Anno Paolino 28 giugno 2008 - 29 giugno 2009

Raccolta di preghiere e testi religiosi d’Autore, a cura di miriam bolfissimo
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Messaggio da miriam bolfissimo » gio mag 14, 2009 2:14 pm


  • La pagliuzza e la trave
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«Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E tu, perché disprezzi il tuo fratello?» (Romani 14,10)

Quel tu, così enfaticamente ripetuto nel nostro versetto, lo si trova pure in un'altra sezione celebre della lettera ai Romani, dopo la lunga lista di quanti si sono deformati nella loro dignità umana, per non aver «glorificato né ringraziato Dio». Paolo non esita a dichiarare: Perciò, chiunque tu sia, o uomo che giudichi, non hai alcun motivo di scusa perché, mentre giudichi l'altro, condanni te stesso; tu che giudichi, infatti, fai le medesime cose.

Giudice competente dell'operare umano e della coscienza di ciascuno è Dio: ciascuno di noi, infatti, renderà conto di se stesso a Dio. La sintonia e l'armonia proprie della fraternità genuina non riuscirono facili e piene neppure attorno a Gesù, e i Vangeli vi fanno più di un riferimento. Il problema di relazioni di fiducia e di accoglienza reciproca tra persone e tra gruppi è una delle mete di permanente attualità nella vita sociale ed etica di tutti i tempi. Un cristiano non si sorprende di trovarne una, inequivocabile direttiva di Gesù, anche dentro la carta di fondazione della sua "fraternità". Gesù giudica di ipocrisia ogni presunzione di togliere la pagliuzza dall'occhio del fratello, quando non ci si accorge della trave che è nel proprio occhio!
  • Antonio Marangon, in Avvenire 13 maggio 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » gio mag 14, 2009 2:19 pm


  • Fratelli dei deboli
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«Se per un cibo il tuo fratello resta turbato, tu non ti comporti più secondo carità. Non mandare in rovina con il tuo cibo colui per il quale Cristo è morto» (Romani 14,15)

L'epoca apostolica della cristianità risulta attraversata in più occasioni dal problema relativo ai cibi puri o impuri, secondo la distinzione fissata dalla tradizione religiosa ebraica. Ne è un significativo documento anche una pagina del Vangelo secondo Marco (al cap.7). La libertà dello spirito, rispetto alle restrizioni dell'Israele antico, non è stata subito goduta dai neofiti cristiani, neppure a Roma. Paolo ne appare informato, quando scrive a quella Chiesa la sua celebre lettera. Vi si ascoltano almeno tre personali appelli a chi si considera forte nella fede:
- nella comunità cristiana c'è chi va in rovina e rischia di andarsene dalla fede in Cristo. Ebbene, quel tale è tuo fratello!
- il tuo comportamento pertanto non è più ispirato dalla carità, che il Signore ha chiesto ai suoi discepoli;
- quando Cristo Gesù era fra noi, nessuna persona era trascurata dal suo sguardo di accoglienza e di amore. Non puoi considerarti esonerato dal fare altrettanto.
Non si dimentichi che il Dio della esperienza ebraica, e poi cristiana, si è rivelato sempre vicino ai piccoli, ai deboli.
  • Antonio Marangon, in Avvenire 14 maggio 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven mag 15, 2009 2:24 pm


  • Conversione alla pace
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«Cerchiamo dunque ciò che porta alla pace e alla edificazione vicendevole» (Romani 14,19)

Anche staccato dal suo contesto letterario l'appello di Paolo assume il tono e la formulazione linguistica di conclusione su tutto l'intervento. La sua intenzione non è di dare una direttiva da eseguire. E neppure si mira a ottenere maggior adesione, proponendosi solo formalmente coinvolto da un noi con i destinatari. Pace ed edificazione sono raggiungibili solamente se esse mobilitano spiritualmente tutti gli interessati alla vita ecclesiale; ossia forti e deboli quanto a fede e a cammino evangelico.

Quante volte la "banalizzazione" del duplice valore relazionale - fino a considerarlo problema di contrattazione e non meta su cui tutti convergere e convertirsi - ha rovinato la genuinità originaria dei due valori! Fra quei due gruppi romani di forti e deboli quanto a fede, Paolo situa se stesso. L'intervento imperativo di autorità " a imparziale distanza dalle due fazioni in contesa (come spesso si invoca, o ci si limita a fare) " potrà anche produrre "armistizio", ma non pace e reciprocità. Tanto più sul piano delle mete evangeliche di edificazione e di pacificazione fraterna: doni da invocare presso Dio e da offrire nel segno della gratuità.
  • Antonio Marangon, in Avvenire 15 maggio 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » sab mag 16, 2009 8:27 am


  • Essere prossimo
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«Ciascuno di noi cerchi di piacere al prossimo nel bene, per edificarlo. Anche Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma, come sta scritto:gli insulti di chi ti insulta ricadano su di me» (Romani 15,2-3)

Il prossimo! È una identificazione che integra e riassume tanti volti umani, che già l'israelita in ascolto della Torah di Mosè era ed è chiamato a individuare, a riconoscere e ad amare. Se ne potrebbe isolare una specie di «decalogo» dentro al celebre cap.19 del Levitico. Un profondo ridimensionamento della vicinanza da assegnare al prossimo venne portato dalle scelte e dall'insegnamento di Gesù di Nazaret: quando si rese amico dei pubblicani e dei peccatori e reperibile a banchetto con loro. Anzi, si diede a vedere per l'ultima volta crocifisso e prossimo fra due altri, condannati essi pure, perché ribelli e zeloti, alla pena della crocifissione.

E Luca rievoca un sorprendente significato assegnato da Gesù alla concezione di «prossimo»: Prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti ... fu chi ha avuto compassione di lui; ... gli si fece vicino; ... e si prese cura di lui. Cercar di piacere al prossimo nel bene! Tale magnanimità è solamente ordinata al dare gratuitamente e al sacrificarsi per il «prossimo»; oppure è anche un ricevere personalmente e un crescere spirituale e umano?
  • Antonio Marangon, in Avvenire 16 maggio 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun mag 18, 2009 8:21 am

  • Fraternamente diversi
«Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio» (Romani 15,7)

Tra forti e deboli nella fede non si realizza facilmente una piena sintonia di rispetto, stima e accoglienza. Paolo ne sa qualcosa per averlo constatato già nella comunità cristiana di Corinto. Riguardo a tale problema e a orientamenti da assumere, l'apostolo aveva scritto diffusamente nel prima Lettera ai Corinzi. Non si tratta poi di una difficoltà inedita del tutto: Gesù di Nazaret infatti non aveva inteso fondare un'associazione qualsiasi, bensì una fraternità! Era dunque realisticamente pensabile che anche nelle varie domus ecclesiae dei neofiti romani non riuscisse spontaneo il fraternizzare fra coloro che - ora aderenti per fede al Signore Gesù - fino a poco tempo prima frequentavano la sinagoga, o i templi di pagani, o qualche movimento religioso esoterico.

Non diversamente da quanto capita ancora, quando l'assemblea eucaristica o altre espressioni di vita cristiana accomunano oggi, non solo formalmente, credenti che giungono da itinerari lontani fra loro. Non si trascuri infine l'ineludibile fondazione dell'etica paolina: Accoglietevi gli uni gli altri, come anche Cristo accolse voi. Motivo ultimo: per la gloria di Dio!
  • Antonio Marangon, in Avvenire 17 maggio 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » mar mag 19, 2009 8:39 am


  • Necessaria purificazione
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«Nessuno può dire: Gesù è Signore!, se non sotto l'azione dello Spirito Santo» (1 Corinzi 12,3b)

Le due lettere ai Corinzi rendono più di altri testi dell'epistolario di Paolo il ri-tratto di una nascente comunità cristiana; quando ancora essa cerca di precisare la sua identità, il suo credo e i tratti più conformi al Vangelo di Gesù Cristo. Ben presto essa avverte pure l'esigenza di chiarimenti in tema di «doni o fenomeni spirituali». L'apostolo interviene anzitutto in maniera essenziale, lapidaria: unicamente sotto l'azione dello Spirito Santo uno arriva a professare che Gesù è Signore.

Dunque, sotto l'azione di sintonia e di consenso, che lo Spirito Santo produce, il sì di fede sollecita il cristiano a non servire altre signorie, a non coltivare ancora angoli idolatrici nella sua religiosità. Un obiettivo che richiede una purificazione dell'esistenza e della professione di fede. Per raggiungere una tale meta di liberazione da idoli e da signori alternativi, Mosè e Gesù indicano un'unica via sicura: amare. Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Se ami Dio "pienamente", poco a poco non troverai né tempo né spazi per i tuoi idoli. E Gesù di Nazaret sarà il tuo unico Signore.
  • Antonio Marangon, in Avvenire 19 maggio 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » gio mag 21, 2009 6:58 am


  • Vocazione e dono
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«Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito» (1 Corinzi 12,4)

La professione di fede sulla origine divina di quanto si manifesta nella Chiesa è costantemente presente al messaggio e alla teologia di San Paolo. Quante volte l'apostolo delle genti confessa di essere lui stesso un chiamato al ministero per grazia di Dio; di trovare cioè all'origine del suo approdo alla fede e al servizio ecclesiale la gratuita elezione divina. È evidente pure negli scritti paolini l'attribuzione specifica della vitalità ecclesiale all'azione dello Spirito di Dio.

Paolo non esita infatti a presentarlo quale soffio di sintonia tra creatura e Creatore; e tra i fratelli del Figlio primogenito e Dio. Ancor più, come scrive l'apostolo, lo Spirito Santo è anima e guida delle molteplici ripartizioni dei carismi effusi nella comunità cristiana. Carisma. Una identità, dunque, ricevuta gratuitamente dallo Spirito di Dio e offerta a servizio gratuito nella Chiesa e nel mondo. Va da sé la considerazione di una elementare applicazione conseguente sul vissuto cristiano: malattia grave di ogni «carisma» ecclesiale, che sia personale o collettivo, potrebbe essere diagnosticata allorché ci si allontani da spazi di gratuità. Quando cioè si spenga nella identità propria del carisma il carattere insopprimibile originario di essere dono e vocazione.
  • Antonio Marangon, in Avvenire 20 maggio 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » sab mag 23, 2009 10:54 am


  • Crescere insieme
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«Noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito» (1 Corinzi 12,13)

Al centro del cap.12 della prima lettera ai Corinzi, occupa uno spazio rilevante la metafora del corpo umano e delle sue membra. Non è l'unica pagina dell'apostolo a farvi ricorso. E il riferimento a tale simbologia " come è noto " non è neppure esclusivo della tradizione culturale biblica. Quanto poi a Paolo in particolare, egli coglie due principali applicazioni dalla metafora: la relazione misteriosa, ma effettiva dei cristiani con Gesù di Nazaret, loro Signore; la reciprocità dei rapporti fra credenti. Già nella fraternità prepasquale avviata da Gesù si arrivava uno a uno, per «vocazione personale». Ed era lui medesimo, il Signore, a orientare e a motivare forme di reciprocità. Paolo si manifesta convinto assertore della diversità provvidenziale dei carismi e della loro destinazione alla crescita della comunità: che genera in tutti una progressiva maturità. Non per un patto, che impegni sul dare e avere; bensì secondo «turni» di gratuità. La contrattualità, quando fosse criterio delle relazioni umane, può arrivare a estinguere la fraternità e il soffio dello Spirito!
  • Antonio Marangon, in Avvenire 21 maggio 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » sab mag 23, 2009 10:57 am


  • La via più sublime
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«Aspirate alla carità» (1 Corinzi 14,1a)

Paolo rivela più volte il suo interesse per ogni manifestazione di doni dello Spirito. Non si spiegherebbe diversamente il fatto che egli ne parli sovente e ne classifichi in più occasioni le priorità. L'apostolo insiste in una direttiva che potremmo considerare «pastorale»: nei momenti assembleari dei cristiani, l'ordine da privilegiare dev'essere quello della edificazione di tutti. Alla fine del cap.12 ascoltiamo coerentemente: Desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime. È la carità!

Paolo, però, lascia intendere non solo che va privilegiato ciò che alimenta la comunità, bensì pure che questa via più sublime orienta verso uno stile discreto, che ha di mira unicamente il bene del prossimo. Nei vv. 4-7 del cap. 13 ascoltiamo una specie di «decalogo» relativo alla carità, anima di tutti i carismi: essa è magnanima, benevola, non invidiosa, non si vanta... Per rientrare in questo ordine teologale della Chiesa dei carismi è indispensabile mantenersi vicini - o raggiungere pellegrini - a Gesù di Nazaret: il modello di presenza e di relazioni da lui inaugurato nei 33 anni di esistenza fra noi! Lo Spirito Paraclito ce lo fa ricordare con viva attualità.
  • Antonio Marangon, in Avvenire 22 maggio 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » sab mag 23, 2009 11:01 am


  • La paura e la profezia
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«Desiderate intensamente i doni dello spirito, soprattutto la profezia» (1 Corinzi 14,1b)

Soprattutto la profezia! Rispetto agli interventi in assemblea con il dono delle lingue, perché, come appunto Paolo subito chiarisce, con esso «non si parla agli uomini ma a Dio ... e, pur dicendo per ispirazione cose misteriose, nessuno comprende». Dunque, la priorità va data al comunicare, all'illuminare la storia e la cronaca nel loro tracciato più profondo, più provvidenziale: oltre le ombre e le luci di certe letture solo di superficie, dove i protagonisti sono i soliti potenti di questo mondo.

A nessuno dovrebbe sfuggire la forte attualità dell'appello, un tempo rivolto da Paolo ai cristiani di Corinto: desiderate intensamente, appassionatevi... della profezia! Anche per sottrarci oggi alla magia disorientante della cronaca a senso unico: quella che non raggiunge lo scenario provvidenziale degli eventi. Gesù, nelle parabole - una sua tipica forma di profezia - presentava la storia dei piccoli e dei poveri: così faceva loro intravedere Dio e il suo Regno. Infondendo fiducia e speranza. Quando l'uomo presume di sostituire Dio nel gestire gli eventi, autocelebrandosi, nei piccoli, ossia nei più, si diffonde la trepidazione e la paura. Lo denunciavano già i profeti di Israele.
  • Antonio Marangon, in Avvenire 23 maggio 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun mag 25, 2009 8:19 am


  • Il bene di tutti
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«Anche voi, poiché desiderate i doni dello Spirito, cercate di averne in abbondanza, per l'edificazione della comunità» (1 Corinzi 14,12)

La giovane comunità cristiana di Corinto doveva rivelare effettivamente una singolare vitalità. Paolo non nasconde la sua personale simpatia e la sua intima sintonia con essa. Tuttavia, lo scritto paolino mira a motivare l'esperienza cristiana alle sorgenti di fede e ad articolarne le relazioni reciproche. Occorre anzitutto aspirare alla carità! Con indubbio effetto retorico, Paolo scrive all'inizio del cap.13: Se non avessi la carità - sarei come un bronzo che rimbomba e come un cimbalo che strepita; ... non sarei nulla; ... (ogni altro donarmi totalmente) a nulla mi servirebbe.

Occorre, dunque, una carità attiva, che alimenti e manifesti i doni dello Spirito, moltiplicandone le espressioni e i frutti. La vitalità di una comunità cristiana, infatti, dipende dal contributo positivo di ciascun suo membro. A giudizio dell'apostolo l'abbondanza dei doni dello Spirito, desiderati e cercati, sono in vista dello sviluppo armonico e complementare di tutti. Non sono per la propria personale realizzazione, ma per servire al bene di tutti. Evidentemente, se non si ama, se non c'è la carità, non si edifica, né si capisce la Chiesa secondo il progetto originario del suo Fondatore.
  • Antonio Marangon, in Avvenire 24 maggio 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » mar mag 26, 2009 9:27 am


  • Poveri e generosi
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«Vogliamo rendervi nota, fratelli, la grazia di Dio concessa alle chiese della Macedonia, perché nella grande prova della tribolazione, la loro gioia sovrabbondante e la loro estrema povertà hanno sovrabbondato nella ricchezza della loro generosità» (2 Corinzi 8,1-2)

I capp.8-9 della seconda Lettera ai Corinzi trattano dell'aiuto economico da raccogliere per i poveri della Giudea. Non sono un testo isolato di Paolo. Anche gli Atti degli Apostoli ritornano a più riprese sul rapporto fra crescita evangelica delle comunità e problema di intervenire nelle situazioni di indigenza. Paolo però sorprende i destinatari di ieri e i lettori attuali con l'interpretazione che dà al gesto dei cristiani macedoni.

Essi, infatti, sono pervenuti ad un gesto caritativo sovrabbondante dopo essere stati loro stessi provati da povertà e da altre tribolazioni. All'inizio e a fondamento del loro gesto non sta propriamente la loro scelta generosa, ma l'aver sperimentato «provvidenzialmente» situazioni analoghe. Questo è grazia di Dio! Il «ricco epulone» della parabola e di tutti i tempi rischia invece di non accorgersi dei Lazzaro che bussano alla porta. Si potrebbe cogliere, piuttosto, anche alla luce dell'insegnamento di Gesù, la permanente attualità del detto popolare: di solito, quando si è poveri, ce n'è per tutti!
  • Antonio Marangon, in Avvenire 26 maggio 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » gio mag 28, 2009 7:35 am


  • Lo stile di dio
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«E come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest'opera generosa» (2 Corinzi 8,7)

Paolo non ricorre abitualmente all'imperativo quando chiede l'impegno etico dei cristiani; esprime bensì un desiderio, sollecita le coscienze a liberamente determinarsi. È la scelta che fa anche con i Corinzi, invitandoli a raccogliere aiuti per i poveri della Giudea: una grazia secondo l'apostolo. Esagerazione da captatio benevolentiae? Così può sembrare, ma l'argomentare di Paolo attrae la parola e l'orizzonte tematico della grazia verso il loro significato più misterioso. Dunque, il tuo gesto di dono abbondante per i poveri è una grazia del Signore: ti avvicina al suo stile, alla sua forma di autorivelarsi.

Quando doni, ricevi. E se arrivi a dare con abbondanza, vuol dire che Dio ti ha sovrabbondantemente gratificato. Più che a sorprenderti generoso, prova a pensarti in sintonia, almeno episodica, con la «fonte medesima della generosità». Se poi non la vedi o non l'hai mai riconosciuta, non perderesti in dignità, gioia e libertà, cercandola e chiedendo di incontrarla: Lui, la fonte della gratuità, è appena dietro di te! In tema di gratuità non ci si accontenti delle misure che escogitano gli autodidatti.
  • Antonio Marangon, in Avvenire 27 maggio 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » gio mag 28, 2009 7:37 am


  • La nostra sorgente
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«Conoscete... La grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Corinzi 8,9)

I Corinzi sono qui interpellati non solo per quel che conoscono del Signore Gesù sul piano dottrinale, ma anche per quanto lo incontrano su quello storico ed esperienziale: essi sanno della liberazione che il Cristo crocifisso e risorto ha loro ottenuto e della grazia immeritata di essere in un nuovo rapporto con Dio e con gli uomini. Ciò che attrae l'attenzione e l'interrogativo stupito è quel si fece povero. Si potrebbe insistere nella ricerca attraverso pagine evangeliche intorno al «Gesù storico», fino a raggiungerlo da distanza ravvicinata, saldamente guidati dai testi ispirati.

Appunto quando il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, a Betlemme e a Nazaret. Quando visse gli anni del suo annuncio profetico del Regno di Dio e della sua ricerca dei piccoli, dei poveri e dei lontani. Non trascurando l'ultima povertà abbracciata da Gesù: la crocifissione e la morte sul Calvario compromettendosi del tutto agli occhi di Giudei e di Greci. Da ricco che era, si è fatto povero. Quante volte lungo i secoli della Chiesa è stata fatta questa scelta! Né si pensi che la sorgente «gesuana» cui attingere sia esaurita.
  • Antonio Marangon, in Avvenire 28 maggio 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven mag 29, 2009 1:51 pm


  • Bene per bene
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«Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza» (2 Corinzi 8,14)

La penuria di mezzi di sussistenza sta provando drammaticamente le comunità cristiane di Giudea: in questi termini Paolo scrive ai neofiti della Chiesa di Corinto. E precisa: la vostra abbondanza non può non sentirsi sollecitata a intervenire! Non però in vista di contrattare con quei poveri un prestito, che poi dovrebbe essere debitamente saldato da loro, nel medesimo ordine di mezzi economici. C'è un'altra via, sulla quale orientare le Chiese di area greca? Per risvegliare l'attenzione dei destinatari, l'apostolo ricorre a un termine circolante nella cultura greca del tempo: occorre mirare all'isotes, all'uguaglianza, meglio all'equità e all'equilibrio.

Paolo propone dunque una via nuova di comunicazione e di scambio: non aiutare i poveri di Giudea, indebitandoli; con conseguente impegno di restituzione morale o materiale, ma aiutarli quasi per sdebitarsi del bene spirituale ricevuto. Ciò potrebbe essere possibile concretamente in altre esperienze di aiuto reciproco: fra persone, fra comunità cristiane; e, perché no, fra popoli e culture. Un'utopia? Potrà sembrare, finché la così detta «beneficenza» viene valutata unicamente sul piano economico!
  • Antonio Marangon, in Avvenire 29 maggio 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » sab mag 30, 2009 7:54 am


  • Davanti agli uomini
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«Ci preoccupiamo infatti di comportarci bene non soltanto davanti al Signore, ma anche davanti agli uomini» (2 Corinzi 8,21)

A proposito della "colletta" in favore dei poveri di Giudea, all'apostolo preme che tale operazione non perda il suo carattere spirituale: di servizio, di grazia, di verifica della genuinità dell'amore fraterno. Perciò egli ha cura che tutto si faccia alla luce del sole: davanti a Dio, ma anche davanti agli uomini. Quindi con la mediazione di persone espressamente designate: con «imposizione delle mani». Perché tanta cura nella scelta dei «delegati» per la raccolta di fondi da distribuire ai poveri? Ovviamente, non per solennizzare un atto che, secondo criteri evangelici, esige di essere discreto e perfino anonimo. Ma la colletta in aiuto ai poveri riuscirà come segno ecclesiale fraterno, se genera incontro fra persone. Ossia un episodio di comunione: di visibile anche se di modesta e limitata condivisione.

Premendo un po' sul testo citato di Paolo si potrebbe ascoltare un appello a correggere la concezione corrente di persona ricca: non lo si è per le cose che possediamo, ma per le relazioni personali che si raggiungono. L'idolo del benessere economico raffredda le relazioni, allontanando, chi lo coltiva, sia da Dio sia dagli uomini. O quanto meno, simile disavventura è fortemente possibile!
  • Antonio Marangon, in Avvenire 30 maggio 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » mer giu 03, 2009 8:28 am


  • La buona semina
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«Tenete presente questo: chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà» (2 Corinzi 9,6)

Con il tono sapienziale di un proverbio, Paolo esorta i Corinzi alla generosità nel contribuire alla colletta per i cristiani della Giudea. L’intero testo epistolare mira a situare l’intervento caritativo su un piano evangelico. A uno sguardo d’insieme sulle forme di prestazioni verso chi soffre, il problema più preoccupante non è tanto la permanente esistenza di «ricchi epuloni», incapaci di vedere e di riconoscere i «Lazzaro», che stanno fuori dei cancelli dei loro palazzi.

Il contagio di una fredda distanza rispetto ai poveri potrebbe ridurre in molti altri le energie e il coraggio della gratuità, dentro gli orizzonti più modesti del funzionale e del rapporto indiretto e mediato. Inoltre, gli interventi caritativi, i «volontariati» nelle loro svariate espressioni, le «collette» rischiano di mancare di una più robusta fondazione, se staccate da ogni riferimento a Dio: ivi compresa quella voce, quel dialogo che approva o disapprova, che Dio discretamente attua con il cuore e la coscienza di ogni sua creatura. Come passare dalla fragile generosità «spontanea» verso i poveri alla gratuità riconoscente, che scopre nel prossimo un fratello da incontrare?
  • Antonio Marangon, in Avvenire 31 maggio 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » mer giu 03, 2009 8:29 am


  • Non da parte di uomini
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«Paolo, apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che lo ha risuscitato dai morti, e tutti i fratelli che sono con me, alle Chiese della Galazia» (Galati 1,1-2)

Fin dall'intestazione della Lettera alle Chiese della Galazia si avverte il tono vibrato di Paolo che rivendica la qualifica di «apostolo». Egli ci tiene a precisare che il suo ruolo di inviato a proclamare il Vangelo di Dio alle genti, non dipende da qualche istituzione umana com'è il caso dei delegati del Sinedrio o dei giovani rabbini al termine dei corsi accademici. Egli si presenta come ambasciatore di Dio sul modello dei profeti della tradizione biblica.

La sua investitura risale alla libera iniziativa di Dio, il Padre «che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti». In quest'ultima frase si concentra il contenuto del Vangelo che Paolo ha proclamato nella regione abitata dai Galati, nell'attuale Turchia settentrionale. Per dare forza alla sua difesa della «libertà del Vangelo» Paolo si presenta con il titolo autorevole di «apostolo» e nello stesso tempo fa leva sul consenso di «tutti i fratelli», i cristiani che gli sono vicini e ne condividono il metodo e le scelte di fondo: il Vangelo è una via di salvezza offerta a tutti gli esseri umani.
  • Rinaldo Fabris, in Avvenire 2 giugno 2009
Ultima modifica di miriam bolfissimo il mer giu 03, 2009 8:30 am, modificato 1 volta in totale.
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » mer giu 03, 2009 8:31 am


  • Grazia e pace
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«Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo, che ha dato se stesso per i nostri peccati al fine di strapparci da questo mondo malvagio, secondo la volontà di Dio e Padre nostro, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen» (Galati 1,3-5)

Nel saluto, che chiude l'intestazione di tutte le lettere di Paolo, si intrecciano le due culture che egli ha assimilato nella sua formazione ebraica e greca. Il termine «grazia» riecheggia il saluto greco chaîrein, e il vocabolo «pace» evoca quello ebraico: salôm. Ambedue sono riletti nella prospettiva della fede in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo che «ha dato se stesso per i nostri peccati al fine di strapparci da questo mondo malvagio».

In quest'espressione si condensa l'esperienza della liberazione cristiana. Essa si fonda sul dono che Gesù Cristo ha fatto di sé nella morte, condividendo fino in fondo la storia umana segnata dal peccato. In forza di questo dinamismo di amore i credenti in Gesù Cristo Signore sono usciti da un mondo contrassegnato dalla logica della perversione e della malvagità. Questo processo di liberazione risale all'iniziativa gratuita ed efficace di Dio, riconosciuto come «Padre nostro». Una breve acclamazione di stile liturgico chiude questa sintesi della professione di fede cristiana.
  • Rinaldo Fabris, in Avvenire 3 giugno 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » gio giu 04, 2009 1:54 pm


  • Il consenso di Dio
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«Vi dichiaro, fratelli, che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano; infatti io non l'ho ricevuto né l'ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo» (Galati 1,11-12)

Nella lettera ai Galati Paolo tralascia il ringraziamento, che suole premettere alla parte centrale delle sue Lettere. Invece esprime il suo disappunto perché essi si sono allontanati da Dio che li ha chiamati con la grazia di Cristo e sono passati a «un altro Vangelo». Egli si affretta a precisare che non esiste un altro Vangelo al di fuori di quello di Cristo, che egli ha annunciato in Galazia. Di fronte alle insinuazioni di chi mette in dubbio il suo ruolo di apostolo e scredita il suo Vangelo, Paolo ribatte: «Sia anàtema!».

I missionari venuti da Gerusalemme vanno dicendo ai Galati che, per favorire l'accoglienza del Vangelo ai non ebrei, Paolo ha fatto loro lo sconto, eliminando la circoncisione e l'osservanza della legge mosaica. Paolo risponde: «Infatti, è forse il consenso degli uomini che cerco, oppure quello di Dio? O cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo!». Come il suo incarico ad essere «apostolo», così anche il Vangelo che egli proclama, non dipende da qualche istituzione umana, ma dalla libera iniziativa di Dio, che gli ha rivelato Gesù Cristo.
  • Rinaldo Fabris, in Avvenire 4 giugno 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » sab giu 06, 2009 7:33 am


  • Scelta e chiamata
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«Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco» (Galati 1,15-17)

Per parlare dell'esperienza, che ha cambiato la sua vita da militante giudeo ad apostolo del Vangelo, Paolo ricorre al modello della chiamata dei profeti. Nessuna crisi di coscienza né alcun complesso di colpa, ma solo la «grazia» di Dio, che lo ha scelto liberamente prima della sua nascita. Nel ricordo autobiografico di Paolo, il racconto drammatico di Luca negli Atti degli apostoli, si riduce ad una sola frase: «Si compiacque di rivelare in me il Figlio suo». Dio gli ha tolto il velo che gli impediva di vedere e riconoscere in Gesù crocifisso il suo «Figlio».

Se Gesù è il Figlio, Dio è Padre di tutti gli esseri umani, che lo possono incontrare senza bisogno di diventare Ebrei. La rivelazione del suo Figlio da parte di Dio sta all'origine della missione universale di Paolo. Egli non ha bisogno di chiedere l'autorizzazione degli apostoli di Gerusalemme. Inizia subito ad annunciare il Vangelo ai non Ebrei nei dintorni di Damasco, nella regione conosciuta come «Arabia Petrea».
  • Rinaldo Fabris, in Avvenire 5 giugno 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » sab giu 06, 2009 7:34 am


  • Sconosciuto
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«Ma non ero personalmente conosciuto dalle Chiese della Giudea che sono in Cristo; avevano soltanto sentito dire: "Colui che una volta ci perseguitava, ora va annunciando la fede che un tempo voleva distruggere". E glorificavano Dio per causa mia» (Galati 1,22-24)

L'immagine di Paolo, cambiato da persecutore ad apostolo del Vangelo, si forma fin dai primi anni della sua attività missionaria. Egli ci tiene ad affermare la sua autonomia e indipendenza dalle chiese storiche della Giudea, in particolare da Gerusalemme dove stanno gli apostoli. Però, dopo tre anni dall'esperienza di Damasco, durante i quali ha svolto un'attività missionaria tra i non ebrei, egli va a Gerusalemme per incontrare Pietro o come egli lo chiama nella sua lingua materna Kephâs.

Nei quindici giorni passati a Gerusalemme con Cefa-Pietro, Paolo dice che non ha incontrato nessuno degli altri apostoli, ma solo Giacomo, il fratello del Signore. Nell'ambiente di Gerusalemme egli non ha svolto attività missionaria. Dunque può dichiarare che è «sconosciuto» alle Chiese della Giudea. Paolo ne riconosce il ruolo autorevole, legato alle figure di Pietro e di Giacomo, ma nello stesso tempo afferma che il suo ruolo di apostolo del Vangelo dipende dalla libera e gratuita iniziativa di Dio.
  • Rinaldo Fabris, in Avvenire 6 giugno 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » mar giu 09, 2009 7:30 am


  • Oltre i confini
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«Quattordici anni dopo, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con me anche Tito: vi andai però in seguito a una rivelazione. Esposi loro il Vangelo che io annuncio tra le genti, ma lo esposi privatamente alle persone più autorevoli, per non correre o aver corso invano» (Galati 2,1-2)

La corsa di Paolo per portare il Vangelo oltre i confini della nazione e della religione ebraica parte da Damasco, ma fa perno su Gerusalemme. Nella geografia spirituale dell'apostolo Paolo la città santa resta il punto di riferimento costante, perché lì è nata la Chiesa con il dono dello Spirito sui discepoli storici di Gesù. Dopo un lungo periodo di attività missionaria autonoma, Paolo decide di incontrare i responsabili della Chiesa «per non correre e aver corso invano».

La metafora della corsa di chi punta dritto alla meta - non correre «a vuoto» - esprime bene lo scopo di questo incontro al vertice della Chiesa tra Paolo, con i suoi collaboratori - Barnaba e Tito - e le persone «più autorevoli» della Chiesa madre. Paolo riconosce apertamente che ha deciso di andare a Gerusalemme «in seguito a una rivelazione». Non è una scelta ispirata a criteri o interessi umani, ma dipende unicamente dall'iniziativa di Dio come l'esperienza di Damasco, dove Dio gli ha «rivelato» il Figlio suo.
  • Rinaldo Fabris, in Avvenire 7 giugno 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » mar giu 09, 2009 7:33 am


  • Libertà e verità
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«Ora neppure Tito, che era con me, benché fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere; e questo contro i falsi fratelli intrusi, i quali si erano infiltrati a spiare la nostra libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi; ma a loro non cedemmo, non sottomettendoci neppure per un istante, perché la verità del Vangelo continuasse a rimanere salda tra voi» (Galati 2,3-5)

A Gerusalemme Paolo difende la «libertà» e la «verità» del Vangelo. Questo lo dice e lo scrive per scuotere e rincuorare i cristiani della Galazia, tentati di cedere alle pressioni dei missionari giudeo-cristiani, che vorrebbero imporre loro la circoncisione e l'osservanza della legge di Mosè per far parte della Chiesa. A favore della «libertà», che i cristiani hanno «in Cristo» - libertà rispetto alla circoncisione e alla legge - vale l'esempio di Tito, un cristiano di origine greca come sono i Galati.

Nonostante questa sua condizione, che, per i giudeo-cristiani osservanti, lo rende «impuro», Tito è accolto e vive nella comunità cristiana come tutti gli altri di origine ebraica. Per Paolo la «libertà» dei cristiani coincide con la «verità del Vangelo». Se la via di salvezza per tutti gli esseri umani è la fede in Gesù Cristo, cadono tutte le barriere etniche, religiose e culturali.
  • Rinaldo Fabris, in Avvenire 9 giugno 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » gio giu 11, 2009 7:29 am


  • Unità nella diversità
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«Anzi, visto che a me era stato affidato il Vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi... e riconoscendo la grazia a me data, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la destra in segno di comunione, perché noi andassimo tra le genti e loro tra i circoncisi» (Galati 2,7.9)

L'accordo di Paolo, a Gerusalemme, con Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le «colonne», si fonda sul reciproco riconoscimento della «grazia» di Dio di annunciare il Vangelo. L'unità si radica nella fede comune. Tutti riconoscono l'iniziativa gratuita di Dio che affida a Paolo e a Pietro il compito di proclamare il Vangelo della salvezza. I due gruppi di destinatari del Vangelo - da una parte le genti e dall'altra gli ebrei - giustificano la divisione dei compiti e degli ambiti.

La distinzione tra circoncisi - ebrei - e incirconcisi-" le genti - implica non solo una diversa metodologia missionaria, ma anche l'approvazione del Vangelo che Paolo proclama tra le genti. L'unità nella diversità tra le Chiese e i cristiani non è frutto di un compromesso strategico, ma ha le sue radici nella fede in cui si riconosce e accoglie la grazia di Dio. Il nome paolino dell'unità ecclesiale è koinonia, «comunione», nel senso di partecipazione profonda e vitale allo stesso progetto di vita.
  • Rinaldo Fabris, in Avvenire 10 giugno 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » gio giu 11, 2009 7:30 am


  • Per i poveri
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«Ci pregarono soltanto di ricordarci dei poveri, ed è quello che mi sono preoccupato di fare» (Galati 2,10)

La comunione nella Chiesa si fonda sulla fede, ma si esprime e attua nella carità. Paolo lo sa bene perché ai cristiani della Galazia scrive che la fede opera per mezzo dell'amore (Gal 5,6). A sigillo dell'accordo missionario di Gerusalemme tra Paolo e le «colonne» - Giacomo, Cefa e Giovanni - l'apostolo prende l'impegno di organizzare una raccolta di fondi per i cristiani «poveri» della Giudea, che fanno capo alla Chiesa di Gerusalemme. La colletta per i poveri, che Paolo promuove nelle sue chiese a maggioranza etnico-cristiana, diventa un segno di unità e di comunione tra i cristiani di origine ebraica e gli altri.

Nella visione ecumenica di Paolo la realizzazione della raccolta per i poveri di Gerusalemme è un segno concreto dell'universalità del Vangelo, forza di salvezza per tutti quelli che credono: del giudeo prima, come del greco poi (cf. Rm 1,16). Per motivare la partecipazione pronta e generosa dei cristiani di Corinto a questa iniziativa di solidarietà ecclesiale, Paolo si appella alla loro fede. Essi hanno fatto l'esperienza della «grazia» del Signore Gesù Cristo che da ricco si è fatto povero per noi, per arricchirci con la sua povertà (cf. 2 Cor 8,9).
  • Rinaldo Fabris, in Avvenire 11 giugno 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven giu 12, 2009 2:00 pm


  • Non più il muro
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«Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto... Se tu, che sei giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei giudei?» (Galati 2,11.14)

Con la «controversia di Antiochia» si chiude la prima parte della Lettera ai Galati, dove Paolo racconta la sua esperienza di apostolo al servizio del Vangelo. Egli vuole incoraggiare i cristiani della Galazia a restare saldi nella verità e libertà del Vangelo. Il racconto dell'episodio dello scontro con Pietro ad Antiochia rientra in questa strategia pastorale.

Ad Antiochia Cefa-Pietro, senza scrupoli, partecipa alle riunioni dei cristiani di origine non ebraica, dove si celebra anche la «cena del Signore». Quando da Gerusalemme arrivano alcuni giudeo-cristiani della cerchia di Giacomo, Pietro, per soggezione, incomincia a sottrarsi agli incontri «misti», provocando, con il suo esempio, una spaccatura nella Chiesa antiochena. Allora Paolo lo affronta davanti a tutti. Pietro non può rimettere in piedi quel muro di divisione tra giudeo-cristiani e gli altri che, in nome della fede in Gesù Cristo, è stato eliminato una volta per sempre. È in gioco la «verità del Vangelo», in cui si proclama e riconosce che tutti, giudei e greci, incontrano Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo.
  • Rinaldo Fabris, in Avvenire 12 giugno 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » mar giu 16, 2009 10:33 am


  • Davanti agli occhi
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«O stolti Galati, chi vi ha incantati? Proprio voi, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso!» (Galati 3,1)

Nell'appellativo etnico «Galátai», si avverte il tono emotivo della domanda di Paolo. Egli non sa capacitarsi del loro cambiamento repentino. Qualcuno vi ha stregati! Non possono dimenticare il loro primo incontro con l'apostolo, costretto a fermarsi nella loro regione durante un viaggio a causa della malattia. Un viandante ebreo malato che annuncia la «salvezza» ai contadini della Galazia, discendenti delle tribù celtiche discese qualche secolo prima dalla Gallia attraverso i Balcani!

Paolo si ricorda come lo hanno accolto e curato con amore. Non solo non lo hanno disprezzato e respinto a causa della sua malattia, ma lo hanno accolto come un inviato di Dio, addirittura come Cristo Gesù (cf. Gal 4,14). Nella sua condizione di debolezza e fragilità umana, egli ha annunciato loro il Vangelo. Paolo può ben dire che davanti agli occhi dei Galati ha presentato al vivo Gesù Cristo crocifisso. In quello stato è diventato un'icona di Gesù Cristo. In questa esclamazione paolina si riassume il Vangelo di Paolo. Egli annuncia Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che nella morte di croce ha condiviso la condizione degli esseri umani per la loro salvezza.
  • Rinaldo Fabris, in Avvenire 13 giugno 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » mar giu 16, 2009 10:36 am


  • Valutare e scegliere
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«Questo solo vorrei sapere da voi: è per le opere della Legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver ascoltato la parola della fede?» (Galati 3,2)

Con una serie di domande Paolo invita i cristiani della Galazia a riflettere sulla loro esperienza di fede. Qualche anno prima essi avevano ascoltato l'annuncio del Vangelo, fatto da Paolo nella loro regione, e vi avevano aderito con gioia ed entusiasmo. Dopo la partenza di Paolo sono arrivati altri missionari giudeo-cristiani, che hanno creato lo sconcerto perché hanno detto a neoconvertiti alla fede cristiana: per essere salvi non basta la fede in Gesù Cristo; dovete diventare «proseliti», sottoponendovi al rito della circoncisione e impegnandovi a osservare tutte le prescrizioni della legge di Mosè.

Solo così potrete partecipare alla benedizione promessa da Dio alla discendenza di Abramo. Ai cristiani della Galazia, che non sanno a chi dare retta, Paolo propone una verifica elementare. Con l'accoglienza del Vangelo essi hanno ricevuto il dono dello Spirito, che si esprime non solo nella libertà e gioia interiore, ma anche nella preghiera fiduciosa ed efficace della comunità. Il dono dello Spirito è il compimento della promessa di Dio per il tempo messianico. I Galati dunque sono in grado di valutare e scegliere la via della salvezza.
  • Rinaldo Fabris, in Avvenire 14 giugno 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » mar giu 16, 2009 10:37 am


  • Basta la fede
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«Come Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia, riconoscete dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede» (Galati 3,6)

Per la tradizione ebraica Abramo è il «giusto» perché obbedisce al precetto di Dio, che gli ordina di circoncidere tutti i familiari maschi. Per la tradizione musulmana Abramo è il primo e il modello dei credenti, perché si sottomette " 'islam " alla volontà di Dio. Per Paolo, Abramo è il padre dei credenti, perché si fida di Dio, che gli promette un futuro e la benedizione per tutte le genti. I cristiani della Galazia sono in crisi perché i nuovi missionari giudeo-cristiani hanno chiesto loro di farsi circoncidere per avere la benedizione di Abramo.

Paolo li invita a rileggere la storia biblica del patriarca. Nel libro della Genesi Dio annuncia ad Abramo: In te saranno benedette tutte le nazioni (Gen 12,3). Per aver parte alla benedizione promessa da Dio ad Abramo non occorre diventare Ebrei con la circoncisione. Basta la fede! Infatti Abramo è giusto in forza della sua fede in Dio. Nel dibattito con le Chiese della Galazia Paolo riscopre la figura e il ruolo di Abramo, il credente e il giusto, che fa da ponte tra il mondo dei popoli e i credenti in Gesù Cristo, il discendente di Abramo.
  • Rinaldo Fabris, in Avvenire 16 giugno 2009
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