli. Ma sapeva anche che quella morte avrebbe scandalizzato i suoi, che si sarebbero sentiti traditi, come ingannati. Voleva quindi rassicurarli.

È proprio l’atteggiamento che Gesù ha verso di noi, quando siamo tentati di abbandonarLo, perché quello che ci accade non sembra proprio, all’apparenza, un atto di amore... come la sofferenza o la morte di una persona cara. I momenti avvertiti da noi poveri uomini come ‘abbandoni di Dio’. E allora Gesù cerca di rassicurare i suoi con la testimonianza di chi era presente, perché quanto avrebbero visto doveva rimanere impresso nei momenti della prova. Racconta Luca:
  • Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e salì sul monte a pregare. E mentre pregava il suo volto cambiò d’aspetto, la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con Lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria e parlavano della sua dipartita, che avrebbe portato a termine a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sono, tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con Lui. Mentre questi si separavano da Lui, Pietro disse a Gesù: ‘Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia’. Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse: all’entrare in quella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce che diceva: ‘Questi è il Figlio mio: ascoltatelo’. Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono ad alcuno nulla di quello che avevano veduto. (Lc. 9, 28-36)
Sappiamo tutti come, al momento della cattura di Gesù, nell’orto del Getsemani, tutti fuggirono. Per paura di essere coinvolti? Per paura dell’odio che esprimevano quanti erano venuti a catturare Gesù? Forse perché delusi, confusi, di fronte ad un Maestro, un Figlio di Dio debole, che non sapeva resistere alla brutalità degli uomini? Che era rimasto della Trasfigurazione sul Tabor? Questa è la storia di ogni uomo, molto simile a quella dei discepoli, se non a volte peggiore: abbandonare Dio, quando si fa buio nella vita. Diceva Paolo VI, che cito spesso perché è davvero un grande maestro, che Dio ha donato a noi, come del resto ogni Papa dei nostri tempi:
  • Se io domandassi agli uomini del nostro tempo: chi ritenete che sia Gesù Cristo? Come lo pensate? Ditemi: chi è il Signore? Chi è questo Gesù, che noi andiamo predicando da tanti secoli e che riteniamo sia ancora più necessario della nostra vita annunciarlo? Chi è Gesù? Alla domanda, alcuni, molti forse, non risponderebbero, non saprebbero che dire. Esiste come una nube – e questa sì che è pesante, ben diversa da quella scesa sul monte Tabor – di ignoranza che oscura tanti intelletti. Si ha una cognizione vaga del Cristo, non lo si conosce bene, si cerca anzi di respingerlo: Al punto che, all’offerta del Signore che vuole essere per tutti guida e maestro, si risponde di non averne bisogno e si preferisce tenerlo lontano. Quante volte gli uomini non vogliono che Gesù regni su di loro e cercano in ogni modo di allontanarlo! Lo vogliono quasi cancellare e togliere dalla faccia della civiltà moderna. Non si vuole più l’immagine di Cristo. Ma noi che crediamo in Cristo, noi sappiamo bene chi è il Signore? Sapremo dirgli una parola diretta ed esatta, chiamarlo veramente per nome: Maestro, Pastore? (14 marzo 1965)
Sono domande che dovrebbero diventare guida nella nostra Quaresima, meglio ancora diventare nostra vera vita. È incredibile davvero come troppi si lascino sedurre dall’inganno del mondo, che cerca di farci credere che la vera nostra ‘trasfigurazione’ stia nel possesso dei beni della terra, nella superbia o quant’altro ci attira. Ma può mai l’idolatria delle cose donarci quella luce sul volto che è nelle persone buone, magari povere, ma vicine a Dio? Si può forse confrontare il volto ‘radioso’ di un santo, di una persona buona, con la smorfia che è in tanti per la delusione che provano dopo un momento di superficiale felicità? “Non so cosa pagherei – mi diceva un giorno un signore – per capire come fa certa gente ad avere un volto così bello che riflette una gioia sincera che noi non conosciamo. Sembriamo tutti felici, ma ogni giorno dobbiamo conoscere la tristezza profonda della delusione”. Una spiegazione a questa incapacità di accedere alla gioia del cuore, ce la dà oggi San Paolo nella lettera ai Filippesi:
  • Fatevi miei imitatori, fratelli, e guardate a quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti, ve l’ho detto più volte e ora con le lacrime agli occhi ve lo ripeto, si comportano da nemici della croce di Cristo: la perdizione però sarà la loro fine, perché essi, che hanno come dio il loro ventre, si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi, tutti intenti alle cose della terra. La nostra patria invece è nei Cieli. (Fil. 3, 4-1)
Parole dure, ma dette con le lacrime agli occhi, perché chiunque ha conservato nel cuore almeno il desiderio della bellezza dell’anima, sa cosa vuol dire soffrire per chi si perde, in famiglia o nella società. Così come tutti conosciamo lo stupore quando incontriamo qualcuno il cui cuore pare essersi fermato sul Tabor... anche se il Tabor, a volte, è il Calvario. La Quaresima, carissimi, è entrare in questo splendore, ma dobbiamo salire il monte, ossia farci catturare dalla luce di Dio e strapparci le tante ombre che fanno male... tanto male. Non resta che pregare, affidarsi alla Parola ed amare.



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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » gio feb 28, 2013 10:40 am

      • Omelia del giorno 3 Marzo 2013

        III Domenica di Quaresima (Anno C)



        Se non vi convertirete…
C’è una diffusa mentalità che nei fatti, soprattutto dolorosi, che ci succedono e ci toccano da vicino, fa pronunciare la frase: “Ma Dio dov’era?”. Come se Dio, il Padre, potesse concedersi anche solo un attimo di distrazione sulla sorte degli uomini, tutti e ognuno, che Egli ama, come noi difficilmente possiamo, ora, anche solo immaginare, ma che un giorno, se ce lo saremo meritato, ‘conosceremo’, perché Lo vedremo ‘faccia a faccia’. Non è assolutamente concepibile che Dio non si curi di noi. Ricordate le parole di Gesù: “Guardate gli uccelli dell’aria, non seminano né mietono, e Dio li mantiene. Anche i capelli del vostro capo ai Suoi occhi sono contati”.Eppure c’è la mentalità che dietro ogni ‘disastro’ ci sia un Dio disinteressato...che è un dimenticare la preghiera di Gesù: ‘Padre nostro...”!

Penso che tanti di voi ricordino la catastrofe nella scuola di San Giuliano, che vide cadere sopra gli scolari parte della struttura, uccidendone tanti con la loro maestra. In quell’occasione partecipai ad una trasmissione televisiva. Vi erano tre esperti, tra cui un opinionista che si dichiarava ateo ed il sottoscritto. Per più di un quarto d’ora i tre esperti, non sapendosi dare una ragione del crollo della scuola, misero in discussione l’esistenza di Dio, come non ci fosse. ‘E se c’è – si chiedevano – dov’era? Se c’era non poteva intervenire miracolosamente ad evitare la calamità? Non possiamo – dicevano – anche solo pensare che ci sia un Dio che non veda o, se vede, non intervenga. La sola cosa che possiamo affermare è che tutto è dovuto al caso, che interviene nella nostra storia: un caso che a volte sfugge dalle mani dell’uomo, ma che altre volte l’uomo può prevenire’. Confesso che rimasi per un certo tempo a sentirli ’sbeffeggiare’ Dio, ma alla fine chiesi al conduttore la parola. “Se foste rispettosi del pensiero e della fede di ciascuno, da saggi dovreste almeno tacere e non deridere quanto per tanti è di grande sacralità, ossia la propria fede. Non saperlo fare, manifesta poco rispetto all’intelligenza e libertà. Voi affermate che tutto è nelle mani del Caso. Ed allora vi chiedo: Il caso è come il Destino, un oggetto che vaga capricciosamente nella vita, ma non è persona? O è una persona che si prende gioco di noi? Insomma il Caso è una cosa o un chi?”. Non seppero rispondere. Soltanto l’opinionista ateo invitò coraggiosamente al rispetto della fede altrui e ad attenersi alle ragioni del crollo della scuola, non certamente dovute a Dio, come anche la giustizia umana ha poi dimostrato. “Ha ragione il vescovo – disse – non si fa chiarezza con parole fuori senso, ma con approfondimento”.

Così come ricordo quel padre di famiglia, che aveva appena costruito la sua casa vicino alla mia canonica, nel Belice. Dopo il terremoto, che distrusse tutto, vedendo che la sua fatica era valsa a nulla, si voltò verso il cielo, con una scarpa in mano, gridando la sua rabbia. Accorgendosi della mia presenza – io davo le spalle alla mia bellissima Chiesa madre andata in frantumi – mi guardò e, piangendo, mi chiese scusa: “Quando scoppia la rabbia e senti che la terra ti manca sotto i piedi, non sai più quello che dici. Ma a Dio io credo e Lo prego”. Povero, caro fratello, come lo capivo e, certamente, come lo capiva il Padre! Nel Vangelo di oggi si narra qualcosa di simile e viene posta la stessa domanda a Gesù:
  • In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: ‘Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per avere subito quella sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Siloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. (Lc. 13, 1-9)
Con le sue parole , pare proprio che Gesù risponda ai tanti interrogativi che, a volte, ci poniamo di fronte ai drammi che succedono o nelle nostre famiglie o nel mondo, magari vicino a noi. Quanti ne raccontano ogni giorno i mass-media! Si parla tanto in questi tempi, e giustamente, del grande pericolo che il pianeta terra corre, fino a rischiare l’estinzione. Descrizioni a volte da apocalisse. Giustamente noi ci preoccupiamo. Sappiamo che questa ‘catastrofe’ non guarderà in faccia nessuno: è colpa del nostro dissennato sistema economico che, per avere sempre più benessere, giorno per giorno contribuisce a provocare ‘danni irreversibili’. Tutto potrebbe cambiare e guarire, solo se gli uomini rinunciassero a quanto concorre al disastro ecologico. Ma... si rimane fermi alla sola paura, facendo scongiuri, senza minimamente tentare almeno di cambiare stile di vita, coltivando un maggior rispetto verso l’ambiente, che è la nostra ‘casa qui’.

Ci si indigna per i fatti di bullismo nei giovani, sempre più frequenti, ovunque, nelle periferie degradate come nei quartieri ‘bene’... ma non si fa nulla, o poco, per dare, nelle famiglie o nella scuola, quell’educazione del cuore che è la pedagogia della fede e dell’amore. Proviamo orrore, sdegno, al solo leggere la sorte di due terzi dell’umanità, costretta ad emigrare, perché la loro terra è fonte di ricchezza, ma solo per gli speculatori che rubano al popolo o al massimo gli danno in compenso solo armi...., ma non ci convertiamo alla giustizia e all’amore, andando così incontro al grave rischio della ‘rabbia dei poveri’, come affermava Giovanni Paolo II. Rimaniamo senza respiro di fronte alle tante tragedie nelle famiglie, ai milioni di bambini rifiutati o svenduti... ma non ci convertiamo ad amare la bellezza e la bontà, che lasciano libero il passo all’amore, soprattutto verso il più debole ed indifeso.

E potremmo continuare l’elenco delle nostre contraddizioni... purtroppo sempre unito alla più tremenda nostra contraddizione, che è il tentativo di scaricarci la coscienza con la stessa domanda che i Giudei posero a Gesù: “Di chi è la colpa?”. La risposta è sempre la stessa: “Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”. È proprio la Quaresima, che stiamo vivendo, il tempo propizio, alla luce della Parola di Gesù e della storia che viviamo, per chiederci se siamo disposti a cambiare in noi, tra di noi, tutto ciò che porta alla rovina e ai drammi sopra ricordati. E direi che, alla luce dei fatti, ‘l‘umanità gaudente e disperata’ non ha più tempo per continuare a correre verso il dolore, il non senso, il disastro. È tempo di invertire la rotta della coscienza, ossia convertirsi. Qui possiamo capire il significato urgente di ‘cambiare stile di vita’, a cominciare dalla coscienza, per fare spazio alla speranza di un tempo a misura dell’amore di Dio e degli uomini. E come a stimolarci ancora di più, e quindi renderci responsabili di quello che operiamo, per un invito alla conversione, Gesù, nello stesso Vangelo di oggi, denuncia un’altra possibile ‘piaga dell’anima’.
  • Disse anche questa parabola: Un tale aveva un fico piantato nella vigna, venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli gli rispose: Padrone, lascialo ancora quest’anno, affinché io gli zappi intorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire, se no, lo taglierai. (Lc. 13, 1-9)
È un ‘duro’ invito, se vogliamo, a guardare nel profondo della nostra vita, di ieri, di oggi e chiederci cosa abbia fruttato di buono, per la vita eterna, quanto abbiamo realizzato o siamo impegnati a realizzare. Quante volte, affaccendandoci in tante cose, alla fine ci sembra di non aver concluso nulla di valido, solo ‘un pugno di mosche’: tante esteriorità, ‘foglie’, ma poco o nessun ‘frutto’. È il profondo senso di amarezza che sentono tanti, quando seriamente entrano nel profondo dell’esistenza e si chiedono: ‘Perché ho vissuto?’ o ancora ‘Per cosa o per chi ho vissuto? Quale tesoro per l’eternità ho coltivato?’. Il più delle volte si ha come l’impressione di aver ‘fatto nulla’, di aver solo ‘perso o sprecato il tempo’ e si prova una grande amarezza e tristezza. Può essere vero che abbiamo buttato via un’esistenza correndo dietro a ‘fogliame senza frutto’, ossia a tutte quelle ‘vanità delle vanità, che a nulla giovano per la felicità di Dio e che lasciano tanto amaro in bocca già anche ‘qui’? Purtroppo, lasciando a Dio ogni giudizio, si ha l’impressione che ci sia attorno a noi tanta gente che veramente ‘usa il bene della vita’ per ragioni che non sono la fede e la felicità vera. Avranno forse accumulato soldi, e quanto volete... ma, nella solitudine e nel silenzio, proprio quando vorremmo avessero voce le cose buone agli occhi di Dio, li assale un’amarezza infinita, che, in alcuni, sfocia in depressione.

Davvero, carissimi, non si può conoscere la ‘pienezza di vita’, che Dio dona, se la nostra esistenza è guidata solo dal capriccio o, peggio ancora, da quel disinteresse e superficialità che fa male ed è in tanti, in troppi. Tranne poi a meravigliarsi del male! Ma per grazia di Dio ci sono tanti e tante, ovunque, che fanno della vita un continuo esercizio di amore, nelle grandi e piccole scelte, come se la vita fosse quella pianta di fico dalle molte foglie, sì, ma incoronata da tanti frutti... perchè zappata e coltivata. Dovremmo, miei cari, questa Quaresima, e sempre, abituarci a dare un senso di bontà, quella che scaturisce dal Cuore di Dio, a ciò che facciamo. Soprattutto sapendo mettere in primo piano la carità, ossia la solidarietà, l’amore, a cominciare dagli ultimi: un amore che nasca dalla preghiera... e vedremo allora spuntare una grande gioia, sentiremo che vivere è grande felicità: ha senso! La vita diventerà ‘l’albero di fico’, che non sfoggia solo foglie, ma queste sono ‘cornice per i frutti’! Non facciamo cadere la Parola di Gesù, oggi, ma approfondiamola, per non sentire quel ‘vuoto dell’anima’, che davvero è un vuoto che la vita non sopporta.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven mar 08, 2013 10:01 am

      • Omelia del giorno 10 Marzo 2013

        IV Domenica di Quaresima (Anno C)



        Lasciatevi riconciliare con Dio
Credo che tutti noi conosciamo la parabola del Figlio prodigo. È la stupenda rivelazione di un Padre che, davanti a chi sbaglia – e tutti sbagliamo nella vita, ogni volta voltiamo le spalle a Dio, offendendolo – nel momento in cui rientra in se stesso e ritorna a Lui, smette la toga del Giudice e veste l’incredibile ‘abito’ del ‘papà’, che gioisce fino alla commozione. È in questa parabola la certezza per tutti noi che è possibile ritrovare ‘il paradiso’, perduto nel peccato. Non rimane che viverla insieme, come punto di riferimento, meditazione, conversione e quindi Gioia pasquale, perché è il vero cuore della Quaresima che stiamo vivendo. Leggiamola e meditiamola insieme, cercando con l’aiuto dello Spirito di ritrovare la nostra storia di ‘figli prodighi’, che vogliono tornare a casa.
  • Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre. ‘Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta.’ E il padre divise le sue sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano...
Viene da chiederci: Ma che cosa abbiamo noi di ‘nostro’, da chiedere che ci sia restituita una parte? Di nostro c’è solo il cattivo uso dei tanti doni, dalla vita alla vocazione al Paradiso, alla capacità di mostrare il volto di Dio nell’amore, ai tanti ‘carismi’ ricevuti. Quando noi, forse con troppa leggerezza parliamo di peccato, a volte, con un senso di derisione che ancora se ne parli, altro non facciamo che rinnegare la felicità del Padre, offendendolo, come del resto ci sentiremmo delusi e offesi, se il nostro amore fosse rifiutato per dare la preferenza ad altro che non è amore. Il mio caro Padre Rebora – un grande convertito – amava affermare che tante volte noi uomini siamo ‘i beni di Dio contro Dio’! E Paolo VI, da vescovo di Milano, nel Giovedì santo del 1963, dichiarava:
  • Ci può essere un abisso invalicabile anche ai passi di Dio che vengono verso di noi: questo abisso, questa separazione, è la morte, meglio, è il peccato. Il peccato è lo stato di inimicizia con Dio, il rifiuto di Lui, è la repulsione, il distacco da Lui. Il peccato è la nostra morte, perché interrompe la circolazione di Dio in noi. Dio è la vita e, quando noi pecchiamo, tronchiamo la vena vitale che da Dio parte e viene a noi.
Mi chiedo spesso come possiamo convivere con il peccato, ossia con il rifiuto di Dio, senza sentire una profonda amarezza, che viene dal sentirsi ‘soli’, ‘nudi’. Mi viene alla mente il disagio, la profonda tristezza, simile ad una morte dell’anima, come viene descritta nella Bibbia, riguardo ai nostri progenitori: creati per la gioia e la vita con Dio, ingannati, si rivolgono verso ‘un altro bene’: sentirsi ‘dio’ essi stessi, liberi da Dio... un’autorealizzazione impossibile! Subito cade ‘questo sogno di satana’ e... ‘si nascosero’ agli occhi di Dio, perché ‘nudi’. Ma Dio conosce il dramma che nasce nell’uomo dal suo stesso rifiuto, l’inferno del peccato in cui viene a trovarsi, e lo cerca: “Uomo, dove sei?”. “Mi sono nascosto perché sono nudo”. Ieri, oggi, sempre. È la situazione raccontata dalla parabola del figlio prodigo. Cerchiamo di entrare in questa ‘nudità’, che è l’esatta fotografia di tanti che scommettono la vita ‘fuori della casa del Padre’, credendo di trovare ‘il paradiso’ in questo mondo, cancellando anche solo l’idea del peccato e divenendo...idoli di se stessi.
  • ...e là sperperò le sue sostanze, vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci, ma nessuno gliene diede.
Deve essere stata grande la delusione di quel giovane, che aveva sperimentato la bellezza di vivere nel calore e nella sicurezza di casa, dove non mancava di nulla ed era circondato dall’affetto paterno. Era nato in quella casa ed ‘era fatto’ per quella casa. Altre case... il mondo, che aveva scelto, credendo di trovarvi maggiore gioia, lo aveva illuso per un momento, ma... per abbandonarlo subito, lasciandolo senza cibo, senza affetto, in una condizione di umiliazione...’tra i porci’, negandogli persino ‘il cibo dei porci’! Come ha pagato caro la sua scelta del mondo, convinto che ‘offrisse di più’ di quanto dava la casa del padre! È la storia di chi di noi, a volte, speriamo mai, nelle ‘proposte del mondo’, crede di trovare, ‘la libertà’, senza rendersi conto che hanno la loro sostanza nel rifiuto del bene, ossia dell’amore del Padre e sono strade che conducono alla carestia, al degrado... si diventa ‘custode di porci’!

Quante storie come quella del figlio prodigo ho conosciuto. Quanta meravigliosa gente, giovani, ragazze, uomini, donne, hanno creduto di trovare la felicità fuori della casa, che è la sola che può darci ‘pienezza di vita’, per la nostra natura di figli di Dio, e si sono trovati con l’inferno nel cuore, che nulla può addolcire. Suscita tanta compassione quel figlio prodigo, come la suscitano quanti di noi, dopo scelte sbagliate, si trovano alla fine insoddisfatti, affamati di vera gioia, di pace interiore, ma ‘abbandonati’ da chi o da ciò in cui hanno creduto. Che triste solitudine... senza Padre... senza casa... con amici falsi... o lasciati da tutti. Un inferno. Ma si può uscirne? Si può risalire la china e ritornare alla Casa del Padre? Leggiamo – se volete con le lacrime agli occhi per la commozione che suscita – non solo l’attesa del Padre, ma il momento della svolta del figlio, la sua volontà di tornare a casa, pur con tante paure e dubbi, e soprattutto l’incontro con il Padre. Il ‘voler tornare’ è il momento della conversione, opera dello Spirito Santo.
  • Allora rientrò in se stesso e disse: ‘Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: ‘Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio, trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre.
Chi di noi ha davvero a cuore ritrovare la sua ‘innocenza’, la sua pace interiore, che è nel sacramento della Penitenza, è necessario chieda la Grazia di ‘mettersi in discussione’ ed abbia il coraggio di ‘rimettersi in cammino’, con la sicurezza di trovare aperta la porta di casa, il Cuore di Dio. La Quaresima è proprio il tempo – per chi di noi ama la Gioia pasquale, la vera gioia dei santi, dei buoni, di quelli che vivono in pace con Dio e quindi con se stessi e gli altri – di chiedere la Grazia allo Spirito di saper ‘rientrare in se stessi’, ossia fare chiarezza nella propria vita ed avere fiducia di avere un Padre misericordioso.

L’incontro del figlio con il Padre, Gesù lo descrive con parole che davvero commuovono. Un vero peccato non farsi coinvolgere e, per paura o, peggio ancora, perché si è spento il ‘bello della vita’, dono di Dio, o per un assurdo chiudersi in se stessi....rinunciare all’incontro, quando tutti dovremmo sentire il desiderio della vera Gioia, che viene dall’amore del Padre, sapendo come ritrovarla, quando l’abbiamo perduta...con il Sacramento della Penitenza. E se nasce l’incertezza: ‘Il Padre come ci accoglierà?’ ...Ascoltiamo Gesù e fidiamoci!
  • Quando era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli gettò le braccia al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: ‘Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il Padre disse ai servi: ‘Portate qui il vestito più bello e rivestitelo,... e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. (Lc. 15, 11-32)
Questa è davvero la vera Pasqua: il ritorno a casa e conoscere la festa del Padre. Come vorrei per me, per voi, miei amici, che conoscessimo, sperimentassimo e sentissimo la dolcezza sicura, sempre, di quelle braccia al collo del Padre commosso! Quanta gioia provo ogni volta il Signore mi dà la Grazia di essere io il padre, nel sacramento della Penitenza, per poter gettare le braccia al collo di un figlio ritrovato!



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven mar 15, 2013 10:04 am

      • Omelia del giorno 17 Marzo 2013

        V Domenica di Quaresima (Anno C)



        Donna, nessuno ti ha condannata?
Non si può leggere il brano, che il Vangelo ci propone in questa domenica di Quaresima, senza provare una grande emozione per la delicatezza, l’amore che Gesù mostra davanti alla donna adultera, che scribi e farisei gli avevano condotto davanti, soprattutto per vedere come si sarebbe comportato, se seguendo la legge di Mosè o contro. Possiamo facilmente immaginare lo stato d’animo di quella donna ‘colta in flagrante adulteri’. Già l’essere stata scoperta sul fatto, deve essere stato umiliante. Ma vedersi poi strattonata e portata per le vie, tra il disprezzo di tutti, verso il monte degli Ulivi, dove anche Gesù presto avrebbe subito la stessa vergogna, come condannato alla crocifissione, era sapere che presto il senso di ‘morte interiore’, che già provava, sarebbe stata una realtà definitiva: posta in mezzo tra gli scribi e i farisei da una parte e Gesù dall’altra, sarebbe stata lapidata per la sua colpa.

Chi di noi non ricorda il tempo, non tanto lontano, di ‘tangentopoli’, quando era all’ordine del giorno la sfilata con le manette ai polsi, sotto i riflettori impietosi della TV e il disprezzo generale? Ho conosciuto parecchie di queste persone, che finirono in manette, per quel reato. Ne ricordo in particolare una, che ricopriva un alto incarico. Viveva in uno stato di ansia, da quando gli era giunto l’avviso di garanzia, pronta ad essere prelevata dalle forze dell’ordine e portata in tribunale, additata come un ignobile corrotto. “Mi sembrava di vivere nell’anticamera della morte. Morivo ogni giorno un poco, per il disprezzo che sempre più saliva nell’opinione pubblica e la vergogna di essere finito nella polvere. E non avevo alcuna colpa. Chi non ha provato ‘il tintinnio delle manette’, sotto i riflettori, con la sensazione di essere calpestato da tutti, come fosse un cencio, non può capire cosa voglia dire ‘essere trascinato in piazza’, con la sensazione che la propria condanna sia già stata decretata”. Ho rivisto quell’amico dopo quella esperienza. Anche se dichiarato innocente, era un uomo provato, come un semivivo, segnato da un dolore che non riusciva a superare, a nascondere. Non era più la persona ‘importante’, che avevo conosciuto, ma ‘un relitto umano’, che si trascinava a stento, evitando tutto e tutti, per schivare il disprezzo che gli si era appiccicato alla pelle, come una lebbra inguaribile. Ed anche se non in quella forma, siccome tutti siamo fragili e quindi facili a sbagliare, a volte la nostra debolezza, più o meno grave, quando si manifesta agli occhi della gente, subito fa scattare il disprezzo o la condanna. E difficilmente riusciamo a cancellarne il ricordo. È un ‘sentirsi’ privati della stima o del perdono, che sono la forza che ci consente di andare avanti.

Ma per fortuna la meraviglia del Cuore di Dio è diversa. Lui è ‘un papà’ e i papà non si concedono la disistima del figlio, anche quando sbaglia. Il cuore di un papà non glielo consente, magari strilla, ammonisce, ma poi perdona il figlio, sempre. Il cuore di un papà ama sempre. Come quello della mamma che era con me, quando visitavo i terroristi nelle carceri. Ci divideva da loro uno spesso vetro, che non permetteva alcun contatto. Ci si parlava con un microfono. Quella mamma meravigliosa, davanti alla figlia terrorista, piangendo e bagnando il vetro con le lacrime, continuava a recitare come un rosario: ‘Ti voglio bene..sei sempre mia figlia..ti voglio bene’. Di fronte a questa immagine di amore, mi venne da piangere con lei. Il perdono, e lo abbiamo meditato nel Vangelo del figlio prodigo, è davvero il grande Cuore di Dio, che non si fa scoraggiare dai nostri sbagli: neppure ci toglie un briciolo di stima, come si fa con i figli... ma conosce solo la commozione e ‘le braccia al collo’, quando il figlio si ravvede e rientra in se stesso. C’era un tempo in cui si pensava a Dio non come un Padre che per perdonarci sacrifica Suo Figlio, Gesù, ma come un Giudice pronto a condannarci o punirci. E le nostre ‘confessioni’, tante volte, risentivano di questo carattere di ‘giudizio’, non di incontro gioioso. Ma gustiamo, parola per parola, il Vangelo di oggi:
  • Gesù si avviò verso il Monte degli Ulivi. Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da Lui ed Egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed essa rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “Neanch’io ti condanno: va’ e non peccare più. (Gv. 8, 1-11)
Se la settimana scorsa Gesù, con la parabola del figlio prodigo, rivelava l’incredibile ampiezza della Misericordia del Padre, e Sua: “commosso gli corse incontro, gli gettò le braccia al collo e disse: ‘Facciamo festa perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita”, ancor più, nell’episodio della donna adultera, colta in flagrante adulterio e da condannarsi, secondo la Legge, alla lapidazione, mostra quanto in Lui prevalga la Misericordia su quella che noi, a volte, non so con quale diritto, chiamiamo giustizia. La differenza, rispetto a noi, è che ‘Dio non ama la morte del peccatore, ma desidera solo che si converta e viva’. Noi, invece, a volte, preferiamo la morte del peccatore o la pena, disinteressati rispetto alla sua vita, alla sua dignità, alla possibilità di redenzione. Se Dio ci vede ‘caduti’, qualunque sia la nostra colpa, preferisce darci una mano per rialzarci e aiutarci a tornare a vita nuova, come il figlio prodigo.

Fa davvero impressione, intorno a quella donna, da un lato la folla di giudici che ne invocano la morte, e, ‘con una raffinata malizia’: vogliono anche condannare Gesù e la sua sentenza, mentre dall’altra parte c’è proprio Lui, Gesù, che davanti al peccato tace, si china per terra, prendendo un netto distacco da loro, da noi, forse triste proprio per la nostra condotta di giudici senza pietà, che proprio non ci spetta. E come a confermare questa immensa Bontà e Misericordia di Dio, scrive il profeta Isaia:
  • Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò una strada nel deserto, immetterò fiumi nella steppa, mi glorieranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua nel deserto, fiumi alla steppa per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il popolo, che Io ho plasmato per me, celebrerà le mie lodi. (Is. 43, 16-22)
Davvero meraviglioso è l’Amore di Dio... e noi abbiamo paura a gettarci nelle Sue braccia? Come ce la spieghiamo questa paura o vergogna? La Pasqua, che è ormai alle nostre porte, ci invita a sperimentare la Bontà del Signore, che ci aspetta tutti sulla porta di casa Sua, attende che rientriamo in noi stessi e, attraverso il sacramento della Penitenza, vuole poterci correre incontro e gettarci le braccia al collo. Dinnanzi alla nostra coscienza che, a volte, si oscura per la vergogna o paura, o di fronte ad una mentalità che preferisce affidarsi alla giustizia umana, che a volte chiude gli orizzonti della vita, ci attende Gesù che ci dice: “Io non ti condanno! Va’ in pace e non peccare più”. Scriveva Paolo VI, commentando questo Amore:
  • In un mondo che si divora nell’egoismo, individuale e collettivo, che genera gli antagonismi, le inimicizie, le gelosie, le lotte di interesse, le lotte di classe, le guerre, l’odio in una parola, noi proclameremo la Legge dell’Amore, che si diffonde e si dona, che sa allargare il cuore ad amare gli altri, a perdonare le offese, a servire gli altrui bisogni, a sacrificarsi senza calcoli, a farsi povero per i poveri, fratello per i fratelli, a creare un mondo nuovo di concordia, di giustizia e di pace. (28.6.1956)
Non mi resta, cari amici, che pregare ed augurare a tutti che la Pasqua, che è alle porte, ci faccia conoscere i passi verso il ritorno al Padre, per insieme cantare la Gioia dell’Alleluja!

      • 19 marzo Festa di S. Giuseppe
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Questi ultimi tempi sono stati segnati dal dibattito sulla sacralità della famiglia in contrapposizione al riconoscimento delle unioni di fatto, che, partendo da una solidarietà per chi convive senza matrimonio, rischia domani di mettere a repentaglio la stessa famiglia, così come è stata pensata e voluta da Dio stesso. Si sono dette e scritte tante, ma tante, parole, con il pericolo di creare lacerazioni, che non dovrebbero esistere quando si dibatte su un bene che riguarda l’uomo.
Martedì è la solennità di San Giuseppe, Sposo di Maria Vergine, Madre di Dio, e padre putativo di Gesù. La testimonianza di una famiglia, chiamata ‘sacra’, che dovrebbe ispirare tutti, politici e noi semplici cittadini, che non possiamo lavarci le mani di fronte a questi vitali problemi. Credo che più delle tante parole, sia efficace guardare alla Sacra Famiglia e pregarla perché ogni nucleo familiare abbia origine e sostegno da loro. Ma ci vuole davvero una preghiera profonda e sincera, perché in gioco c’è ‘la vera pietra angolare’ della società di sempre.

Alla Sacra Famiglia affido tutte le famiglie ed in modo particolare quelle che con me vivono la Quaresima, tempo di ritorno alla Verità, che è Dio.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven mar 22, 2013 11:04 am

      • Omelia del giorno 24 Marzo 2013

        Domenica delle Palme (Anno C)



        Domenica delle Palme e Settimana Santa
Non credo lasci indifferenti quanto la Chiesa celebra oggi, chiamata ‘Domenica delle Palme’: è come se il sipario del cielo si aprisse per mostrarci dal vivo, in Gesù, Suo Figlio, quanto il Padre ci ami. Come davanti ai grandi eventi che colpiscono, ciò che si celebra da oggi a Pasqua, è l’Evento per eccellenza, che dovrebbe zittire le voci della nostra vita chiassosa e, a volte, senza senso, per non perdere una sola briciola dell’Amore che si svela. È l’Evento, quasi incomprensibile, di Gesù che ‘inventa’ un paradossale trionfo, secondo i nostri poveri criteri umani, ma che è un’epifania di Chi Lui veramente è. Un trionfo avvolto nella umiltà e recitato da gente semplice, che ha conservato ancora lo spazio per lo stupore e la capacità di riconoscere il divino che è tra noi. Quell’asinello, il più umile e, se vogliamo, ‘ridicolo’ degli animali, è ‘il carro del trionfo’.

Nulla a che fare con i trionfi cui siamo abituati tra noi uomini. Quello di Gesù è vera proclamazione dell’amore, che è semplicità, umiltà meravigliosa, come un ‘ti amo’ detto sospirando. I nostri trionfi sono invece frutto dell’apparenza o, peggio, della superbia, ben lontana dal donare amore. La gente, oggi, è ancora sensibile al fascino di quelle palme, che vengono benedette e date, come un invito ad accodarci ai semplici, che “stendevano i loro mantelli al passaggio di Gesù, acclamando: ‘Benedetto colui che viene nel nome del Signore, pace in cielo e gioia nel più alto dei cieli’? E quel ramoscello d’ulivo, che riceviamo oggi, è per noi il segno della gioia di accogliere Gesù che passa, per donarci quella pace del cuore, di cui abbiamo bisogno, tutti e tutto il mondo? Non ci importano le tante voci di gente incapace di seguire la folla dei festanti. Forse assomigliano ai ‘farisei’, che dissero a Gesù: ‘Maestro, rimprovera i tuoi discepoli’. E Gesù rispose: ‘Vi dico che se questi taceranno, grideranno le pietre’ (Lc. 19, 28-40).

Noi vogliamo, se possibile, entrare nella mente e nel cuore di Gesù che, se da una parte gioiva della fede dei semplici, dall’altra certamente già ‘vedeva’ la folla del sinedrio, davanti a Pilato, che, con urla scomposte e piene di odio, griderà: ‘Crocifiggilo!’. Per loro non sarebbe più stato il Maestro pieno di dolcezza e di umiltà, che si faceva vicino ai semplici, spargendo gioia e pace, ma lì, davanti a Pilato, irriconoscibile per la corona di spine sulla testa, il manto rosso sulle spalle per irriderlo, esposto all’odio dei suoi nemici, come dirà Pilato, sarà: ‘Ecce Homo’. ‘Che male ha fatto?, chiederà Pilato. La risposta sarà sempre la stessa: ‘Crocifiggilo’.

Non è davvero facile che l’uomo di tutti i tempi sappia riconoscere, in Gesù, ‘Colui che viene nel nome del Signore e porta Pace’. Non ci basta sapere che Dio viene tra noi, è vicino, in mezzo a noi, sempre, con la semplicità e l’umiltà di chi non cerca da noi un trionfo, ma vuole solo donarci serenità. Siamo malati di tanto egoismo, che ci impedisce di vedere ciò che vedono i semplici, gli umili: il Cielo. Troppe volte ci facciamo abbagliare dai trionfi del mondo, che chiama gloria e festa i carri di carnevale, che sgomita per salire sul ‘carro del vincitore’, senza neppure rendersi conto di cadere spesso nel ridicolo. Bisogna essere davvero ciechi per non capire ciò che è davvero la gioia del cuore, da Chi viene, per poter ‘entrare’ nella festa della domenica delle Palme.

Sempre l’evangelista Luca, immediatamente dopo l’entrata trionfale in Gerusalemme, racconta un particolare che svela come Gesù sappia leggere nei cuori e, scoprendo di essere rifiutato dall’uomo che Egli tanto ama, provi una profonda amarezza e tristezza. Chi di noi ha avuto il dono di un pellegrinaggio in Terrasanta, credo che abbia bene nel ricordo, nella discesa ripida verso l’Orto degli Ulivi, un angolo che si stacca dalla strada e che è chiamato ‘Dominus flevit’: ‘Il Signore pianse’. È un luogo suggestivo, da cui si può vedere Gerusalemme e, in particolare, la spianata del tempio. È da lì che Luca racconta:
  • Quando fu vicino alla città, Gesù la guardò e si mise a piangere per lei. Diceva: ‘Gerusalemme, se tu sapessi, almeno oggi, quello che occorre alla tua pace! Ma non riesci a vederlo. Ecco, Gerusalemme, per te verrà un tempo nel quale i tuoi nemici ti circonderanno di trincee. Ti assedieranno e premeranno su di te da ogni parte. Distruggeranno te e i tuoi abitanti e sarai rasa al suolo, poiché tu non hai saputo riconoscere il tempo nel quale Dio è venuto a salvarti (Lc. 19, 41-44).
Gesù, sentendosi non accolto dagli uomini, per i quali stava donando l’intera vita, non ha parole di vendetta. Lui è l’Amore del Padre misericordioso, che ha cercato di fare breccia nel nostro cuore. In fondo siamo noi uomini a essere i diretti destinatari di questo incredibile amore, che può davvero ridare senso e valore alla nostra vita, troppe volte chiusa al bene. Visitando quel luogo; il ‘Dominus flevit’, come Gesù, osservando l’atteggiamento del mondo nei Suoi confronti, viene davvero da piangere. Quanto siamo stolti, noi uomini, che voltiamo le spalle a Chi ci ama, per abbandonarci a chi fa di tutto per sradicare da noi ogni seme di bene e di gioia!

Meraviglioso amore di Dio, che non punisce chi gli volta le spalle, ma sa spingere il suo amore fino a versare prima le lacrime e poi il suo sangue, per far breccia nel cuore degli uomini! Ma poteva e può Dio amarci di più? Pare quasi incredibile che Dio ci ami tanto, da versare lacrime nel vedersi non capito, non accolto o respinto! E questo perché Lui sa bene che l’uomo può conoscere la vera pace e gioia, il vero senso della vita, solo se sa accogliere il Suo Amore. Credere di poter trovare felicità altrove, voltandogli le spalle, è andare incontro ad una tragica realtà, che si esprime in quel gemito inenarrabile: “Gerusalemme (e siamo noi!) se tu sapessi, almeno oggi quello che occorre alla tua pace! Ma tu non riesci a vederlo. Ecco, verrà il giorno in cui i tuoi nemici ti circonderanno... e sarai rasa al suolo, perché non hai saputo riconoscere il tempo in cui Dio è venuto a salvarti”.

Abbiamo forse tante volte pensato ad un Dio indifferente alla nostra vita, lontano da noi... non abbiamo tenuto conto che Lui invece ci ama ‘da morire di amore’! E come a ricordarci tanto Amore, che si fa Dolore e Lacrime, oggi la Chiesa ci presenta il racconto della passione di Gesù, secondo Luca. Quanti di noi ‘vivono di Gesù’, come affermava l’apostolo Paolo, fanno della lettura della Passione, il centro della ‘loro passione’. E chi non avrebbe voluto raccogliere quelle lacrime di Gesù, lacrime di amore che hanno un valore davvero immenso, per farle proprie, ed essergli così di conforto? Chi non vorrebbe essere come lavato da quelle lacrime, sicuro di ritrovare la bellezza della vita? Pensando alle lacrime di Gesù, pare di vedere l’oceano di lacrime della nostra umanità. Chi non ha conosciuto le lacrime per essersi visto respinto nell’amore?

Quanti uomini, donne, giovani, che avevano trovato il bello della propria vita nel sentirsi amati e nel poter amare, nel vedersi rifiutati, per seguire altri, hanno davvero versato fiumi di lacrime! Quante mamme, quanti papà hanno pianto di nascosto nel vedere i figli preferire l’inganno del mondo alla loro casa! Quante lacrime, oggi, si versano per le violenze della guerra: popoli in fuga senza domani, incapaci forse di piangere, ma solo perché ‘sono finite le lacrime’! Questa settimana santa è proprio il tempo di meditare a fondo se, per caso, Gesù non pianga per noi, per la nostra rovina o come asciugare le lacrime di chi, per un lutto dei propri cari, per una malattia, vive piangendo.

È l’augurio che vorrei fare a tutti i miei lettori: meditiamo a lungo su quelle lacrime di Gesù, per capire non solo quanto ci voglia bene, ma anche per accorgerci se, forse, piange proprio per noi. E, dopo esserci lasciati ‘lavare’ dalle lacrime di amore di Dio, impariamo a farci vicini a tanti, ma tanti, che piangono e cercano conforto, affetto e comprensione. Ma impariamo anche a dire ‘Grazie al nostro Dio’, che ha un cuore così grande, che non nasconde il dolore, quando non Lo amiamo e sa piangere per ognuno di noi, per me... Qui è il vero Volto del Padre. Qui è la vera Pasqua. Che sia così per ognuno di noi.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » mar apr 02, 2013 8:46 am

      • Riflessione del giorno 28 marzo 2013

        GIOVEDI’ SANTO (Anno C)



        L’Amore che si fa Comunione di Vita
IN MATTINATA, in tutte le cattedrali della Chiesa nel mondo, ogni vescovo raduna, in modo particolare, tutti i sacerdoti della sua diocesi, per quella suggestiva celebrazione definita ‘Messa del Crisma’, ossia la benedizione degli oli sacri: dei catecumeni, degli infermi e del sacro crisma. Momenti, grandi momenti, Cresima, Sacerdozio, Consacrazione episcopale, che sono, non solo la designazione e consacrazione di noi uomini nel nostro cammino vocazionale, ma sono espressioni della Forza dello Spirito. Davvero siamo ‘unti del Signore’. Ed è un momento, questo, che ‘fa vedere’ come davvero la Chiesa è Corpo di Cristo, visibile nella grande Comunione dei sacerdoti con il vescovo: è la Festa dei sacerdoti e di tutti i fedeli, uniti in comunità con il proprio vescovo. Un evento davvero grande e commovente.

A SERA: con grande solennità, come a continuare ‘la Cena del Signore’, ossia il dono dell’Eucarestia, nelle parrocchie viene celebrata la S: Messa definita ‘In Caena Domini’, ossia ‘nella Cena del Signore’. È la solennità della ‘prima Comunione’ della Chiesa, rappresentata dagli Apostoli, con il Corpo e Sangue di Gesù, donato per sempre quella sera. Una Cena che da allora non finisce mai ed è la grande manifestazione di Dio che si fa Dono, Pane di Vita, per noi: ‘Mistero grande della fede’. È qui che si misura quanto conta l’Eucarestia per noi: se poco o se tanto. Ognuno deve chiederselo. Così commentava, il caro Giovanni Paolo II, il suo rapporto con l’Eucarestia, nell’Enciclica ‘Ecclesia et Eucarestia’.
  • Da oltre mezzo secolo, ogni giorno, da quel 2 novembre 1946, in cui celebrai la prima Messa, nella cripta di San Leonardo, della cattedrale del Wawel di Cracovia, i miei occhi si sono raccolti sull’ostia e sul calice in cui il tempo e lo spazio si sono in qualche modo ‘contratti’ e il dramma del Golgota si è ripresentato vivo, rivelando la sua misteriosa ‘contemporaneità’.
    Ogni giorno la mia fede ha potuto riconoscere nel Pane e nel Vino consacrati, il divino Viandante che un giorno si mise al fianco dei due discepoli di Emmaus per aprire loro gli occhi alla luce e il cuore alla speranza’. (Dall’Enciclica sull’Eucarestia)
Oggi, siamo chiamati a vivere questo dono. Ci saremo tutti? Vorrei che fossero nostre le parole di Pietro, davanti alle nostre difficoltà nel credere: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna... Conferma la nostra fede!”.


      • Riflessione del giorno 29 marzo 2013

        VENERDI’ SANTO (Anno C)



        Il trionfo dell’Amore che si fa dono
Da ieri sera, dopo la Santa Messa ‘in Caena Domini’, deposto Gesù in quello che siamo abituati a chiamare ‘sepolcro’, la Chiesa si è raccolta nel silenzio, a cominciare dalle campane ‘mute’, come si volesse rispettare l’amore che si sacrifica totalmente sulla croce per ridare a noi, che davvero con i nostri peccati viviamo ‘come morti’, quella resurrezione che è l’unica vera speranza per tutti. E, in tanti, quel silenzio della Chiesa fa impressione. Noi, abituati quasi a ‘sentire la presenza di Dio nel suono delle campane’, siamo proiettati nel silenzio, che regnò sul Calvario, quando Gesù ‘spirò’. Ci passa davanti all’anima la visione di quel Crocifisso, che è anche l’Amore che noi continuiamo a negare a tanti ‘crocifissi’, con le nostre ingiustizie, violenze, indifferenze. È un’immensa selva quella dei Calvari nel mondo: l’uomo ‘dalla dura cervice’ sembra voglia continuare la storia di Gesù, messo a morte per odio e cattiveria, per indifferenza e ignoranza! E quante volte anche noi, per tante ragioni, ci sentiamo in croce... ed è come sentirsi morti.

Ma Gesù, per non lasciarci orfani, sotto la Sua Croce, ci ha donato la Mamma: ‘Donna, ecco tuo figlio’. Così l’Amore non conosce sosta. Possiamo facilmente comprendere i sentimenti di Maria, la Madre, di Giovanni, il prediletto, e delle donne che stavano sotto la Croce. Non era facile accettare che ‘il più bello tra gli uomini’, la Bontà senza fine, li avesse lasciati soli. Era un vuoto incolmabile. Ma non è un carattere dell’amore conoscere la fine: l’amore valica tempi e difficoltà. E certamente, a sostenere il dolore di Maria, era la fede e la speranza incrollabili che Suo Figlio, il Crocifisso, sarebbe tornato. Lo aveva promesso.

Una tale certezza sappiamo che non vi era stata nei Suoi discepoli. Gli apostoli avevano mostrato tutta la loro debolezza, nel momento della prova, facendosi prendere dalla paura e fuggendo. Una fuga senza speranza. Dove andare senza il Maestro? La massa – e ce n’è tanta, oggi, anche tra di noi – aveva partecipato alla passione e morte come fosse uno spettacolo, se tale può chiamarsi un uomo che soffre e viene ucciso!

Noi con chi siamo, oggi, venerdì santo? Con Maria, Giovanni e le donne a ricordare in Chiesa la passione e baciare il Crocifisso, in attesa della speranza... della resurrezione? O siamo vittime della paura, propria di chi fugge perché non trova più una ragione nella speranza e nel perdono? Ma dove andremo? Oppure, Dio non voglia, siamo tra quelli cui non interessa più che Dio abbia fatto dono del Figlio, per permetterci di uscire dal sepolcro dei nostri peccati e tornare a conoscere la vera vita? Siamo tra quei fratelli e sorelle che stanno giocando la vita sull’egoismo? Tra coloro a cui ‘Dio non interessa più’, inconsapevoli che è proprio questa la strada per crocifiggersi...ma senza speranza? Non si può conoscere la bellezza della vita, se non si conosce l’amore... e Colui che è l’Amore!

Con voi, carissimi, vorrei condividere il silenzio del venerdì santo, accanto a Maria, accogliendo il dono di Gesù: sentiamola nostra Madre! Con voi adorare, ringraziare, baciare quel Crocifisso, che è davvero tutto Amore dato. Mi resta solo di pregare per voi e con voi e così ‘gustare i doni’, che sono nel silenzio della Passione.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » mar apr 02, 2013 8:56 am

      • Omelia del giorno 31 Marzo 2013

        Pasqua di Resurrezione (Anno C)



        Cristo è Risorto, Alleluia!
Credo sia un prezioso atto di amicizia iniziare questa mia riflessione con un augurio di Santa Pasqua. È davvero ‘il giorno che ha fatto il Signore, alleluia!’ e, per noi che, insieme, guidati dallo Spirito, abbiamo cercato di vivere la Quaresima per essere degni di partecipare al dono della Resurrezione, il dramma, che ha caratterizzato il Venerdì santo e il silenzio che ha pervaso il Sabato santo, vi è la certezza che Dio ha dimenticato il passato, iniziato bene con la nostra creazione, ma interrotto drammaticamente dal peccato dei nostri progenitori e nostro. Un peccato che è stato ed è, sempre, il rifiuto del dono dell’Amore del Padre, per affidarsi all’egoismo, alla superbia, la terribile tentazione di satana, che proprio non vuole la nostra felicità.

Il silenzio dell’attesa è stato come un ‘ricominciare da capo’ la storia incredibile del Padre che ci perdona tutto e vuole spalancarci le sue braccia per il nostro ritorno a casa... da ‘risorti con Cristo!’. La Chiesa celebra questa ‘nuova creazione’ con la veglia pasquale, che si celebra in tutte le parrocchie. Una veglia che inizia con l’accendere il cero pasquale: ‘la Luce che riappare’, il Cristo. Il Vivente; riporta alla memoria, con la Parola di Dio, la storia dell’uomo che, come il figlio prodigo ha lasciato la casa paterna; la storia del Padre che nei secoli non smette di cercarci; la storia di un amore che alla fine rompe gli indugi e fa dono della vita del Figlio, Gesù, che si fa carico di tutte le nostre colpe, che ci separano da Dio, e le cancella con un atto di amore che è donazione totale, impensabile per noi uomini, sacrificandosi sulla croce.

E la Chiesa, nella notte in cui torna la Luce, suona a festa le campane, esprime la pienezza di Vita ritrovata, cantando l’inno pasquale di sant’Agostino. Chissà quante volte l’abbiamo sentito e ogni volta rinasce la Gioia, dono del Cielo, che torna ad aprirsi e sorridere.
  • Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte, risorge vittorioso dal sepolcro.
    Nessun vantaggio per noi essere nati, se Lui non ci avesse redenti.
    O immensità del Tuo amore per noi!
    O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio.
    Felice colpa, che meritò di avere un così grande Redentore!
    O notte beata, tu sola hai meritato di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli inferi.
    Di questa notte è stato scritto: la notte splenderà come il giorno e sarà fonte di Luce per la mia delizia.
    Il santo Mistero di questa notte sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti.
    Dissipa l’odio, piega la durezza dei potenti, promuove la concordia e la pace.
    O notte veramente gloriosa, che ricongiunge la terra al Cielo e l’uomo al suo Creatore!
    (Inno di sant’Agostino)
La Chiesa benedice l’acqua, che poi verrà usata per i battesimi e per la benedizione delle nostre case, come a raffigurare la beata notte, in cui tutto il creato e l’uomo vengono chiamati a vita nuova con Gesù Risorto. In tante chiese, durante la veglia, per ricordarci che tutti siamo ‘stati fatti partecipi della rinascita’ con il santo Battesimo, la Chiesa celebra i battesimi. La Chiesa ci ricorda che, in quella notte, - questa notte - con la Resurrezione, è iniziata l’era di ‘un mondo nuovo’. È una notte di immensa gioia, che apre il cuore di noi tutti, troppe volte come oscurato dalla notte del mondo, che si diverte a crocifiggere ogni seme di speranza.

Ci lascia nel cuore la Gioia vera e duratura che conobbero Maria, la Mamma di Gesù, Maria di Magdala, gli apostoli, che esultarono nel vedere Gesù Risorto. Chi non ricorda lo smarrimento del Venerdì santo, così ben narrato dall’evangelista Luca?
  • Era verso mezzogiorno, quando il sole si oscurò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito’. E detto questo spirò. Visto ciò che era accaduto, il centurione glorificava Dio: ‘Veramente quest’uomo era giusto’. Anche le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto.
Quel momento di immenso e totale amore era stato condiviso, fino in fondo, solo dalla Mamma, da Giovanni il prediletto e da alcune donne. Gli apostoli, presi da paura, erano fuggiti, temendo di essere coinvolti nell’odio dei farisei. Ma fanno pensare, e molto, ‘quelle folle accorse allo spettacolo, che tornavano battendosi il petto’. Ci fanno pensare a tanti che oggi, come ieri, come sempre, parlano di ‘eclissi di Dio’, tranne poi accorgersi che senza Dio ‘si fa buio su tutta la terra’ e, ancora di più, nella speranza e nel cuore!

Ma c’era stato chi aveva provato un angosciante dolore nel vedere l’Amore crocifisso: una Croce necessaria per liberarci dalla croce. Penso alla Madonna del Sabato santo, alla Maddalena e ai tanti che amavano veramente il Maestro. Gesù era la loro sola ragione di vita. Certamente non si erano rassegnati a pensarlo sepolto, come non esistesse più. Tutto si può seppellire, ma non l’amore, che genera sempre speranza. E così il Sabato era diventato il tempo dell’Attesa, come è il ‘sabato’ di quanti, raggiunti dalla Grazia del Perdono, attendono che l’Amore mostri il volto di una storia nuova. Si scrive tanto, oggi, del bisogno di molti di tornare alla fede smarrita, e quindi alla speranza. Ed è vero. Se si è sinceri, tornano sulle labbra le parole di sant’Agostino: “Nessun vantaggio per noi essere nati, se Lui non ci avesse redenti!”. Per noi diventa icona della Pasqua il racconto che Giovanni l’Evangelista fa dell’incontro di Maria Maddalena con il Risorto:
  • Maria era andata a piangere vicino alla tomba. A un tratto, chinandosi verso il sepolcro, vide due angeli vestiti di bianco. Stavano seduti dove prima c’era il corpo di Gesù, una dalla parte della testa e uno dalla parte dei piedi. Gli angeli le dissero:’Donna, perché piangi?’. Maria rispose: ‘Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno messo’. Mentre parlava si voltò e vide Gesù in piedi, ma non sapeva che era Lui. Gesù le disse: ‘Perché piangi? Chi cerchi?’. Maria pensò che fosse il giardiniere e gli disse. ‘Signore, se tu l’hai portato via, dimmi dove l’hai messo e io andrò a prenderlo’. Gesù le disse: ‘Maria!’. Lei subito si voltò e gli disse. ‘Rabbunì! Che in ebraico vuol dire. Maestro!’. Gesù le disse. ‘Lasciami, perché io non sono ancora tornato al Padre. Va’ e dì ai miei fratelli che io torno al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro’. Allora Maria andò dai discepoli e disse: ‘Ho visto il Signore!’ (Gv. 20, 11-18)
Quel semplice chiamarsi o, se preferiamo, ‘ritrovarsi’ di Gesù e Maria, contiene tutta la Gioia della Resurrezione. L’Amore non ha bisogno di tante parole! Basta ‘chiamarsi’ per trasmettere l’intensità indescrivibile della Gioia, come quando ci si incontra dopo una lunga lontananza, con l’intenso desiderio di vedersi: basta uno sguardo. Qui due parole: ‘Maria!’ ‘Maestro!’. Chi di noi non vorrebbe ‘ritrovare la gioia della vita’ nell’Incontro?

La conoscono questa gioia, quanti, dopo una vita in cui ‘Gesù era come morto, sepolto’, nella conversione, Lo ritrovano, come accade ogni volta nel perdono della Riconciliazione. Noi cerchiamo Colui che ci cerca, Lo ritroviamo e...ci sentiamo chiamati per nome! Vorrei augurarla e, più ancora, pregarla per tutti la Gioia di Maria. Una Gioia che la Chiesa così racconta, nella ‘sequenza’ della Santa Messa di Pasqua:
  • Raccontaci, Maria, che hai visto per la via?
    La tomba del Cristo Vivente, la gloria del Cristo Risorto,
    gli angeli suoi testimoni, il sudario e le vesti.
    Cristo, mia speranza, è Risorto e vi precede in Galilea.
L’esplosione di Gioia celeste, uscita dal cuore di Maria, nel trovarsi di fronte a Gesù Risorto, Vivo, da allora ha attraversato tempi ed anime. Sono venti secoli che quell’annuncio si ripete, come un ‘oggi senza tramonto’. Ha raggiunto tantissimi nella storia: meglio, è la stessa storia della Chiesa.
E anche oggi possiamo risentirlo... sempre se, come Maria, siamo animati dal desiderio di trovarLo... perchè senza di Lui, senza Resurrezione, direbbe sant’Agostino: ‘a nulla varrebbe vivere!’. Ma occorre vivere seguendo le parole che san Paolo scrive ai cristiani di Colossi:
  • Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio: pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con Lui nella gloria. (Col. 3, 1-4)
L’augurio è che il nostro tempo conosca la bellezza del Cristo Risorto, esca dalla notte che fa paura e voi, che con me camminate, come Maria verso il sepolcro, possiate essere ‘testimoni di Gesù Risorto’ e, quindi ‘con Lui e per Lui, speranza del mondo’.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun apr 08, 2013 8:17 am

      • Omelia del giorno 7 Aprile 2013

        II Domenica di Pasqua (Anno C)



        Abbiamo visto il Signore
Quello che colpisce tutti, credo, è il pessimismo dilagante, che si nota nelle parole e sul volto di troppi, anche tra noi cristiani, come se Cristo, nostra Gioia e Speranza, non fosse mai risorto, ma fosse rimasto sempre là, immobile e senza vita, nel sepolcro. E vicino al pessimismo si respira tanta paura, di cui non si sa nemmeno spiegare le ragioni. Una paura che mette addosso tanta, ma tanta, insicurezza in quanto facciamo e viviamo. Pare che tutte le speranze che, nel tempo, ci eravamo costruite, lentamente si sciolgano come neve al sole. Ed abbiamo ragione, perché di nulla possiamo essere certi qui sulla terra.

Successe lo stesso agli apostoli, dopo la crocifissione del Maestro, che era la sola loro speranza. Scelti, lo avevano seguito senza opporre resistenza e senza neppure sapere, all’inizio, a cosa erano destinati: essere apostoli, ossia quelli che dopo la Pasqua, avrebbero avuto il meraviglioso ed impegnativo compito di dare al mondo la vera speranza, che è Cristo Risorto, vera Luce del mondo. E la daranno, con la passione che sa infondere lo Spirito Santo a quelli che Lo accolgono e Lo seguono. Ma, subito dopo la crocifissione, gli apostoli, ancora ‘poveri uomini’, anche se fedeli al Maestro, erano stati presi dalla paura e si erano nascosti, delusi, anche se, forse, con nel cuore un’ansia, ‘un sentire che non poteva finire tutto così’. Gesù non era e non è uno che ti lascia per strada, abbandonandoti al tuo destino. Se ti chiama e tu lo segui, Lui non ti lascia mai. In chi davvero Lo segue, a volte pare che scompaia, dandoti l’impressione di avere riposto il tuo amore nel ‘nulla’.

Ma se c’è una meraviglia, che è dono di Dio stesso ed è la sua stessa natura, è proprio l’amore. E l’amore negli apostoli era davvero grande. Gesù lo aveva coltivato per tre anni, sapendo di deporlo in cuori generosi. Come capita a tutti quelli, come noi, che seguono Gesù: a volte rimaniamo come sorpresi dalla Sua apparente assenza nelle nostre difficoltà, che sono il buio della vita. Ed è tanto, oggi, il ‘buio’, ma…“è più utile in questi casi, accendere un cerino, che maledire il buio”. A farci entrare nel mondo della speranza, che sa superare i momenti di buio, ci viene incontro il Vangelo di oggi:
  • La sera dello stesso giorno – racconta l’evangelista Giovanni – il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: ‘Pace a voi!’. Detto questo mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: ‘Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi’. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: ‘Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi’. Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri apostoli: ‘Abbiamo visto il Signore!’. Ma egli disse loro: ‘Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò’. Otto giorni dopo (come oggi), i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: ‘Pace a voi!’. Poi disse a Tommaso: ‘Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani: stendi la tua mano e mettila nel mio costato, e non essere più incredulo, ma credente! Rispose Tommaso: ‘Mio Signore e mio Dio!’. Gesù rispose: ‘Perché mi hai visto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto, crederanno. (Gv. 20, 19-31)
Possiamo facilmente immaginare lo stupore di vedersi di fronte Colui che amavano tanto e di cui avevano accolto l’invito a seguirLo, quando erano stati scelti e chiamati...senza nemmeno sapere ancora Chi fosse veramente e, soprattutto, ‘dove’ li avrebbe portati, cosa avrebbe riservato per loro e a che cosa li avrebbe destinati! VederseLo lì davanti, Glorioso, Lui, che credevano sepolto per sempre, come tocca a noi uomini, certamente deve averli sconvolti: “Pace a voi!”. Quell’irrompere improvvisamente nella loro vita, Risorto, ha ‘cambiato’ la loro esistenza! Niente era più come prima! Gesù li portava in ‘un altro mondo’, dove la morte non ha più posto: c’è posto solo per la Gioia, la Vita. Viene da chiederci se anche per noi la Pasqua, cioè l’inaspettato e atteso Dio che riappare nella nostra vita per dirci: ”Pace a voi!”, è sorpresa e gioia.
  • Non pochi cristiani – affermava Paolo VI – hanno della religione concetti imprecisi: forse pensano della fede ciò che decisamente non è, ossia offesa al pensiero, catena al progresso, umiliazione dell’uomo, tristezza della vita. Della luce pasquale noi vogliamo cogliere un raggio per tutti (come fu per gli Apostoli): per tutti quelli che lo vogliono ricevere, come dono, come segno almeno della nostra dilezione. Cristo risorto è il raggio primo della Pasqua, cioè della vita risorta in Cristo e in noi che vogliano essere cristiani. Ed è la Gioia. Il cristianesimo è gioia. La fede è gioia. La Grazia è gioia. Ricordate questo, o uomini, o amici, Cristo è la vera Gioia del mondo. La vita cristiana, sì, è austera, conosce la rinuncia e il dolore, fa proprio il sacrificio, accetta la croce, e quando occorre affronta la sofferenza. Ma nella sua espressione è sempre ‘beatitudine’: Gioia. (28 marzo 1964)
Ma... c’è sempre un ‘ma’, che oscura la nostra fede che cerca, quando le cerca, certezze che non appartengono a Dio, ma al nostro modo di cercare qui. Occorre cercare secondo lo stile di Dio che si presenta, attraversando le ‘pareti’ della nostra debolezza, e si manifesta dicendoci: ‘Pace a voi!’. È quella esperienza di fede che accompagna la vita dei santi, di coloro che davvero ‘sono’ cristiani, più che ‘dirsi’ cristiani. Dio conosce la nostra innata debolezza a riconoscerLo... come fu per Tommaso, che voleva ‘segni chiari’: “Se non metto il dito nelle sue mani, la mano nel suo costato, non credo!”. Appartiene proprio alla nostra natura umana questa debolezza e Dio la conosce bene. E allora Lui fa il primo passo verso di noi. Sempre che in noi, come negli Apostoli, ci sia almeno una ricerca, una voglia di seguirLo, un vago desiderio di vederLo e quindi di stare con Lui.

Certamente non è cosa da poco saper accogliere Cristo, che cerca in tutti i modi di ‘apparire a noi’. A volte, Lo fa, straordinariamente, con coloro, tanti, che, come Tommaso, sono convinti di non riuscire a ritrovare la Sua strada: Lo credono ‘sepolto’! Ma Lui li sorprende...viene, toglie la pericolosa ‘nube’ che lo nascondeva, come non ci fosse, Lo ‘vedono’... Lui c’è! Ne conosco tanti. Ma è altrettanto miracoloso e vero quello che Gesù afferma, contraddicendo la posizione di Tommaso: ‘Se non vedo, non credo!’. “Tommaso tu hai creduto perché hai visto: beati quelli che pur non avendo visto, crederanno!”. E tutti questi ‘beati’ sanno molto bene che nella Resurrezione di Gesù non c’è solo una conferma della loro fede, ma vi è qualcosa di infinitamente più grande: l’aver ritrovato ‘la vera Via, Verità e Vita’. Quella Via che non porta ad una negazione del domani, che è la nostra resurrezione con Cristo, ma dà senso di futuro anche al presente!

Vivere è così avere un piede su questa esperienza terrena ed un piede nell’eternità. E vivere con gli occhi fissi al Paradiso, credetemi, è il motivo della Gioia che è in tanti, che sono con noi e tra di noi. È quello che prego per tutti voi, miei amici, sempre.



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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » lun apr 15, 2013 9:48 am

      • Omelia del giorno 14 Aprile 2013

        III Domenica di Pasqua (Anno C)



        Mi ami tu?
Ci sono delle domande che misteriosamente il Cielo ci pone. Forse ci colgono all’improvviso e svelano la verità dei nostri rapporti con Dio o, se vogliamo, i nostri rapporti con il vero senso della vita. Domande che, a volte, suscitano imbarazzo, soprattutto quando vanno diritte alla coscienza, che non può mettere un velo alla verità. Meditiamo con accuratezza il Vangelo di Giovanni, facendoci aiutare dallo Spirito Santo, perché da soli non ce la facciamo. Lasciamoci prendere la mente e il cuore dalle domande di Gesù, rivolte a Pietro, ma, oggi, a ciascuno di noi.

Racconta Giovanni che i discepoli, dopo la grande paura, avevano lasciato Gerusalemme ed erano tornati all’antico loro lavoro: la pesca, forse per riprendere un filo della vita, che offre speranza, sentendosi vittime della rassegnazione. Avevano abbandonato tutto per stare vicino a Gesù, ma, dopo la crocifissione, si erano ritrovati come orfani nella vita. Eppure Gesù, giorni prima, era apparso a loro nel cenacolo, aveva offerto la Pace, non solo, ma aveva lasciato una missione: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi.” e aveva alitato su di loro e detto: “Ricevete lo Spirito Santo…” (Gv. 20, 19) Ma è sempre duro il cammino della fede....per tutti! Così, nonostante quella apparizione, che si era ripetuta una settimana dopo, per fugare i dubbi di Tommaso, nei discepoli era rimasta un’ombra. Da qui il ritorno al vecchio mestiere di pescatori sul mare di Tiberiade. Ed ecco il Vangelo di oggi.
  • Quando era già l’alba, Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: ‘Figlioli, non avete nulla da mangiare?’. Gli risposero: ‘No’. Allora disse loro: ‘Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete’. La gettarono e non potevano tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: ‘E’ il Signore!’. Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi la sopravveste, perché era spogliato e si gettò in mare. Lo seguirono gli altri, tirando a terra la rete con i pesci. Gesù disse loro: ‘Venite a mangiare’. E nessuno dei discepoli osava domandarGli: ‘Chi sei?’, poiché sapevano che era il Signore. (Gv. 21, 1-19)
È davvero l’incontro della debolezza umana nella fede, come forse è la nostra: una debolezza che Gesù comprende e... apprezza! Gesù, infatti, ama i ‘deboli’, i ‘poveri’, quelli cioè che non chiudono le porte alla verità di Dio, per fare spazio ad una loro presunta certezza di sapere tutto e...sanno nulla! Ed è davvero meraviglioso come Gesù si rivolga spesso ai ‘semplici di cuore’, perché sa che ascoltano. Lo vediamo nella storia dei santi e di tanti uomini, donne e giovani, che si pongono davanti alla fede con l’arrendevolezza del bambino, che ama affidarsi e non teme di rivolgere le domande più impegnative. Gesù sapeva molto bene quanto i suoi lo avessero amato e Lo amavano e quanto fossero amareggiati, come quando si perde il punto di riferimento nella vita, specie se è una persona che si è amato tanto. Ci doveva essere tanta nostalgia di Gesù nei Suoi.

Ma, come per sfuggire alla tentazione di considerare ‘chiuso’ un capitolo della vita, che aveva spalancato le porte della speranza... li troviamo a pescare sul lago di Tiberiade! Quel lago era stato ‘il luogo di vita con Gesù’: l’aveva scelto per la sua missione tra di noi. Era attorno a quel lago di Galilea, che Gesù aveva dato prova del suo grande amore, non solo annunciando il Vangelo, ma avendo sempre ‘compassione delle folle, pecore senza pastore’. Quel ‘luogo’ è un ‘richiamo interiore’ per gli Apostoli. E Gesù non li delude! Sceglie il lago di Tiberiade come ‘incontro dopo la resurrezione’, per continuare la missione che è giunta fino ai nostri giorni. Si presenta come ‘viandante’, seduto, stanco ed in cerca di cibo. Vede i Suoi che tornano a riva con le loro barche, dopo una pesca andata totalmente a vuoto.

È proprio lo stile di Dio mostrarci, anche nei fatti semplici della nostra vita quotidiana, che, quando si è soli nelle scelte o nell’operare, si prova sempre la sensazione di chi torna ‘a mani vuote’. È la confessione della nostra debolezza, che tanti forse non sanno vivere, affidandosi a ‘risultati umani’, che possono soddisfare, ma il più delle volte lasciano l’amaro in bocca, come se...i nostri ‘impegni’ alla fine risultassero ‘barche che tornano vuote, nonostante la fatica’. Gesù si presenta come uno che ha fame e dice: “Non avete nulla da darmi da mangiare?”. E quando tornano dalla pesca miracolosa li invita: “Venite a mangiare”. “E nessuno, racconta Giovanni, osava domandargli chi fosse... poiché sapevano bene che era il Signore!”. Qui inizia un dialogo con Pietro, che lascia stupiti, come si respirasse aria veramente di resurrezione: uno di quei dialoghi tra Dio e l’uomo, che forse vorremmo avvenisse anche tra Lui e noi, se davvero abbiamo la fede di Pietro.
  • Quand’ebbero finito di mangiare, Gesù disse a Simon Pietro: ‘Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?’. Gli rispose ‘Certo, Signore, tu lo sai che io ti amo”. Gli disse: ‘Pasci i miei agnelli’. Gli disse di nuovo: ‘Simone di Giovanni, mi ami?’. Gli rispose: ‘Certo, Signore, tu sai che io ti amo’. Gli disse: ‘Pasci le mie pecorelle’. Gli disse per la terza volta: ‘Simone di Giovanni, mi ami?’. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: ‘Mi ami’ e gli disse: ‘Signore, tu sai tutto, tu sai che io ti amo’. Gli rispose Gesù: ‘Pasci le mie pecorelle. In verità in verità ti dico, quando eri giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà le vesti e ti porterà dove tu non vuoi’. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: ‘Seguimi’. (Gv. 21, 1-19)
Si rimane senza parole, meditando questa inaspettata irruzione di Gesù nel cuore di Pietro. Sappiamo, leggendo il Vangelo, come Pietro avesse, fin dal primo momento della chiamata, mostrato tutta la sua generosità nel donarsi totalmente a Gesù, al punto che, quando i discepoli che seguivano il Maestro, davanti al discorso dell’Eucarestia: ‘Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue avrà la vita eterna’ se ne erano andati e non erano più tornati, Gesù, vedendo che il suo amore totale non era stato capito ed accolto, si era rivolto agli Apostoli, che ‘stavano con Lui fin dall’inizio’, e, proprio da Simon Pietro, che pure forse non capiva il Dono, aveva avuto la risposta sicura: ‘Signore da chi andremo?’. Ma è anche lo stesso Pietro che, pur avendo giurato di difendere il Maestro a costo della vita, nel momento del processo si era poi di fatto dato alla fuga. Una strana fuga, non voluta dall’amore, ma causata dalla paura, al punto di negare l’evidenza...fino al canto del gallo! In quel momento aveva ricordato le parole di Gesù: ‘Quando il gallo canterà, tu mi avrai rinnegato tre volte’. E il Vangelo riportando quel momento drammatico della vita di Pietro afferma: ‘Pianse amaramente’.

L’amore di Pietro era sempre stato sincero e profondo, nonostante le debolezze che venivano a galla nelle difficoltà. Pietro è il vero testimone della fragilità che ci portiamo addosso, tutti. Da qui la domanda di Gesù: ‘Mi ami?’. Una domanda che, di fronte alle difficoltà o alle nostre debolezze, a volte, mette in imbarazzo anche noi nel rispondere: ‘Signore, tu sai che ti amo’. Ma è davvero grande l’Amore di Dio, pronto a tendere la sua mano per farci continuare il cammino della fede, spesso fragile. Incredibile. E se questa domanda ce la facesse ora? Cosa risponderebbe ciascuno di noi?

Ma la domanda rivolta a Pietro, non è solo per una conferma di amore, ma per potergli affidare una missione: ‘Pasci le mie pecorelle’, ossia il mandato di guidare la Sua Chiesa, la missione del nostro Sommo Pontefice. E verrà il momento in cui Pietro risponderà con totale generosità, dopo la Pentecoste, senza più tentennamenti, confermando con la vita le parole pronunciate: ‘Signore, tu sai che ti voglio bene’. Raccontano gli Atti degli Apostoli: il sommo sacerdote aveva proibito agli apostoli di parlare di Gesù, ma..
  • Pietro rispose: ‘Bisogna obbedire prima a Dio, piuttosto che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso, appendendolo alla croce. … E di quei fatti, siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a Lui’. Allora li fecero fustigare. Ma essi se ne andarono dal sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per amore del Nome di Gesù. (At. 5, 29)
Con Gesù Risorto ogni paura è scomparsa... ogni paura scompare! Anche oggi Gesù continua ad interpellarci: ‘Mi ami tu?’. Cosa Gli rispondiamo?



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven apr 19, 2013 8:26 am

      • Omelia del giorno 21 Aprile 2013

        IV Domenica di Pasqua (Anno C)



        Io sono il Buon Pastore
Avevo solo dodici anni quando, a settembre, nella festa dell’Addolorata, papà e mamma mi accompagnarono nel piccolo seminario dei Padri Rosminiani a Pusiano. Era il primo impatto con la vocazione. Credo che questa ebbe le sue radici nella grande fede e religione vissuta all’interno della mia famiglia. A farsi voce di Dio che si chinava su di me, per indicarmi la Sua volontà, fu il mio vescovo, il Card. Schuster. Il giorno della Cresima, da orgoglioso chierichetto, non mi sembrava vero, poter servire il mio vescovo, che stimavo e amavo tanto, come si fa da ragazzi quando si è colpiti dalla grandezza umana e spirituale di un sacerdote o vescovo. Tutto questo, credo, lo capì il Cardinale, che alla fine mi chiese: ‘Non ti piacerebbe essere sacerdote?’. Sul momento, colto di sorpresa, gli risposi un ‘sì’, ma che aveva tutta l’aria di compiacere un vescovo che amavo. Incontrandolo tre anni dopo, per la consacrazione della nuova chiesa parrocchiale, riconoscendomi, alla fine, mi disse: ‘Allora, Antonio, è sì o no?’. ‘Non so’. ‘Rifletti e prega’. Ma da quel ripetuto e convinto invito, nacque l’inquietudine. Mi chiedevo: ‘Se è vero che Dio mi vuole per Sé, come dirGli di no? Ma come faccio ad essere certo?’. E per due anni i miei pensieri ebbero il loro centro in questa domanda, che attendeva una risposta. Mi furono di aiuto mamma e il parroco. Alla fine mi lasciai prendere per mano da Dio e iniziò il lungo cammino. Era l’anno 1935. Furono duri, come erano un tempo, gli anni della preparazione al sacerdozio e per di più in una Congregazione, quella di Rosmini, che giustamente non lasciava spazio a se stessi, ma tutto doveva essere di Cristo.

Ricordo il giorno dell’ordinazione sacerdotale a Novara. Eravamo nella Cattedrale, quel 29 giugno 1951, se non erro, 45 ordinandi. Tantissimi, confrontati con i pochissimi di oggi. Ricordo le lacrime di papà che, invitato a legarmi le mani, dopo l’unzione fatta dal Vescovo, per la commozione grande non gli riuscì di compiere quel gesto e toccò a mio fratello sostituirlo. E sentivo vicino la gioia di mamma che, in quel momento, ‘toccava con un dito il Cielo’, che si era degnato di piegarsi su di me. Difficile immaginare ciò che si prova, se non si è avuto il dono di Dio di avere un figlio scelto da Lui! E io che mi ripetevo: ‘Ora non sono più io... sono Gesù per e tra la gente’. E mi rendevo conto, per Sua Grazia, già allora, che, se ‘ero Cristo’, dovevo esserlo non solo nell’amministrazione dei Sacramenti, ma in tutto, come Gesù tra la gente. Il Maestro mi fece il dono di comprendere che per ‘essere Lui tra la gente’, quindi pastore credibile e buono, occorreva prima di tutto che io divenissi buono, santo, gettando alle ortiche ogni forma che appartenesse al mondo più che a Cristo. La gente ieri, oggi, sempre, esige di vedere nel sacerdote l’Amore di Dio vissuto e donato...non solo sull’altare, ma sempre e dovunque!
  • Il dono totale della propria vita – affermava Paolo VI – apre davanti al sacerdote generoso, una nuova meraviglia, il panorama dell’umanità. Forse egli, ad un dato momento, dubita di non poter mai avere contatti diretti ed operanti con la società contemporanea o con i singoli... Levate il vostro sguardo, noi vi diremo con le Parole di Cristo, e mirate i campi che già biondeggiano per la messe. Oseremo indicare con accento profetico il panorama apostolico che ci sta davanti. Il mondo ha bisogno di voi! Il mondo vi attende anche nel grido ostile che esso lancia talora contro di voi. Il mondo denuncia una sua fame di verità, di giustizia, di rinnovamento che solo il nostro ministero saprà soddisfare. Sappiate accogliere come un invito il rimprovero stesso che forse, e spesso irragionevolmente, il mondo lancia contro il messaggio del Vangelo! Sappiate ascoltare il gemito del povero, la voce candida del bambino, il grido pensoso della gioventù, il lamento del lavoratore affaticato, il sospiro del sofferente, e la critica del pensatore. Non abbiate mai paura! ha ripetuto il Signore. Il Signore è con voi. E la Chiesa, madre e maestra, vi assiste e ama, e attende, attraverso la vostra fedeltà e la vostra attività, che Cristo continui la sua edificatrice opera di salvezza. (Paolo VI ai sacerdoti 29/06/1977)
A confermarmi ciò che Dio aveva progettato per me, come per tutti, ci pensò l’obbedienza. Così mi trovai ad ‘essere pastore di anime’ in una zona difficile, in Sicilia. Un’esperienza inattesa, di quelle che fanno tremare i polsi... ma sentivo che lì non ero io ad operare, ma Lui! Lui l’aveva scelta per me. Lui, il Cristo, da cui mi facevo condurre come un bambino, che, pur avendo tanti sogni, sembrava dovesse lasciarli per un ‘deserto di sogni’! Ma non fu così. Con la pazienza del servo inutile, lentamente, con i miei confratelli, riuscimmo a rivedere l’opera di Dio, formidabile, tanto che il vescovo, dopo soli dieci anni, una sera, visitando la parrocchia, ebbe a dirci: ‘Questa comunità era una spina nel cuore ed ora è un giardino di grazie per la diocesi’. Ma non aveva, per così dire, finito di rallegrarsi e subito Dio ci mise alla prova con il terremoto, che distrusse tutto... tranne la voglia accresciuta di ‘essere voce di chi non aveva voce’.

Ma la sorpresa più grande, quella di essere veramente ‘servo’, venne un pomeriggio. Il vescovo mi chiamò per comunicarmi la volontà del grande Paolo VI: voleva fossi consacrato vescovo. Fu grande la mia confusione, conoscendo la mia povertà. Vescovo in un’altra realtà difficile, ma, davanti a Dio che sceglie, certamente non badando alle nostre debolezze, e sapendo che è Lui che opera e si serve di noi, abbracciai la Sua volontà. Non fu facile creare una comunità che mancava di vescovo residenziale da ben 12 anni! Eppure, dopo solo 20 anni, Acerra divenne un ‘esempio’ alla Chiesa italiana, tanto che il Santo Padre, in meno di due anni, scelse due bravi sacerdoti della Diocesi per consacrarli vescovi della Chiesa: Mons. Gennaro Pascarella e Mons. Giannino D’Alise. Ora mi resta solo di dire che è bello, infinitamente bello, ammirare come Dio sa operare, se ci si abbandona nelle sue mani. Se Lui chiama, se gli si dice di sì, in totalità, Lui e solo Lui opera cose che, la mente dell’uomo forse sogna, ma senza riuscire, da solo, a trovare le ali per volare. Mi ha sempre inseguito quello che il Salmista dice a Dio:
  • Signore, il mio cuore non ha pretese,
    non è superbo il mio sguardo,
    non desidero cose grandi, superiori alle mie forze.
    Io sono tranquillo e sereno,
    come un bimbo in braccio a sua madre.
    È quieto il mio cuore dentro di me. (Salmo 131)
Mi sono permesso, di darvi una testimonianza di grande gioia per essere sempre stato ‘mandato’. Lo faccio oggi perché è la domenica del ‘Buon Pastore’.
  • In quel tempo disse Gesù: ‘Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio: io e il Padre mio siamo una cosa sola” (Gv. 10, 27-30)
Ho voluto offrire a voi questa testimonianza perché partecipiate alla festa dei ‘pastori’, che in tante parti oggi si celebra. Sappiamo tutti della grande crisi delle vocazioni e Gesù ci invita a pregare: “Guardando la gente che Lo ascoltava, Gesù si commosse e disse: Sono pecore senza pastore. Pregate il padrone della messe perchè mandi operai nella sua messe”. Affermava il grande Papa Giovanni Paolo II:
  • Dato che l’impegno dei ministri ordinati e dei consacrati è determinante, non si può tacere la carenza inquietante di seminaristi e di aspiranti alla vita religiosa… Solo quando ai giovani viene presentata la persona di Gesù Cristo in tutta la sua pienezza, si accende in loro la speranza che li spinge a lasciare tutto per seguirLo, rispondendo alla sua chiamata e per darne testimonianza ai loro coetanei”. (Enciclica Ecclesia in Europa)
Suggerirei che in tutte le famiglie, vera scuola di vocazione, si amassero i sacerdoti e la bellezza della loro chiamata, come era nella mia famiglia. È un dono! È bello!



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven apr 26, 2013 10:33 am

      • Omelia del giorno 28 Aprile 2013

        V Domenica di Pasqua (Anno C)



        Amarci come Gesù ci ama
C’è un momento prezioso della vita di tutti; quello in cui consegniamo ai figli, ai parenti o agli amici, le ultime nostre volontà, ossia il testamento. In effetti consegniamo ‘la continuità di come abbiamo vissuto e di quello che abbiamo messo insieme’. Peccato che tante volte per testamento si intende la consegna degli interessi materiali, spesso poi motivo di profonde divisioni, mandando così in frantumi la fatica, l’amore con cui si sono lasciati i beni. C’è chi, per esempio, decide di lasciare tutto per testamento a opere di carità, a fondazioni. E quei testamenti, davvero benedetti, a favore della carità sono ‘il prezioso testamento’ che sarà la nostra difesa agli occhi di Dio.

Quante opere buone ci sono nel mondo, frutto di testamenti che, per la carità che svolgono, sono continua benedizione per chi ha donato: ora e sempre. Posso testimoniare la generosità di una persona che ha voluto che i suoi beni passassero nelle mie mani e, con questi, fra le altre realtà (e sono tante) ho edificato una chiesa parrocchiale. E quante necessità missionarie ho potuto portare a termine. I nomi di questi benefattori sono scritti nel libro della vita eterna e ‘quaggiù’ sono continua lode al Padre. Il Vangelo di oggi narra del testamento che Gesù lasciò ai Suoi discepoli, prima di andare verso l’orto del Getsemani, in quell’Ultima Cena, che è davvero la ‘divina carta della carità di Dio verso di noi e la carità nostra verso tutti’. Così racconta l’apostolo Giovanni:
  • Quando Giuda fu uscito dal Cenacolo, Gesù disse: ‘Ora il Figlio dell’Uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in Lui. Se Dio è stato glorificato in Lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora un poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri. (Gv. 15, 31-35)
Meraviglioso testamento! E non poteva che essere così, essendo stato Gesù, Figlio di Dio, il grande Dono di Amore e la testimonianza dell’Amore tra noi e per noi. Se noi, che siamo discepoli del Signore e quindi Suoi amici, dovessimo fare di questo testamento la regola della nostra vita, tutti dovrebbero riconoscerci proprio perché il nostro ‘dirci’ cristiani non sarebbe parola vuota, ma testimonianza di amore e di vita. Affermava il grande Paolo VI, che sapeva veramente leggere il cuore degli uomini e della Chiesa, in tempi difficili, come oggi:
  • Chi è senza fede, è senza luce. Chi è senza religione, è senza speranza. Invece la fede e la speranza assicurano che la vita nostra continua aldilà del terribile episodio che si chiama morte. E ancora chi è senza contatto con Dio, è privo di amore. Dio è amore. Se non siamo uniti a Lui ci viene meno il sentimento più nobile. Non abbiamo più ragione di chiamare gli uomini nostri fratelli, nessun motivo di sacrificarci per loro, né ragione di vedere in ogni faccia umana lo specchio del volto di Cristo. Se non abbiamo la fede, la speranza, la carità – le tre virtù teologiche che sono i tre vincoli che ci uniscono a Dio – siamo gente cieca, costretta ad essere schiava della terra, gente turbata dalle passioni, che la fanno infelice e che pongono la fiducia degli uomini nelle cose più terribili, come le armi, le lotte, le guerre, gli odi, i vizi. (30 marzo 1960)
Sembrano parole per oggi. E la sola e vera ragione è che si preferisce seguire le orme di satana, che è l’egoismo che si tramuta in superbia e che non accetta fratelli, nella casa del proprio cuore: tutti considera ‘estranei’ e così si condanna all’inferno della solitudine. È davvero insopportabile questa solitudine. La sentiamo tutti la mancanza di ‘atmosfera di vita’, che è l’amore tra di noi. La sentiamo tutti questa sete di amore, ma non troviamo ‘il pozzo dove dissetarci’. E sembrano ‘fantasia dei sogni dell’anima’ o ‘ali per conoscere la bellezza del volo’ le parole di Gesù, oggi: “Amatevi come io ho amato voi”. Quando rifletto su questo meraviglioso ‘testamento’, che Gesù ci ha donato, prima di attuarlo sulla Croce, mi convinco sempre di più che, quando non si è sudditi di un gretto egoismo, amare ed essere amati, in famiglia, nella chiesa, nella società è contribuire a creare la vera aria che fa respirare, soprattutto nei momenti difficili.

Ma si può vivere senza amare e sentirsi amati? Credo che sia un inferno insopportabile. Ascoltiamo ciò che scriveva il nostro Papa emerito, Benedetto XVI, nella sua prima enciclica, che ha voluto intitolare ‘Dio è amore’, come indicazione a raccogliere il testamento di Gesù:
  • L’amore è gratuito: non viene esercitato per raggiungere altri scopi. Ma questo non significa che l’azione caritativa debba per così dire lasciare Dio e Cristo da parte. È in gioco sempre tutto l’uomo. Spesso è proprio l’assenza di Dio la radice più profonda della sofferenza. Chi esercita la carità in nome della Chiesa non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa. Egli sa che l’amore nella sua purezza e nella sua gratuità è la migliore testimonianza di Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare…. Egli sa che il vilipendio dell’amore è vilipendio di Dio e dell’uomo, è il tentativo di fare a meno di Dio. Di conseguenza la miglior difesa di Dio e dell’uomo consiste proprio nell’amore. (Deus charitas est n. 31)
Allora viene da chiederci: come mai l’amore di cui Dio ci ha fatto dono ed è il testamento di Gesù, è preferito, a volte, all’egoismo che genera ingiustizie, solitudini e insopportabili sofferenze. Mistero dell’animo umano... Per me, rosminiano, figlio della Carità, è un grande dono che voi mi fate ogni settimana leggendomi. Ho come l’impressione di respirare con voi una tale atmosfera di amore che, per me, è incredibile gioia. Gioia di potervi dire: vi amo come Gesù vi ama, anche se non vi conosco ad uno ad uno, ma è come se foste tutti vicino a me quando celebro il grande sacramento dell’amore, che è l’Eucarestia. E vi sono immensamente grato. Davvero siete miei amici e credo lo sappiate perché tante volte mi scrivete come fra amici.

Poteva Gesù lasciarci un testamento più bello di questo? Per chi ama la felicità certamente no, ma bisogna ‘entrare nel cuore dell’amore e farci riempire il cuore dalla gioia’. Scriveva il grande Follereau in un messaggio ai giovani, nel 1962:
  • Siate intransigenti nel dovere di amare. Non venite a compromessi, non retrocedete. Ridete in faccia a coloro che vi parleranno di prudenza, di convenienza, che vi consiglieranno di mantenere ‘il giusto equilibrio’: questi poveri campioni del ‘giusto mezzo’! E poi soprattutto credete nella bontà del mondo. Nel cuore di ogni uomo vi sono tesori prodigiosi e voi scovateli.
    La più grande disgrazia che vi possa capitare è di non essere utili a nessuno, che la vostra vita non serva a nulla. Siate invece forti ed esigenti, coscienti di dover costruire la felicità per tutti gli uomini, vostri fratelli, e non lasciatevi sommergere dalle sabbie mobili degli incapaci. Lottate a viso aperto. Non permettete l’inganno attorno a voi. Siate voi stessi e sarete vittoriosi.
E come dimenticare le parole di Papa Francesco:
  • Per Dio noi non siamo numeri, siamo importanti, anzi siamo quanto di più importante Egli abbia; anche se peccatori, siamo ciò che gli sta più a cuore. Lasciamoci avvolgere dalla misericordia di Dio; confidiamo nella sua pazienza che sempre ci dà tempo; abbiamo il coraggio di tornare nella sua casa, di dimorare nelle ferite del suo amore, lasciandoci amare da Lui, di incontrare la sua misericordia nei Sacramenti. Sentiremo la sua tenerezza, sentiremo il suo abbraccio e saremo anche noi più capaci di misericordia, di pazienza, di perdono, di amore.
Non ci resta, allora, che raccogliere a piene mani il grande testamento di Gesù e vivere facendo della vita un donare sorrisi a tutti: sorrisi che siano come gettare fiori a chi ci accosta, al posto del silenzio indifferente o delle parole che, come ‘sassate’, fanno male. Ci aiuti Gesù... ma, intanto, ripeto la mia gioia che voi siete miei amici. Grazie.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven mag 03, 2013 1:40 pm

      • Omelia del giorno 5 Maggio 2013

        VI Domenica di Pasqua (Anno C)



        Vado e tornerò a voi
Credo che tanti di voi, miei amici, ricordiate le parole apparentemente ‘dure’ che il Santo Padre emerito, Benedetto XVI, disse, parlando della fede in Europa, arrivando al punto di definirla ‘l’apostasia dell’Europa’, ossia il rinnegare la propria adesione a Gesù, quella adesione che avevano formulato per noi nel giorno del Battesimo. Quel grande giorno, abbiamo lasciato alle spalle una vita che si presentava piena di tentazioni terrestri, ma non portava alla vera ragione della nostra esistenza. Chi di noi non prova tanta, ma tanta, tristezza, nel vedere, a volte, almeno la domenica, Chiese semivuote... perchè si preferisce ‘altro’, come se contenesse anche solo un’ombra della felicità che solo Dio sa donare. Può essere chiamata vera vita quella di non sapere dove si va, con chi si va? Tanta tristezza per un ‘vuoto’ interiore, che difficilmente si riesce a riempire, nasce proprio dal fatto che solo la presenza di Dio può colmare ‘quel vuoto’. Senza contare le innumerevoli tragedie, dalle guerre alle povertà, alle sofferenze causate, che sono il vero ‘buio profondo’ dell’umanità.

Da qui forse nasce quello che il grande Papa Giovanni Paolo II, nella sua enciclica ‘Terzo millennio’ scriveva: “Sì, carissimi fratelli e sorelle, non è forse un segno dei tempi che si registri oggi, nel mondo, nonostante gli ampi spazi di secolarizzazione, una diffusa esigenza di spiritualità, che in gran parte si esprime proprio in un rinnovato bisogno di preghiera?”. Così come è diffusa la voglia che qualcosa cambi per fare posto alla serenità, alla speranza.E tornano sulle labbra le parole di Pietro, dopo che tutti si erano allontanati da Gesù, nel momento in cui ci prometteva di essere con noi, sempre, nella Eucaristia. A Gesù che forse aveva letto lo sconcerto degli Apostoli, dicendo: ‘Ve ne volete andare anche voi?’. Pietro aveva risposto: ‘Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna’.

È proprio il momento di interrogarci seriamente sul nostro seguire Gesù, affidandoci a Lui totalmente, mente e cuore, per essere uomini nuovi. Quante volte, come vescovo, ho incontrato persone che in un momento di sincerità, quando tutto si svela per quello che è, sentivano l’amarezza della solitudine o, ancor peggio, il non trovare più amici veri cui affidarsi, con cui camminare, non per le vie del mondo, ma quasi sfiorando la terra, con il cuore rivolto al cielo. Sono i momenti in cui Dio si fa vicino e cerca con amore di farsi strada per dirci che Lui c’è, è con noi. E lo fa con la dolcezza dell’amore, che fa appello alla nostra libertà, perché seguirLo e amarLo è questione di amore e quindi di libertà.

La Chiesa fa precedere questo tempo dopo Pasqua, prima della Pentecoste, quando inizierà il meraviglioso pellegrinaggio dell’umanità verso il Cielo, da una serie di incontri ed insegnamenti di Gesù ai Suoi. Li aveva scelti Lui, amando in loro quella semplicità di cuore, dove non può avere posto la superbia dell’uomo: una semplicità che si fa povertà di spirito: una povertà che è ‘apertura al bello, alla Grazia’. C’era stato il momento della prova e della paura: la passione e morte in croce del Maestro. Quel venerdì santo che sembrava chiudere gli animi generosi alla speranza. Poi ‘era esplosa’ la Pasqua, in cui Gesù Risorto aveva dato inizio ‘al giorno della creazione nuova, un giorno che non conoscerà tramonto’. Ma giungerà anche il momento in cui Lui, apparentemente, li lascerà, per ascendere al Cielo. Così ce ne parla Giovanni, l’apostolo che Gesù amava:
  • Gesù disse: ‘Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra di voi, ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa, e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbiate timore. Avete udito ciò che vi ho detto: vado e tornerò da voi. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto adesso, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate’. (Gv. 14, 23-29)
Difficile anche solo immaginare come gli Apostoli abbiano accolto queste parole di Gesù! Possiamo immaginare la loro confusione, la stessa che prende a volte anche tanti di noi che, pur credendo, ci ‘sentiamo’ soli e, soprattutto nelle difficoltà più serie, pare che Dio non ci sia o non si interessi di noi. Ancora peggio, ‘non vedendo Dio’, avviene oggi quello che così esprimeva Paolo VI in una omelia del 25 agosto 1970.
  • Una delle tentazione circa la religione è quella che insinua nella mentalità moderna la persuasione che, tutto sommato, si può fare a meno di Dio e lo si può sostituire con altri valori. Cioè, si precisa, si può fare a meno della fede in Dio e della pratica religiosa che la fede richiederebbe. Non è una negazione assoluta, non è un ateismo radicale o razionale: è un disinteresse pratico, è un tentativo di fondare la vita su altre ragioni e beni, diverse da quelle religiose tradizionali.
Gesù, oggi, ci dà l’indicazione per non smarrirci e cadere nella ‘rete’ di chi vorrebbe chiuderci il Paradiso. E la stella polare è la ‘Parola fatta carne’, è Gesù stesso. In un’omelia della Messa a Santa Marta, Papa Francesco ha evidenziato: “L’ha detto Gesù: ‘Io sono la porta', ‘Io sono il cammino’, per darci la vita. Semplicemente. È una porta bella, una porta d’amore, è una porta che non ci inganna, non è falsa. Sempre dice la verità. Ci sono forse ‘sentieri’ più facili, ma sono ingannevoli, non sono veri: sono falsi. Soltanto Gesù è la strada”. È incredibile questo immenso dono che Gesù ci fa: accogliendolo fare carne della vita la Sua Parola! “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. Ricordo Clemente Rebora, un cristiano che veramente era ‘testimone di Dio’ per la sua vita ispirata, che lasciava in tutti come uno sprazzo di luce, quando lo si incontrava o si parlava con lui. Portava sempre con sé un libretto, tenuto assieme da un laccio. Ogni tanto lo apriva e si immergeva in una lettura, da cui sembrava farsi illuminare. Pensavo spesso alla natura di quel libretto, così gelosamente custodito e compagno dei tempi di silenzio. Gli chiesi un giorno se poteva almeno dirmi il titolo del libro. Mi rispose con la semplicità del ‘bambino che si affida a Dio’: “É il Vangelo: luce dei miei passi, meraviglioso suggeritore degli impegni della vita”.

Oggi la Chiesa insiste, giustamente, sulla necessità non solo di riscoprire la necessità della Parola che, se accolta, ci fa diventare ‘dimora di Dio’, ma di farne ‘una continua scuola di vita’. Da qui i ‘centri di ascolto della Parola’, che da anni si sono diffusi in tanti luoghi o ‘le scuole della Parola’. Credo che se c’è poca fede o se la fede, come affermava Paolo VI, sta lasciando il posto a suggestioni umane, lo si debba proprio a una profonda ignoranza della Parola stessa, che inevitabilmente non diventa più ‘carne’ o ‘lampada dei nostri passi’. Sfogliando tra i miei ricordi di vescovo tra la mia gente, uno dei momenti più belli era quello che riservavo, durante la visita alle comunità parrocchiali, ai cosiddetti ‘centri di ascolto’. Ci si radunava verso sera, presso un cortile o uno spazio che potesse accogliere, o presso una famiglia e, dopo la preghiera si introduceva la lettura del Vangelo. Si rimaneva in profondo ascolto, per un certo tempo, quindi si esprimeva ciò che Dio aveva suggerito ai singoli. E diventava un coro di ‘scoperte dell’anima’. Quindi si pregava insieme, alla luce della Parola. Lì si toccava con mano quello che, oggi, Gesù dice a noi: ‘Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui’.

Se ci pensate, amici, è proprio quello che insieme facciamo con la riflessione che avete davanti al monitor. Dalle tante e-mail, viene fuori che accogliere la Parola è, per tutti, fare esperienza di quello che dice Gesù: ‘Il Padre vi ama... verremo e prenderemo dimora presso di voi’. Per questo dico davvero una grande GRAZIE a DIO e a VOI, per questo dono, che certamente ci fa bene.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven mag 10, 2013 11:14 am

      • Omelia del giorno 12 Maggio 2013

        Ascensione del Signore (Anno C)



        Gesù ascende al Cielo… aprendo per noi il Paradiso
In una manciata di giorni, piccola cosa di fronte alla storia, che ha sempre tempi lunghi, si è come ripetuta la sofferenza e la bellezza della creazione! Ma questa volta con un Nome che suona eternità: Gesù Risorto, il Vivente. E c’è voluta la potenza e l’opera di Dio per compiere un tale miracolo, impensabile all’uomo: questo uomo che per il tragico ‘no’ all’Amore, si era condannato – e continua a condannarsi! – irrimediabilmente, allontanandosi dal Cielo, che era il progetto che Dio aveva preparato per lui con la creazione. Un uomo, ripeto, che senza l’amore di Chi gli ha fatto dono della vita, Dio, si priva del senso stesso della propria vita, perdendone tutta la bellezza, che è il sogno del Padre per ciascuno di noi.

Senza l’Amore del suo Creatore era destinato – e siamo destinati! – a brancolare nel buio, incapaci di guardare verso l’Alto, dove è la nostra vera casa, ormai chiuso. Solo Dio poteva riaprire il Suo Regno, che ci aveva destinato come ‘Suoi figli ed eredi’. E Dio Padre lo ha fatto, con il dono del Figlio, venuto tra noi: Gesù. Egli ci ha svelato la Parola della Vita, che deve essere l’unica trama su cui tessere la nostra esistenza, ed infine, per aprirci definitivamente il Cielo, ci ha fatto dono della Sua stessa vita, con la crocifissione. Che amore! È stata necessaria la fedeltà e potenza del Padre per attuare questo piano di recupero.

Si rimane senza fiato, se pensiamo al prezzo che Dio ha pagato per ridonarci il Paradiso. Possiamo ancora dubitare del Suo Amore? Pensare che sia lontano da noi? Sarebbe una vera bestemmia. Il Cielo si è riaperto e Gesù che ‘ascende’, al termine di una manciata di anni di obbedienza al disegno del Padre, è la conferma che ci ‘ha riconciliato in Sé tutta l’umanità’. L’Amore è più forte di tutto, diceva Paolo VI. E Gesù con la sua vita, morte e resurrezione per noi, ce lo mostra. Ormai il sepolcro è spalancato, per tutti coloro che lo vogliono. Rimane escluso solo chi preferisce e sceglie il buio del nulla, più che la gioia di una vita senza fine in Cielo. Raccontano gli Atti degli apostoli:
  • Nel mio primo libro – così inizia san Luca, riferendosi al suo Vangelo – ho già trattato, Teofilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui, dopo avere dato istruzione agli apostoli, che si era scelto nello Spirito Santo, egli fu assunto in cielo. Gesù si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del Regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre ‘quella’ – disse – ‘che avete udita da me: Giovanni fu battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo’. Così, venutisi a trovare insieme, gli domandarono: ‘Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?’. Ma egli rispose: ‘Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra’. Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse ai loro sguardi. E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, ecco due uomini in vesti bianche si presentarono a loro e dissero: ‘Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù che è stato tra voi assunto al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo’. (At. 1, 1-11)
Ora i discepoli sanno che Gesù c’è, non è più sottomesso alla miseria della nostra natura umana. Gesù ora è accanto a noi, non in forma provvisoria, ma per sempre, nella pienezza della sua potenza, pronto a comunicare tale potenza divina a quanti gli credono. E noi dovremmo essere tra questi. Ha detto Papa Francesco: "L'Ascensione di Gesù al cielo ci fa conoscere questa realtà così consolante per il nostro cammino: in Cristo, vero Dio e vero uomo, la nostra umanità è stata portata presso Dio; lui ci ha aperto il passaggio; è come un capo cordata quando si scala una montagna, che è giunto alla cima e ci attira a sé conducendoci a Dio", e ha aggiunto che "se affidiamo a lui la nostra vita, se ci lasciamo guidare da lui siamo certi di essere in mani sicure". Ora, come gli Apostoli, siamo certi che sono aperte le porte del Cielo: la vera dimora che il Padre ci ha preparato, creandoci, e che nel peccato – ieri come oggi – rifiutiamo, per fare spazio alla disobbedienza. Quella è la dimora, vera, verso cui dovremmo dirigere i nostri passi, senza cedere all’incertezza. È necessario tenere sempre fisso lo sguardo del cuore verso il Cielo, per così vedere tutto alla luce che viene dall’Alto. Afferma l’apostolo Paolo nella lettera agli Efesini:
  • Possa Egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente, per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale eredità tra i santi e qual è la straordinaria grandezza della Sua potenza verso i suoi credenti, secondo l’efficacia della Sua forza, che Egli manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla Sua destra nei Cieli, al di sopra di ogni principato ed autorità, di ogni Potenza e Dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare, non solo nel secolo presente, ma anche nel futuro.
La storia di Gesù risorto e asceso è la guida necessaria per la nostra storia. Purtroppo troppe volte ci lasciamo incantare e possedere dalle creature o cose, che non conoscono la gioia della eternità. E non esiste situazione peggiore di vivere tesi solo verso la precarietà dell’esistenza presente. La vita ha bisogno di riacquistare il senso di una vigilia, dell’attesa della nostra ascesa al Cielo, per ritrovare significato, valore e bellezza. Questa fede ci darebbe la possibilità di camminare con i piedi ben fissi a terra, impegnati a rendere questo mondo migliore, ma proprio perché il cuore è teso a ciò che ci aspetta, quando Dio ci libererà da questo momento di passaggio, per chiamarci alla vera ragione della stessa nostra vita: far parte del Popolo del Cielo, ‘una moltitudine immensa’ come afferma l’Apocalisse, tra cui ci sono anche i nostri cari, che ci attendono. Scriveva Paolo VI:
  • L’ascensione di Gesù al Cielo ci fa intravedere qualche cosa della Sua Gloria immortale! Nello stesso tempo ci fa pensare all’oltretomba riguardo a noi morituri, destinati alla fine dei nostri giorni alla sopravvivenza nella comunione dei Santi. La fede allora diventa speranza: una speranza vittoriosa emana dal Mistero dell’Ascensione, fonte ed esempio del nostro futuro destino e che può e deve sorreggere il faticoso cammino del nostro pellegrinaggio terrestre. La speranza, ci ha assicurato Gesù, non delude. ( maggio 1975)
È l’ora di alzare, come gli apostoli, gli occhi al Cielo e fissare Gesù che va a prepararci un posto accanto al Padre, ma senza malinconia o tristezza, perché noi, come gli apostoli, abbiamo ricevuto la missione di testimoniare la speranza – che è certezza nella fede – del Cielo. È la presenza reale di Gesù, al nostro fianco, in ogni istante della nostra giornata, che sola può illuminarci e oggi, fare memoria della Sua Ascensione, conferma questa certezza, come in un 'tweet' il Pontefice scriveva: ''L'Ascensione al cielo di Gesù non indica la sua assenza, ma che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo, vicino ad ognuno di noi'', per poi dichiarare, nell’udienza generale del 17 aprile: ‘Gesù è il nostro difensore presso il Padre … Ma che bello sentire questo, no? Quando uno è chiamato dal giudice o viene in causa, la prima cosa che fa è cercare un avvocato perché lo difenda. Noi ne abbiamo uno, che ci difende sempre, ci difende dalle insidie del diavolo, ci difende da noi stessi, dai nostri peccati! Carissimi fratelli e sorelle, abbiamo questo avvocato: non abbiamo paura di andare da Lui a chiedere perdono, a chiedere benedizione, a chiedere misericordia! Lui ci perdona sempre, è il nostro avvocato: ci difende sempre! Non dimenticate questo!". Facciamo nostri i sentimenti espressi dalle parole di Madre Teresa di Calcutta:
  • Gesù mio, aiutami a diffondere la tua fragranza ovunque io vada.
    Infondi il tuo Spirito nella mia anima e riempila del tuo amore,
    e ogni anima con cui vengo in contatto possa sentire la Tua Presenza nella mia anima
    e poi GUARDARE IN SU e non VEDERE più me, ma TE.
    Resta con me e io comincerò a brillare della Tua Luce.
    La Luce, Signore, sarà la Tua, non verrà da me.
    Sarà la Tua Luce che brilla attraverso me.
    Lasciami predicare senza predicare, non con le parole ma con l’esempio”.
    Ed era così, incontrandola. Così l’ho vista, stando con lei: illuminata!


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven mag 17, 2013 8:49 am

      • Omelia del giorno 19 Maggio 2013

        Solennità della Pentecoste (Anno C)



        Il "Natale" della Chiesa
La Solennità della Pentecoste potremmo definirla ‘il Natale della Chiesa’. Sembra di assistere al racconto biblico della stessa creazione dell’uomo, quando Dio, dopo avere composto con il fango questo incredibile frutto della Sua fantasia, che è l’uomo, lo rese partecipe della sua vita divina, infondendogli il Suo stesso Spirito: ‘alitò su di lui’. L’uomo non può stare da solo. Ha bisogno di essere – e sentirsi - profondamente amato e, a sua volta, realizzarsi pienamente, amando. Senza l’amore l’uomo si sente paralizzato, è nulla. Lo dice espressamente Gesù ai suoi discepoli: ‘Senza di me non potete fare nulla… Io sono la vite e voi i tralci’. E per dare un’immagine quasi visibile, che sia compresa dalla nostra mente, ci definisce ‘dimora’, in cui abita lo Spirito Santo, che diventa così l’anima della nostra vita.

Lo straordinario evento della discesa dello Spirito Santo sulla Chiesa, si rende visibile con le lingue di fuoco, che il giorno della Pentecoste si posarono sui Suoi discepoli, così che lo Spirito diviene l’anima della Chiesa stessa. Così raccontano gli Atti degli Apostoli la discesa dello Spirito Santo:
  • Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso un rombo dal cielo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano gli Apostoli. Apparvero loro lingue di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno di loro ed essi furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito Santo dava loro di potere esprimersi… (At. 2, 1-11)
Ed immediatamente, trasformati, gli Apostoli comprendono in pienezza tutto quanto era accaduto e sono confermati nella fede in Gesù, il vero Messia, il Cristo risorto: questa certezza li investe di una forza a loro sconosciuta e si accompagna ad una straordinaria e nuova capacità di proclamare la Parola di Gesù, con incredibile coraggio, nelle stesse piazze da cui qualche giorno prima erano fuggiti per paura. Ora lo Spirito Santo ha davvero ‘preso dimora’ in loro, le loro voci e i loro gesti sono guidati dalla Sua azione. Non sono più quei poveri uomini pieni di sgomento, dopo la crocifissione di Gesù, ma sono ‘nuove creature’, capaci di affrontare tutto per amore del loro Signore, al punto di essere felici di ‘essere oltraggiati per amore del Nome di Cristo’.

E questo accade a tutti coloro che accolgono la Buona Novella, che è Gesù vivo e risorto. Basti pensare al grande apostolo delle genti, san Paolo. Convertitosi al cristianesimo, inizierà un cammino di instancabile missione nel portare la fede in Gesù ovunque, accettando per Lui ogni tipo di sacrificio, fino a dichiarare: ‘Non son più io che vivo, ma Cristo vive in me’. È la fede e il coraggio che ha sostenuto e continua a sostenere i martiri, anche oggi, in tante parti del mondo. A volte, nella nostra debolezza, ci chiediamo come potessero – e possano! - questi nostri fratelli affrontare terribili torture, fino a dare la vita, sorridendo. Sono comportamenti inconcepibili per l’uomo qualunque. Come pure ci lasciano sconcertati e meravigliati l’esempio di tanti pontefici che per portare la Parola di Dio, non solo hanno parole suggerite dallo Spirito, che toccano il cuore, ma danno una svolta alla Chiesa. O ai tanti fondatori di Congregazioni o Istituti religiosi, che hanno ravvivato la fede di tanti fratelli e sorelle, disposti a seguirne le orme, convinti che fosse la strada sollecitata dallo Spirito, per realizzare la propria vocazione. Basterebbe pensare a Madre Teresa di Calcutta. Ho avuto modo di fare conferenze pubbliche con lei ed assicuro che rimanevo impressionato dalla grandezza della sua santità. Ma possiamo anche ammirare tanti cristiani di oggi che affrontano il mondo come un campo in cui seminare la fede e la carità, a volte anche a rischio della stessa loro vita.

Sono tante anche oggi, direi soprattutto oggi, le testimonianze della Presenza dello Spirito. Forse ci soffermiamo troppo sul male degli uomini, che fa sempre tanto chiasso. Impariamo a fissare lo sguardo su tanti, magari vicini a noi, che splendono per fede e bontà, frutto dello Spirito. È proprio vero il proverbio che dice: ‘Fa molto rumore un albero che cade. È silenziosa la foresta che cresce’. Credo proprio che la Pentecoste sia l’occasione per ‘aprire i nostri occhi’ sulla reale ed efficace Presenza dello Spirito Santo nella nostra vita, chiedendoci quale spazio gli lasciamo. Mai avrei saputo immaginare la mia vita, come di fatto è stata. Poteva essere solo un racconto di momenti difficili, ed invece sempre il Signore ha operato. Mandato dall’obbedienza in Sicilia, in una parrocchia devastata prima da uno scandalo e poi dal terremoto, la paziente attesa e poi la convinta testimonianza di servizio, insieme ai miei confratelli rosminiani, hanno fatto spazio all’azione dello Spirito e quella parrocchia in pochi anni si è lasciata plasmare, diventando una comunità di fedeli. Così come è accaduto quando Paolo VI mi chiese di essere vescovo di Acerra, che mancava di vescovo residenziale da dodici anni: una diocesi con tanti problemi, non ultimi quelli della presenza della criminalità organizzata. Una diocesi diventata un esempio, che ha saputo dare alla Chiesa stessa due suoi sacerdoti come vescovi.

Sì, dobbiamo credere fermamente e dare spazio nella nostra vita all’azione dello Spirito, l’Anima della nostra anima: un intervento straordinario quello dello Spirito, ieri, oggi, sempre nella Pentecoste della Chiesa. Nell’omelia del 28 aprile, così si rivolgeva Papa Francesco ai cresimandi e cresimati - ed ognuno di noi lo è! -: ‘La novità di Dio non assomiglia alle novità mondane, che sono tutte provvisorie, passano e se ne ricercano sempre di più. La novità che Dio dona alla nostra vita è definitiva, apriamogli la porta… Il cammino della Chiesa, anche il nostro cammino cristiano, non sono sempre facili, incontrano difficoltà, tribolazioni … Seguire il Signore, lasciare che il suo Spirito trasformi le nostre zone d'ombra, è un cammino che incontra ostacoli, fuori di noi, nel mondo, ma anche dentro di noi. Ma queste tribolazioni, fanno parte della strada per giungere alla gloria di Dio. Dio ci dà il coraggio di andare controcorrente … Non ci sono difficoltà tribolazioni, incomprensioni che ci devono far paura’. Ed ha aggiunto: ‘Con lui possiamo fare cose grandi’.

Non stanchiamoci, dunque, di invocare lo Spirito Santo, con la Chiesa, uniti nella comunione dei Santi, oggi e sempre:
  • Vieni, Spirito Santo, manda a noi dal Cielo un raggio della Tua Luce.
    Vieni Padre dei poveri, vieni Datore dei doni, vieni Luce dei cuori.
    Consolatore perfetto, Ospite dolce dell’anima, dolcissimo Sollievo.
    Nella fatica Riposo, nella calura Riparo, nel pianto Conforto.
    O Luce beatissima, invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli.
    Senza la Tua Forza nulla è nell’uomo, nulla senza colpa.
    Lava ciò che è sordido, sana ciò che sanguina, piega ciò che è rigido,
    scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato.
    Dona ai tuoi fedeli, che solo in Te confidano, i tuoi santi doni.
    Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna.
E che oggi possiamo davvero gustare la Presenza dello Spirito e che sia grande festa per la Chiesa e per tutti noi, ciascuno di noi.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun mag 27, 2013 8:12 am

      • Omelia del giorno 26 Maggio 2013

        Santissima Trinità (Anno C)



        Solennità della Santissima Trinità
La Chiesa, quasi ripercorrendo il continuo cammino della storia dell’amore che Dio ha per ciascuno di noi, dopo averci narrato l’amore di Gesù, Figlio del Padre, dato a noi per la nostra salvezza, la Presenza vivificante dello Spirito Santo, con la Pentecoste, oggi, ci presenta quella che il nostro Papa emerito, Benedetto XVI, ha definito ‘la Famiglia di Dio’, ossia la Santissima Trinità. Davanti a questo incredibile ed infinito Mistero di Amore, che vuole riversarsi su ciascuno di noi, vero Paradiso per chi crede e accetta di entrare a farne parte, sia pure come figli adottivi, ci viene da esprimere il nostro stupore con le parole del salmista:
  • O Signore, nostro Dio, grande è il tuo amore su tutta la terra…
    Se guardo il cielo, opera delle tue mani,
    la luna e le stelle che tu hai creato,
    chi è mai l’uomo perché ti ricordi di lui?
    Chi è mai, perché tu ne abbia cura?
    Lo hai fatto di poco inferiore ad un dio, coronato di forza e splendore,
    signore dell’opera delle tue mai.
    Tutto hai posto sotto il suo dominio…
    O Signore, nostro Dio, grande è il tuo Nome su tutta la terra. (Salmo 8)
Commuove anche solo pensare che noi siamo nel Cuore di Dio in maniera così grande, che Gesù ci invita a chiamarlo: ‘Abbà’. E come conferma di questo incessante amore della Trinità per noi, in noi, ‘Compagnia della vita’, nelle celebrazioni, la Chiesa saluta i cristiani così:“La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo, sia con tutti noi”. Tutto questo ci fa pensare alla grandezza dell’uomo, di ogni uomo che, non solo nasce dalla mamma, ma ‘da sempre è concepito’ da un disegno di amore di Dio su di lui. Di fronte a queste solenni manifestazioni di amore di Dio, viene davvero da chiedersi con il salmista: “Ma chi è mai, Signore, quest’uomo?”.

Siamo davvero grandi e amabili agli occhi del Padre e, forse, non lo sappiamo. Basterebbe riflettere, oggi, su come l’uomo è considerato in questo nostro mondo. Troppe volte una ‘merce da usare’ per il proprio tornaconto, nell’economia e a volte nella politica. ‘Ho l’impressione di essere un numero e non una persona’ – mi diceva un operaio, pensando alla sua vita in fabbrica -. Un numero che deve produrre, a volte neppure rispettato nei suoi diritti e nella sua dignità, ma sempre e solo un numero, perché ciò che conta è il profitto. E ogni volta è uno sfregio della dignità della persona!’. ‘Chi sono – incalzava un ammalato – quando sono in ospedale? Un numero. Il numero del letto in cui soffro’. E quasi a dare ragione a questo sfogo – ma non è dappertutto così – un medico sfogava la sua amarezza: ‘Noi, in ospedale, quando facciamo un’assemblea, parliamo quasi sempre dei diritti o di altro, ma quasi mai al centro delle nostre assemblee c’è l’uomo che soffre’.

Papa Francesco, il giorno della canonizzazione di Madre Lupita, ha affermato che lei, servendo gli ammalati e gli abbandonati ‘toccava la carne di Cristo e ci insegnava a non vergognarci, a non avere paura a non provare ripugnanza nel toccare la carne di Cristo…. Questa nuova Santa messicana ci invita ad amare come Gesù ci ha amato, e questo comporta non chiudersi in se stessi, nei propri problemi, nelle proprie idee, nei propri interessi, in questo piccolo mondo che ci fa così tanto male, ma uscire e andare incontro a chi ha bisogno di attenzione, di comprensione, di aiuto, per portagli la calorosa vicinanza dell’amore di Dio, attraverso gesti di delicatezza e di affetto sincero e di amore’.

Chi è l’uomo, di cui Dio ha tanta cura, dove vi è guerra o violenza? Penso, meditando sull’amore del Padre per ciascuno di noi, al punto da chiamarci figli, al grande dramma di tanti figli che non sanno più, a causa del divorzio, chi sia il loro papà o la loro mamma: chi li ha generati o chi è subentrato con il divorzio nella nuova famiglia. Ed invece ogni volta che incontriamo un uomo, una donna, un bambino dovremmo vedere Dio presente in loro e, quindi, rendere omaggio con il rispetto alla loro incredibile dignità di figli di Dio. Ma è inevitabile: se scompare Dio dalla nostra vita, viene distrutto il senso della dignità della persona umana, creata a Sua immagine, figlio di Dio, e che sarà dell’uomo?

È vero che occorre tanta fede per arrivare non solo a Dio, ma, con Dio, alla bellezza nostra. E la fede è un dono che tanti forse desiderano e non riescono a raggiungere. Ma quando si cerca Dio con passione, il Padre non si fa attendere. Ed allora si apre il grande sipario della Presenza in noi della Trinità. Il male è che tante volte neppure ci pensiamo alla nostra dignità e, di conseguenza, non la vediamo negli altri. Ma Dio non smette di volerci bene e di avere cura di noi. Abbiamo iniziato la nostra vita con il diventare totalmente suoi figli e ,quindi, partecipi della ‘famiglia di Dio’, nel santo Battesimo. Gesù si è fatto nostro Cibo, Viatico di vita, Pane di vita, nell’Eucarestia. Nel Sacramento della Confermazione lo Spirito Santo, Spirito di sapienza, di fortezza, di scienza, è diventato l’Ospite della nostra anima. Davvero siamo ‘figli in pienezza’.

Abbiamo tutto quello che potremmo sognare di avere dal Padre e tocca a noi, ora, nella ferialità della vita, costruire quella santità, o dignità di figli, che è poi la bellezza di vivere non una vita qualunque, a volte priva di senso, ma piena di gioia: una vita che va oltre la morte, per essere in cielo figli della ‘grande famiglia’ di Dio. Tutti, credo, parecchie volte al giorno, quando iniziamo la giornata, prima del lavoro, dei pasti e alla sera, come a chiudere il diario del giorno, ci facciamo il segno della croce, che è semplice, ma efficace professione di fede nella Trinità. Qualche volta al giorno, forse, non solo ricordiamo, ma professiamo la nostra fiducia nel Padre, recitando quella meravigliosa preghiera, insegnataci dal Figlio Gesù, che è il ‘Padre nostro’.

Davvero abbiamo un Padre, un Figlio ed uno Spirito che altro non desiderano, nella nostra vita, che farci partecipi della loro divinità. I Santi lo sapevano, e lo sanno bene, quanta felicità si vive in questa ‘compagnia’...come un preludio del Regno dei Cieli. È vero che Dio, rispettando la nostra libertà, si fa piccolo, fragile, bussando continuamente e con discrezione alla porta del nostro cuore. Il vero amore è discreto, non fa rumore, chiede di essere accolto. Sento di esprimere la mia gioia, il mio amore e il mio credo a Dio, con un bel poema di Juan Arias:
  • Il mio Dio non è un Dio duro, impenetrabile, insensibile, stoico. Il mio Dio è fragile. È della mia razza e io della sua. Lui è uomo e io quasi dio. Perché io potessi assaporare la sua divinità, Lui amò il mio fango. L’amore ha reso fragile il mio Dio: ebbe fame e sonno, e si riposò.
    Il mio Dio è sensibile: si irritò, fu passionale e nello stesso tempo fu docile come un bambino.
    Il mio Dio amò tutto quanto è umano, le cose e gli uomini, i buoni e i peccatori.
    Fu un uomo del suo tempo, il mio Dio. Vestiva come tutti, parlava il dialetto della sua terra, gridava come i profeti. Morì giovane, perché era sincero. Lo uccisero perché lo tradiva la verità, che era nei suoi occhi. Ma il mio Dio morì senza odiare. Morì scusando più che perdonando. Il mio Dio ruppe con la vecchia morale del dente per dente, della vendetta meschina, per inaugurare la frontiera dell’amore e di una ‘violenza’ totalmente nuova. Il mio Dio, gettato nel solco, schiacciato sotto terra, tradito, abbandonato, incompreso, continuò ad amare. E comparve un frutto nuovo tra le mani: la Resurrezione. Per questo noi siamo tutti sulla via della Resurrezione: gli uomini e le cose. È difficile per tanti il mio Dio fragile, il mio Dio che piange, il mio Dio che non si difende.
    È difficile il mio Dio abbandonato da Dio, che deve morire per trionfare, il mio Dio che fa di un ladrone e criminale il primo santo della storia della Chiesa. È difficile questo mio Dio, questo mio Dio fragile, per chi pensa di trionfare soltanto vincendo, per chi si difende soltanto uccidendo, per chi la salvezza vuol dire sforzo e non regalo. È difficile questo mio Dio fragile per quelli che continuano a sognare un Dio che non somigli agli uomini.
Si tratta di capire come è la nostra fede, in Chi crediamo. Ecco allora altre semplici, ma profonde e illuminanti parole di Papa Francesco: “La fede fa vedere oltre i limiti del nostro sguardo umano, oltre il confine della vita terrena, fa contemplare «i cieli aperti» - come dice santo Stefano – e il Cristo vivo alla destra del Padre. Cari amici, conserviamo la fede che abbiamo ricevuto e che è il nostro vero tesoro, rinnoviamo la nostra fedeltà al Signore, anche in mezzo agli ostacoli e alle incomprensioni; Dio non ci farà mai mancare forza e serenità. …Chiediamo a Dio di sostenere tanti cristiani che, proprio in questi tempi e in tante parti del mondo, adesso, ancora soffrono violenze, e dia loro il coraggio della fedeltà e di rispondere al male col bene’. Sostieni dunque e conferma la nostra fede, o Santissima Trinità, liberaci dalla tiepidezza, rendici consapevoli della Tua Presenza fedele nella nostra vita!



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven mag 31, 2013 8:48 am

      • Omelia del giorno 2 Giugno 2013

        Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno C)



        Eucarestia: l’immenso dono di Dio
Ci sono parole di Gesù, che fanno sobbalzare di stupore e di gioia incredibile per noi poveri uomini, parole che ci fanno entrare direttamente nel Cuore del Padre. Sappiamo quanto sia difficile per noi povere creature entrare anche solo nel cuore degli altri, ossia sapere come e quanto ci vuol bene un amico. Incredibile dunque pensare di poter ‘capire’ il Cuore stesso di Dio. Ecco perché le parole del Figlio, in questa solennità del Corpus Domini, ci colpiscono così in profondità. Sono parole, che diventano azioni, dichiarando quanto siamo amati dal Signore, per sempre e in una fedeltà che diventa Vita per ciascuno di noi.
  • Io sono il pane vivo disceso dal Cielo – afferma Gesù – Chi mangia di Me vivrà’, ossia il Padre ci dona Suo Figlio, come Pane vivo da mangiare, per avere la Vita.
  • Il nostro Salvatore – proclama il Concilio Vaticano II – nell’ultima cena, la notte in cui fu tradito, istituì il sacrificio eucaristico del Suo Corpo e del Suo Sangue, onde perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce, e per affidare alla sua diletta Sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e resurrezione, sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l’anima viene ricolma di Grazia e ci è dato il pegno della gloria futura. (S.C. n. 47)
È lo stesso Maestro che si incarica di introdurci nella grandezza del dono, partendo da una realtà che è vita quotidiana, ossia la necessità del pane, come nutrimento per questa vita terrena e temporale, ma intendendo per ‘pane’ tutto ciò che dà vita. Come capitava a Gesù nella sua intensa vita missionaria. Aveva attorno una grande folla. Dice il Vangelo che ‘Gesù prese a parlare del Regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure’. Troviamo così riunite le due esigenze vitali che muovono Gesù verso gli uomini: il bisogno del Cielo, indicato dalla Sua Parola, e della terra, attraverso le guarigioni dalle malattie.

Gli Apostoli erano consapevoli di non poter far fronte alla richiesta di pane, che veniva da quelle folle affamate, che erano accorse ad ascoltare il Maestro e lo invitano a congedarle, ‘affinchè vadano nei villaggi e nelle campagne intorno per alloggiare e trovare cibo, perché qui siamo in una terra deserta”, come a dire che non era compito di Gesù sfamare chi aveva fame! Gesù allora li invita ad utilizzare quanto avevano a disposizione e dopo aver raccolto ‘due pani e cinque pesci’ – piccola cosa di fronte all’immenso bisogno – li moltiplica. È un miracolo che vorrà indicare non solo l’attenzione e la cura che Dio ha per le necessità, anche temporali, per ciascuno di noi, ma dovrà ravvivare la fede su un altro Dono, ben più grande, ossia quello del ‘Pane vivo, disceso dal Cielo’, che sarà il Suo Corpo e il Suo Sangue, la Sua Vita donata. Una moltiplicazione miracolosa che nell’Eucarestia si ripete da duemila anni, ogni giorno, in ogni parte del mondo e che sfugge ad ogni contabilità. Se quel giorno, in Palestina, le folle erano composte da ‘5000 uomini, senza contare le donne e i bambini’, pensiamo oggi all’immenso numero di Sante Messe, che si celebrano in tutto il mondo, e come contare la folla di credenti che così può nutrirsi del ‘Pane disceso dal Cielo’, facendone il vero Cibo della loro anima?

Anche il cristiano, lo dobbiamo umilmente confessare, troppe volte, nella sua miopia spirituale, capisce, cerca e si ferma solo al pane della terra e ne fa un idolo da inseguire come unica fonte di felicità. Proviamo a parlare di benessere, di soldi, di moda, di divertimenti, che sono l’unico pane che offre la terra e troveremo sempre grande ascolto. Ma la nostra piena realizzazione è nel vero amore, quello profondo, che abita ancora lo spazio del cuore, che è l’ansia nel cercare, oltre le creature della terra, ciò che non riusciamo forse neppure a comprendere, ma sentiamo che viene da altrove, come appunto è l’Eucarestia. Sono tantissimi gli anni che sono sacerdote e vescovo, ma confesso che non sarei capace di stare un giorno senza la Santa Messa. Riscopro ogni giorno, nella Comunione, la bellezza della presenza di Gesù, che entra profondamente nel cuore… e lo senti! Ho incontrato tanti cristiani, a cominciare dalla mia mamma, che, accostandosi all’Eucarestia, nutrendosi del Pane vivo, di Gesù, ne hanno fatto il senso pieno della vita. Come dunque è possibile che tanti, troppi cristiani, anche la domenica, che è il giorno del Signore, preferiscano fare altro, viverla solo come il giorno dello svago, che spesso alla fine lascia solo l’amaro in bocca?

C’era un tempo in cui la Solennità del Corpus Domini era vissuta nei paesi come davvero una grande festa. Si adornavano di fiori le strade dove sarebbe passato il Santissimo Sacramento. Per la gente semplice la fede non aveva incertezze: era il giorno in cui dire grazie, anche esteriormente, a Gesù che passava tra le nostre case, che aveva scelto di restare ‘fino alla fine dei tempi’ tra di noi. Credo che tutti dobbiamo farci un esame di coscienza e chiederci che posto abbia ancora l’Eucarestia nella nostra vita? Gesù nell’Eucarestia è ancora il senso della nostra giornata, lo sentiamo come la compagnia di Dio. Ricordo una giornata a Santa Ninfa, nelle baracche, dopo il terremoto. Nella tenda cappella vi era l’ora di adorazione. Giunse l’On.le Moro, allora Presidente del Consiglio, a visitarci. Volle intrattenersi anche lui in adorazione, davanti al Santissimo, per tutta l’ora. Uscendo mi disse: ‘Senza di Lui è difficile compiere il mandato datomi’.

Chiediamoci dunque seriamente: ‘Che posto ha l’Eucarestia nella mia vita? E se non è al centro, con che cosa l’abbiamo sostituita? Ne vale la pena? In questa Solennità chiediamo la grazia di sentire il profondo desiderio di Gesù di essere ‘il cibo’ della nostra vita: un incredibile gesto di amore per noi, che vuole sollecitare una risposta di amore altrettanto intensa, fedele e profonda.



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Messaggio da miriam bolfissimo » ven giu 07, 2013 9:16 am

      • Omelia del giorno 9 Giugno 2013

        X Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Il cielo è sempre aperto
Quando venne chiesto a Gesù quale era il più grande dei comandamenti, quello cioè che non si poteva eludere con facilità e senza compromettere seriamente il rapporto di amicizia con Dio (quindi la propria onestà interiore), Lui ripropose la legge dell'amore verso Dio prima, e allo stesso modo verso il prossimo. Ogni uomo che ha fede vera, che vive con umiltà il suo ruolo di creatura, la cui vita è nelle mani del Creatore che ha cura di noi come un Padre, non mette in discussione la propria dipendenza e quindi l'amore verso Dio. Ma chi è il prossimo da amare allo stesso modo e perché? E Gesù spiega, con l'arte del maestro che forma le coscienze alla verità, come farsi prossimo, nella parabola del buon Samaritano, narrando la storia dell'uomo, di ogni uomo che è chiamato da Dio a compiere una strada da Gerusalemme a Gerico. E su quella strada gioca tutto se stesso.

È nello stile del Vangelo, e in genere della Sacra Scrittura, presentare con poche pennellate un fatto, che immette in dimensioni, che hanno poco a che vedere con la cronaca delle cose che siamo abituati a narrare e leggere noi uomini. Ma la Parola di Dio, per sua natura, nulla ha a che fare con la nostra parola, che assomiglia tante volte ad un chiacchiericcio, con tanto rumore e poco senso. Nel Vangelo il punto focale è sempre Gesù, attorniato da noi, ‘le folle’. È la stupenda visione di un Dio che in Gesù non sta fermo a badare a se stesso, indifferente agli uomini, ma è sempre in cammino, circondato dai suoi Discepoli, che Lui ha chiamato per poi mandarli nel mondo in suo nome. La strada diventa la Sua casa, il luogo dove è certo di incontrare ogni uomo. Fa esperienza delle gioie e delle speranze, delle sofferenze e delle ansie di tutti. Sente profondamente che il Padre ama tanto il mondo da mandarlo tra gli uomini perché tornino ad essere ‘Sua vigna’, Suo popolo. E si protende verso ogni povertà con cuore ineffabile e irripetibile, pronto a piantare la tenda dell'Amore tra gli uomini, a cogliere l'occasione delle miserie e delle sofferenze che affiorano e si fanno incontro a Lui.In questo ‘camminare' sulle vie della nostra storia, un giorno si reca in una città chiamata Nain. Facevano la strada con lui i Discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che vide portare al sepolcro il figlio unico di una vedova. Molta gente della città era con la povera donna.
  • Vedendola, il Signore, ne ebbe compassione e le disse: "Non piangere!". E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: "Giovinetto, dico a te, alzati!". Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed Egli lo diede alla madre. (Lc 7, 11-17)
Anche oggi non è raro vedere portare alla sepoltura giovani. O per malattia che stronca inesorabilmente senza contare gli anni, o per sempre più irragionevoli morti cercate nella follia della droga o della ‘febbre del sabato sera’, o addirittura nel suicidio. Nessuno si abitua a questi drammi. Ogni morte di giovane, per qualunque motivo, scuote la coscienza di tutti. Giovinezza ha il significato di pienezza di vita; di possibilità di utopie e sogni; di fantasie, di meraviglia da costruire: vocazioni tutte da spendere. Si nota nei funerali dei giovani una partecipazione che difficilmente si ha per altre età. E su tutti cala una tristezza che sconfina nella disperazione. Difficile dire parole in quella circostanza. Mai come in questi momenti la vita viene esaltata.

A Nain si incontrano due folle: quella che accompagna Gesù, che cercava la sofferenza dell'uomo per farla sua fino a dare un perché non solo alla sofferenza, ma a tutto ciò che è l'uomo nella mente e nel cuore del Padre. E la folla che accompagna il feretro, che sembrava la somma di tante disgrazie, diremmo noi, che si sono date appuntamento sulla stessa famiglia: ‘la madre vedova’, ‘il figlio unico’. Il dolore qui si era fatto abisso che chiudeva anche il minimo spiraglio alla speranza. Gesù intuisce che lì, dove l'uomo faceva esperienza della terribile, insopportabile sofferenza di vedersi tutto contro, persino il Cielo, occorreva piantare solidi ‘paletti’ alla tenda del Padre che è tra gli uomini anche quando pare che tutto sia contro. E compie l'incredibile, ossia compie gesti che appartengono a Dio con la semplicità della Sua onnipotenza: ferma il corteo, ordina al giovinetto di alzarsi e lo riconsegna alla madre.

Così la speranza dell'uomo ritrova il suo posto e gli uomini dal profondo di questa valle di lacrime possono guardare ad un Cielo che non è contro, ma è aperto. E non per una volta sola, ma sempre perché ‘un grande Profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo’. Dio cammina ancora oggi sulle nostre strade, dove si avvicendano funerali di giovani e funerali di speranze. Nel profondo dolore non conosciamo le ragioni dell'Amore, ma tutti siamo chiamati a sperimentare la presenza viva di Gesù. In ogni dolore Egli ci è al fianco e ci ripete, come al giovinetto: ‘Dico a te, alzati!’ e ci ridona, come alla madre, la speranza. Ma anche ci chiede di essere capaci di compassione verso chi soffre, di saper entrare in relazione con un atteggiamento premuroso e delicato, diventando una consolazione per loro, come Gesù lo è per noi. La presenza di Gesù nella nostra vita ci dà la certezza che l’Amore sempre salva. Il Cielo è sempre aperto.



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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » lun giu 17, 2013 8:43 am

      • Omelia del giorno 16 Giugno 2013

        XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        L’amore che dà pace
Veramente l’uomo non ha più dove riparare la sua intimità, che è il santuario nascosto dove Dio e chi ama possono penetrare per amare, perdonare, capire, piangere insieme, se necessario. La nostra intimità, oggi, non viene risparmiata di nulla e da nessuno. Basta che per un momento di distrazione si apra una fessura di questo tempio e subito si affollano i curiosi, che non solo scandagliano la nostra intimità, come fosse un oggetto da museo, ma, quello che è peggio, costruiscono mondi fantastici, che spesso nulla hanno a che vedere con la verità, fino a farci sentire ‘stracci’ esposti alla pubblica opinione, alla condanna senza condizioni, al disprezzo, spesso gratuito: ‘stracci’ che perdono la voglia di vivere, perché senza intimità, che è il luogo che Dio ci ha donato per creare un dialogo con Lui e con i fratelli, non è possibile la gioia di vivere, il senso di una pienezza di vita. Questo di abbattere le porte dei nostri santuari di intimità è diventata una moda distruttiva, inconcepibile, tante volte perseguita attraverso i mezzi di comunicazione, come la TV, che entra nelle case di tutti.

È vero che il nostro cuore cerca disperatamente di ‘essere abitato’, capito, amato, ossia cerca qualcuno che lo aiuti a vivere, a risorgere se è ammalato. Ma è altrettanto vero che il nostro cuore teme la curiosità, l’indiscrezione: quel voler sparlare di tutto e di tutti. A volte si ha l’impressione che lo stesso sacramento della confessione, dove dovremmo mostrare alla bontà del Padre la consapevolezza dei nostri sbagli, e sono tanti, corra il rischio della non confidenza, come se avessimo paura di svelare quello che il Padre conosce bene, per cui ci chiede solo sincerità. Quella sincerità e apertura di cuore che è ben espressa nella parabola del figlio prodigo. Che stupenda parabola! Occorrerebbe capire e vivere quanto il Vangelo ci offre. Sono perle della vita e delle opere di Gesù, punti di riferimento per le solitudini inaccettabili del nostro cuore.

Tutti noi, in qualche modo o in qualche circostanza della vita, siamo delle ‘Maddalene evangeliche’, persone cioè di cui i farisei del nostro tempo – e ce ne sono tanti – potrebbero ripetere: ‘Se fosse il Messia, un profeta, saprebbe che specie di donna è colei che lo tocca. Una peccatrice’. Con questo termine, ‘peccatrice’, i farisei bollavano con una condanna senza ritorno una donna che effettivamente aveva sbagliato… come succede anche oggi e, avrebbe forse continuato a sbagliare, indifferente al giudizio dell’opinione pubblica se, sulla sua strada, non avesse incontrato uno, Gesù, che l’ha guardata, l’ha scrutata nel profondo degli occhi, spogliandola dolcemente della sua ipocrisia, delle false sicurezze nel peccata, della sfrontatezza nello sfidare la Legge del Signore, per poter così ritrovare la bellezza del cuore.

Il Vangelo non ci parla di quello sguardo che scruta e improvvisamente apre alla luce di un amore vero, con la voglia di voltare le spalle ad una vita sbagliata e quindi al desiderio di resuscitare. Il Vangelo descrive, presenta la resurrezione in atto della Maddalena, che non aveva avuto alcun rossore nell’esporsi al vizio, come ora, ‘risorta’, non ha alcun timore nell’esprimere la sua piena fiducia in Chi le ha offerto perdono e amore.
  • In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco una donna peccatrice di quella città, saputo che Gesù era nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato, e stando dietro, presso i suoi piedi, piangendo, cominciò a bagnarli delle sue lacrime, poi li asciugava con i propri capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato. A quella vista, il fariseo che lo aveva invitato, pensò tra sé: ‘Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice’. (Lc 7, 36)
Questo esempio di conversione mostra da una parte l’assurda superficialità dell’uomo, che si erge a giudice, quando lui dovrebbe essere giudicato: un uomo che ama mettere alla berlina chi sbaglia, ma si guarda bene di scandagliare in sé. Chi di noi, infatti, può ergersi a giudice dello sbaglio degli altri, quando ciascuno di noi ha tanto, ma tanto, da farsi perdonare? Dall’altra il Vangelo ci mostra la grande misericordia che Dio ha verso chi sbaglia – e ne è consapevole e pentito – suscitando in lui il desiderio di spogliarsi dell’ipocrisia della propria vita. Davvero Gesù, nella Sua infinita misericordia, tante volte suscita in noi il desiderio di toglierci di dosso ciò che è errato, ambiguo o distorto, ma occorre lasciarsi prendere dal desiderio di ritrovare la propria bellezza interiore, voltando le spalle all’ipocrisia, alla falsa condiscendenza. In questo occorre che anche noi sacerdoti, soprattutto nel sacramento della Riconciliazione, sappiamo aiutare, chi vuole ritrovare la bellezza dello spirito, a leggere con verità le profondità del cuore, per ritrovare la giusta via della vita.

Dobbiamo chiedere l’aiuto dello Spirito, affinché susciti nei fratelli la voglia di risorgere pienamente, come è stato per la Maddalena, riorientando la loro vita nella verità e nell’amore, che è perdono e servizio. Andando a Lourdes e in tanti Santuari mariani, quello che stupisce sono proprio le tante confessioni: sono il vero miracolo della Vergine Santissima, nostra Mamma, le ‘resurrezioni’ dei suoi figli. Non resta che pregare, perché ognuno di noi, sappia trovare chi lo aiuti a riscoprire o rinsaldare o rivitalizzare la bellezza della vita. Che lo Spirito Santo ci guidi, ispiri e sostenga nell’amore alla verità, che è Dio stesso.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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